Attraversare le contingenze allargando le prospettive

13/06/2014
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VIII Biennale di Berlino

Da periferia a centro e ritorno



Wolfgang Tillmans, veduta dell'installazione. Courtesy Galerie Buchholz, Berlin/Cologne; Maureen Paley, London; David Zwirner, New York. Foto: Anders Sune Berg




Mario García Torres, Sounds Like Isolation to Me, o. D. n/d. Courtesy Mario García Torres; Proyectos Monclova, Mexico City; Jan Mot, Brussels; neugerriemschneider, Berlin. Foto: Anders Sune Berg




Julieta Aranda, Stealing one’s own corpse (An alternative set of footholds for an ascent into the dark), 2014. Courtesy Julieta Aranda. Foto: Anders Sune Berg




Goshka Macuga, Preparatory Notes for a Chicago Comedy, 2014. veduta dell'installazione. Courtesy Goshka Macuga; Andrew Kreps Gallery, New York; Kate MacGarry, London; Galerie Rüdiger Schöttle, Munich. Foto: Anders Sune Berg




Andreas Angelidakis, Crash Pad. veduta dell'installazione. Courtesy: Andreas Angelidakis and The Breeder, Athens/Monaco. Foto: Uwe Walter




Juan A. Gaitán, curatore dell’8 Biennale di Berlino per l’Arte Contemporanea e il team artistico. Da sinistra a destra: Catalina Lozano, Juan A. Gaitán, Mariana Munguía, Olaf Nicolai, Natasha Ginwala, Tarek Atoui (non presente nella foto: D


Tacita Dean, 10 to the 21, 2014. Veduta dell’installazione. Courtesy Tacita Dean; Frith Street Gallery, London; Marian Goodman Gallery, New York/Paris. Foto: Anders Sune Berg




Rosa Barba, Subconscious Society, 2014. Video Still. Courtesy Rosa Barba; Gió Marconi, Milan; Meyer Riegger Berlin. Foto: Anders Sune Berg © Rosa Barba / VG Bild-Kunst, Bonn 2014




Anri Sala, Unravel, 2013. Video still. Courtesy Anri Sala; Galerie Chantal Crousel, Paris; Marian Goodman Gallery, New York/Paris; Hauser & Wirth, London/New York/Zurich; kurimanzutto, Mexico City © Anri Sala / VG Bild-Kunst, Bonn 2014
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Christodoulos Panayiotou, 12 pairs of handmade shoes, Untitled, 2013- 2014. Courtesy Christodoulos Panayiotou, Dieresis Collection, Mexico and Rodeo. Foto: Anders Sune Berg




Haus am Waldsee. Opera dell’artista: Tony Cragg, Outspan, 2008. Courtesy Haus am Waldsee




di Marianna Liosi

La fine di maggio è stata particolarmente intensa e stracolma di appuntamenti, rendendo senza dubbio Berlino il place-to-be per i professionisti internazionali dell’arte contemporanea.
Infatti, ha aperto ufficialmente il 29 maggio (con preview il 27 e 28) l’ottava edizione della Biennale di Berlino, a cura di Juan A. Gaitan, che resterà visibile al pubblico fino al 3 agosto 2014.
In calendario anche una serie di concerti, performance, lectures, tavole rotonde che avranno luogo durante tutto il periodo di apertura.
Tra il 29 maggio e il primo giugno, parallalemente, si è svolto anche il Berlin Documentary Forum 3, presso l’Haus der Kulturen der Welt, curato da Hila Peleg.

Di seguito un report commentato dedicato a quest’edizione 2014 della Biennale berlinese.

L’evento di quest’anno è contrassegnato da una interessante riflessione del curatore canadese-colombiano Juan A. Gaitan sul contesto urbano di Berlino, sullo sviluppo attuale della città, sul rapporto in costante riassestamento tra centro e periferia e sul ruolo che le istituzioni artistiche e culturali assumono. Questi aspetti diventano pretesto per proporre e indurre a una rilettura e reinterpretazione della Storia, che avvengono attraverso uno sguardo all’architettura.
Un riferimento concreto è il caso specifico dell’Humbold Forum, in fase di costruzione di fronte all’Isola dei Musei. L’edificio sorge sulle ceneri del Palast der Republik, sede del parlamento della DDR. Avrà la peculiarità di replicare tre delle facciate originali e la cupola dell’ex Stadtschloss (palazzo risalente al XV sec. e residenza dei principi elettori di Brandeburgo, dei re di Prussia e degli imperatori di Germania, abbattuto nel 1950).
L’evidente intento di commemorare non solo l’architettura, ma anche la città in sé come un reperto, il desiderio di enfatizzare una fase storica gloriosa della nazione tedesca e di lasciarne da parte una più recente particolarmente dolorosa, la tendenza a marginalizzare determinati eventi e riferimenti per accentuarne altri, agevolando il loro statuto di centralità, sono alcune tra le riflessioni che hanno indotto Gaitan ad immaginare – anche logisticamente - una biennale che si svolgesse oltre la classica e deputata sede nel Mitte, il Kunst-Werke.

Con la scelta di quattro sedi espositive - Haus am Waldsee, il complesso di Museen Dahlem, KW e Crash Pad - due delle quali particolarmente decentrate- è stato inoltre condotto e proposto ai visitatori un itinerario fisico e concettuale attraverso luoghi connotati per il loro contenuto, già dedicati all’arte e alla cultura. In questi diventa quindi possibile contestualizzare le opere e creare parallelismi con la produzione artistica attuale.

Più di cinquanta sono gli artisti internazionali coinvolti, di generazioni anche molto lontane tra loro, che in molti casi hanno prodotto nuove opere, commissionate ad hoc per la Biennale.

La prima sede suggerita come luogo di partenza della visita è Haus am Waldsee.
Una piccola villa privata costruita tra metà degli anni ’40 e la fine degli anni’80, era un tempo una delle principali istituzioni per l’arte contemporanea nella Berlino ovest, mentre oggi è considerata essere all’estrema periferia della città. Circondata da un ampio giardino abbellito da opere d’arte, con un laghetto provvisto di fontana zampillante ospita, tra le altre, le installazioni di Christodoulos Panayiotou, Mathieu Kleyebe Abonnec, Carla Zaccagnini, il film di Patrick Alan Banfield, l’installazione sonora di Slavs and Tartars nel giardino, nonché la sezione denominata Private Collection. Di questa fanno parte, per citarne alcune, le opere di Jimmie Durham, Maria Thereza Alves, Wolfang Tillmans, Angela Bulloch. Distribuite trai due piani dell’edificio, allestite senza alcuna etichetta di riconoscibilità, sono state raccolte dal curatore direttamente dagli atelier degli artisti ed esibite in mostra come si userebbe fare con la propria collezione personale. Se da una parte questa scelta curatoriale genera confusione e spaesamento, dall’altro lato intenderebbe suggerire un rimando alla raccolta di opere contenuta in passato nella casa e sembra voler stimolare ad una riflessione sul primo luogo di collezione delle opere, cioè lo spazio privato di produzione dell’artista.

Nel complesso dei Museen Dahlem, che ospita il Museo per l’Arte Asiatica e il Museo Etnologico (che in futuro saranno trasferiti per riempire di contenuto l’Humbold Forum) e il Museo delle Culture Europee, le opere della biennale occupano sezioni specifiche.
Il visitatore è quindi indotto a percorrere i tre musei, tra maschere lignee, imbarcazioni, capanne, statue, gioielli e manufatti artigianali di ogni tipo per poter rintracciare la “quarta dimensione”, quella dell’arte contemporanea.
Dietro alla scelta di questa sede espositiva sembra evidente la volontà di porre una serie di questioni. Alcune di queste sono sulla la funzione del museo come architettura e come istituzione in passato ed oggi, sui diversi approcci alla cultura materiale e alle nozioni di arte, sul museo come strumento storiografico e narrativo.

Tra i quasi trenta artisti coinvolti, tra cui Rosa Barba, Nairy Baghramian, Anri Sala, Carlos Amorales, Tacita Dean, Ganesh Haloi, Gaganendranth Tagore, Mariana Castillo Deball, appare rilevante il museo nel museo realizzato dall’artista messicano Mario Garcìa Torres. “Sounds like isolation to me”, una mostra che rilegge il lavoro di Conlon Nancarrow, compositore americano naturalizzato in Messico la cui produzione musicale consiste per lo più in composizioni per player pianos. Gran parte di questa, è stata scritta ma mai ascoltata dallo stesso compositore.
Garcia Torres intende avviare una riflessione sul senso romantico attribuito all’isolamento come luogo di creazione in contrapposizione alle tendenze avanguardistiche, attraverso la raccolta di scambi epistolari, dischi che hanno influenzato la sperimentazione di Nancarrow, e un’installazione sonora con un brano di Nancarrow della durata dell’intera Biennale riarrangiato dal pianista Nils Frahm.

Goshka Macuga induce a riflettere su temi come tecnologia, politica e arte attraverso “Preparatory Notes for a Chicago Comedy”, 2014 una performance ironica e divertente per la forma ma anche per la costante disconnessione logica e salti temporali. Con una scenografia pop fatta di pannelli sagomati, tra cui spicca un telefono di dimensioni enormi e i mezzibusti di Duchamp, Angela Merkel, John Cage, una voce narrante tiene le fila mentre gli attori danno voce a questi personaggi che convivono nello stesso frangente spazio-tempo e interagiscono in maniera imprevedibile e irrazionale.

Wolfang Tillmans ha una stanza a lui dedicata per l’installazione composta da stampe della serie “FESPA Digital/FRUIT LOGISTICA grid”, 2012, alcune teche contenenti un paio di scarpe Nike, due paia di blue-jeans e un giubbotto in goretex. L’artista riflette sulla colonizzazione delle aree abitate dai nativi d’America da parte degli europei e sulle influenza negative, tra cui diffusione di malattie, cambiamenti nella struttura sociale politica e religiosa delle comunità autoctone dovute all’invasione. Questi cambiamenti sono diventati progressivamente parte della cultura materiale di questi gruppi.

Il KW è stato concepito dal curatore come il punto nevralgico, essendo il classico spazio in cui si svolge la biennale.
Al primo piano dell’edificio in cui ha sede l’istituzione si trova Crash Pad, la stanza disegnata dall’architetto greco-norvegese Andreas Angelidakis e inaugurata a fine gennaio, come anticipazione dell’evento primaverile. Un ambiente coperto di tappeti e adornato con finte colonne e capitelli greci, che rimanda all’invenzione del concetto di “Antichità classica” e al suo effetto nell’immaginazione politica dello stato-nazione moderno. Uno spazio adibito al relax, alla condivisione e allo scambio, sul modello dei crash pad in voga negli anni ’70.

Tra i lavori più rilevanti è la video installazione di Julieta Aranda “Stealing one’s own corpse (An alternative set of footholds for a nascent into the dark)”, 2014, in cui l’artista parte dall’esperienza personale di mancanza di gravità per giungere a riflettere, attraverso la sua indiretta eco, sui limiti assoluti.

“Partial Death”, 2012 insieme a “Dialogo entre naciones” di Cintya Gutierrez sono stati realizzati dopo una visita a Roma e l’incontro con un ingegnere etiope. Consistono l’uno in un arazzo ritornato in Etiopia dopo essere stato depredato dalle truppe fasciste, su cui è scritto un testo di grande poesia. Qui le dita della mano, così diverse tra loro vengono descritte e metaforicamente accostate alla vita. Il secondo lavoro consiste in due busti di marmo l’uno di fronte all’altro, raffiguranti Mussolini e l’imperatore di Etiopia suo coevo, Heile Selassie.

La video installazione multicanale di Li Xiaofei “Assembly Line”, 2010-in corso focalizza invece sul processo di produzione industriale e le relative operazioni di routine quotidianamente eseguite, così come sul conseguente impatto ambientale e sui lavoratori, sfruttati in quanto capitale umano, che queste procedure generano.

Nota particolare di questa biennale è il team artistico scelto dal curatore, composto da Tarek Atoui, Dahn Vo, Catalina Lozano Natascha Ginwala, Mariana Munguia, Olaf Nicolai. Artisti, curatori e intellettuali che hanno contribuito testualmente alla pubblicazione-guida della Biennale, aggiungendo riflessioni di largo respiro che ampliano le tematiche sviluppate attraverso le opere.

Rispetto alla precedente edizione della biennale curata da Arthur Zmijewski, quella attuale appare per diversi aspetti meno incisiva. Seppur della prima fosse discutibile l’approccio estetico e il manifesto che definiva senza mezzi termini il ruolo che l’arte e gli artisti nella società avrebbero dovuto assumere, si può riconoscere che essa delineava uno statement.
In questa edizione la struttura generale e il concept curatoriale hanno creato una serie di aspettative che hanno trovato limitato riscontro nei lavori scelti o commissionati per l’occasione. L’attenzione particolare rivolta a dinamiche locali che dimostrano un tipo di interpretazione nostalgica della storia, come episodi concreti da cui partire per ampliare una riflessione, si è contrapposta ad uno sviluppo indeciso e lasciato forse volutamente (troppo) irrisoluto.
Qual è dunque il ruolo di una Biennale e che cosa la differenzia da una semplice mostra?
Di quale istanza critica si carica? Che effetti può potenzialmente generare culturalmente un evento di questa portata sul luogo che lo ospita?


Ulteriori informazioni sulla 8° Biennale di Berlino

Qui una panoramica delle mostre in corso a Berlino


Marianna Liosi è laureata in Progettazione e Produzione delle Arti Visive presso lo IUAV di Venezia. Dopo diverse esperienze presso istituzioni internazionali, è stata nel 2008 assistente alla produzione per Manifesta7 e dal 2009 lavora come curatrice indipendente. Predilige la pratica collaborative ed è interessata a indagare il ruolo del curatore come mediatore tra l'arte e la società. Attualmente svolge una ricerca a lungo termine sulla relazione tra tempo libero e lavoro. Vive e lavora a Berlino.