Attraversare le contingenze allargando le prospettive

27/06/2014
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Free Home University


I DILETTANTI DEL MIRACOLO (seconda parte)
di Francesca Marianna Consonni



Luigi Coppola, ​terre rigenerate, Castiglione d'Otranto (LE)









ISIA Firenze, Wirearchy




Il caso della Free Home University è un buon osservatorio per fare dei ragionamenti intorno alla formazione, all'auto formazione e al più importante interrogativo sul senso di acquisire e spendere saperi. Per inquadrare il caso occorrerà dire che la F.H.U. è un progetto finanziato dalla Fondazione Musagetes, un ente canadese che dichiara una mission fondamentale: “Musagetes è un'organizzazione internazionale che si occupa di rendere il ruolo delle arti più centrale e più significativo nella vita delle persone, nelle nostre comunità e nelle nostre società”.
Una delle sedi di indagine è Lecce, sebbene sia vocazione sia della fondazione che della Free Home Universitiy, essere e agire ovunque se ne trovi l'opportunità. I partecipanti della F.H.U. sviluppano i progetti in autonomia, con un contatto continuo, a piccoli e grandi gruppi e con incontri periodici in residenza, che durano da quindici giorni a un mese.
Il finanziamento di questa fondazione sostiene le spese dei partecipanti, eventuali ospiti e parte della produzione di progetti di ricerca artistica. Sebbene questo appaia come una tradizionale forma di organizzazione residenziale per la produzione artistica, conoscere i partecipanti e comprendere le radici del progetto vale a riconoscere la sua particolarità e la sua radicalità. Il progetto è condiviso da artisti che hanno la traccia comune di aver aperto, con specificità molto diverse tra loro, il proprio modo di fare arte a una riflessione antropologica, filosofica ed etica, vale a dire che la propria azione di produrre arte o opere d'arte, è fortemente legata alla riflessione sui processi umani, sui comportamenti e sulle destinazioni dei comportamenti.
Non è un caso che parte dei fondatori del progetto discendano direttamente dal gruppo di Oreste, che fu nella fine degli anni Novanta un modo di rimettere nel campo dell'arte una pluralità interattiva e pensante al posto della figura dell'artista dogmatico, una dimensione critica continua e mutevole, al posto di opere-oggetto. Ma non sono i soli. Sono confluiti alla guida dei discorsi anche Adrian Paci e Luigi Presicce, Ayreen Anastas, Renè Gabri, gli ultimi due residenti a New York e rispettivamente originari di Palestina e Iran. Rispetto al progetto essi sono i mentors, che non sono affatto professori o docenti, ne' persone che hanno in mano le redini delle azioni comuni, ma sono piuttosto indicatori, stimolatori, generatori di un senso che viene raccolto, ragionato, riempito di contenuti e riproposto dai fellows, nuovi artisti che si sono aperti a questo processo di formazione e che lo sviluppano sia individualmente, sia sottoponendo ricerche ed elaborazioni al resto del gruppo. I fellows non sono degli allievi: essi sono già professionisti che hanno un proprio repertorio di ricerca e che hanno aderito a un processo in cui fosse possibile esplorare temi di particolare interesse o criticità, su piani interdisciplinari, costruendo relazioni, confrontando approcci. L'argomento posto dai curatori del progetto Luigi Negro, Alissa Firth Eagland e Alessandra Pomarico come traccia generale di riflessione per l'annualità 2013/2014 è “Come vogliamo vivere”. La questione è stata sviluppata attraverso tre principali campi d'indagine: l'immagine, i beni comuni, la morte.

“Attraverso l’immagine, oltre l’immagine”.
Adrian Paci è l'artista che propone il modulo operativo dedicato allo statuto dell'immagine. Bisogna considerare infatti l'immagine come il linguaggio più elaborato a nostra disposizione. Elaborato sia nel senso di complesso e stratificato, poiché capace di trattenere o sospendere tempo, emozionalità e circostanze, sia nel senso di maneggiato, personalizzato, fatto proprio, corrotto. Qualcuno anzi sostiene che la fotografia sia appena uscita dalla sua primitività funzionale, fatta di lastra e di stampa, e acceda oggi, attraverso le molteplicità del digitale, alla sua prima piena fase linguistica. Ecco che in una più generale speculazione su una società che immagina se stessa, in un pensiero più ampio su come desideriamo vivere, diviene imprescindibile partire dalla pratica dell'immagine, dall'immaginario e dalla realtà che attorno ad essi si costruisce.

“Un corso (in) comune: tempi e città in comune”
Ayreen Anastas e Rene Gabri sono i mentors per il gruppo che orienta le proprie indagini sulla questione e sulle pratiche del vivere in comune. I beni comuni sono generalmente discussi come un obiettivo o come una forma politica di gestione, rispetto a qualcosa di fisico. Il percorso dei beni comuni è invece oggi un percorso di alfabetizzazione mondiale. Sebbene si possa immaginare in senso teorico una vita comune, in rispetto dell'altrui diversità e nella pienezza della propria autonomia, il nostro attuale linguaggio ci impedisce di trasferire quest'immagine da una visione profetica alla realtà contingente.
Basti pensare che, attualmente, i saperi degli individui, il loro tempo specifico, la propria capacità creativa e inventiva, l'attenzione verso gli altri, la capacità speculativa, la capacità relazionale e infine il luogo dove si posa lo sguardo ogni giorno, sono concetti che questa società riconosce sotto il termine più generale di “lavoro”. Quando si palesa questa parola, veniamo retribuiti. Essere invece retribuiti per queste singole voci sciolte ci sembra una follia divertentissima. Non lo è.
La discussione sui Beni Comuni è in realtà una battaglia di rifondazione dei termini più cari alla società umana, quelli che sembrano essere gli alibi di ogni processo storico, giuridico economico: convenienza, benessere, valore, ricchezza, progresso, crescita. La colonizzazione di queste parole è necessaria, perché le azioni del cambiamento sono già in essere e non si riesce a comunicarle senza essere derisi o scambiati per diversi. Eppure, pur non avendo un discorso ufficiale per dirlo, ognuno di noi ha già sperimentato che non sempre conviene guadagnare, che il benessere non è la ricchezza, che il valore non è il costo, che il concetto di progresso progredisce, che ciò che cresce, ad un certo punto, muore.

“La festa dei vivi (che riflettono sulla morte).”
Lu Cafauso è il gruppo mentore del percorso dedicato al pensiero sulla morte. La definizione di Lu Cafauso non si esaurisce nel citare i suoi componenti Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti, Luigi Presicce, perchè in Lu Cafausu si sono trascritti alcuni concetti generati dalle comuni intenzioni di questi artisti. Cafausico è infatti tutto ciò che è generato da un rinvenimento fortuito, da un inatteso, dall'attesa, da un concetto perimetrato ma non chiuso, da un momento di splendore, da un particolare stato di tenerezza, da innumerevoli altre logiche non funzionali.
Partendo dall'esperienza de “La festa dei vivi (che riflettono sulla morte)” il processo di formazione apre, sul tema della morte, una discussione continua, nutrita da ricerche, sensibilità e saperi da parte dei partecipanti. Una prima sessione del corso ha prodotto un libro Besides, it’s always the others who die (d’ailleurs c’est toujours les autres qui meurent), costruito come un cadavere squisito in cui gli argomenti discendono gli uni dagli altri, in un fluire di pensieri e concetti condivisi, che solo al principio si riferiscono al tema della morte ma si dispiegano tra assenza, appartenenza, partecipazione, culto, reliquia, memoria, trasformazione, incarnazione, trasmissibilità, tempo, funzione e disfunzione, fallimento e materia, opera, azione, estetica ed etica, profitto, geometria dei rapporti, legami, religione, senso. Il metodo e i contenuti rivelano come i concetti siano generativi, e producano senso anche e sopratutto quando non sono omogenei. Un'altra maniera quindi di costruire, all'interno di un processo di formazione, un sapere non assertivo, non gerarchico, ottativo.

La legge non si realizza mai nell'anima, sta assurdamente appesa al chiodo di un non so quale pessimo assioma matematico.
Se qualcosa viene sentenziato come legge,
ciò dimostra soltanto che come esperienza intima questa cosa è sopravvissuta.
La legge è il passato, sottoposto alla morte.
Sic.
Ci mancano le eccezioni.
Troppa poca gente ha il coraggio di dire una perfetta stupidaggine.
Spesso una stupidaggine ripetuta diventa momento integrante del nostro pensare; ad un determinato stadio dell'intelligenza non ci si interessa affatto del corretto e del razionale.
La ragione fa cose troppo grandi, sublimi fino al grottesco, fino all'impossibile.
Con la ragione distruggiamo Dio, immensa idiosincrasia.
Che diritto vanta la ragione su ciò?
Essa si fonda sull'unità. Su questa si fonda la comunità. Ci sono troppi mondi che non hanno niente a che fare l'uno con l'altro, così la charteuse verde con le visioni nelle quali si converte. Quando un simpatico contemporaneo si dedica a qualcosa di straordinario, lo rinchiudono in manicomio. Signori, l'uomo non si interessa soltanto del vostro mondo razionale. perché non volete capire che la vostra ragione è monotona?
Tutto sterilizza la ragione, la maggior parte delle cose essa le liquida in sfumature che si presumono irrilevanti, il resto è norma, validità, monotonia, democrazia, stabilità. Signori, occorre che l'intelligenza e la fantasia della gente si manifestino nell'acchiappare il lampo, siete pregati di distinguere. Vi assicuro che io, per esempio, vivo soltanto perché mi suggestiono; in realtà io sono morto.»

Carl Einstein, Bebuquin o I dilettanti del miracolo


Morte, dalla parte dei dilettanti

Nell'azione generale di colonizzare parole e concetti con l'obiettivo di rigenerare le logiche e gli eventi, occuparsi del concetto della morte è un compito fondamentale. L'esperienza della morte è l'unica che ha un rapporto universalmente riconosciuto con l'alogico, che si significa per individui, gruppi e culture, in una dimensione mistico religiosa con aspetti della più incredibile e gioiosa diversità. Ma più laicamente, nell'esperienza della morte, per come noi riusciamo a percepirla dalla parte dei viventi, si entra in relazione con il potere dell'assenza. Nell'esercizio di questo potere accettiamo di convivere con il sovvertimento di ogni logica. Carl Einstein sosteneva in Lo snob e altri saggi, che tutte le concettualizzazioni siano l'effetto della paura della morte, una limitazione e una riduzione di rapporti, una trincea serrata contro tutto l'alogico per la sola paura del mortifero. Tuttavia noi sappiamo che l'assenza è pervasa da un potere incredibilmente effettivo; la mancanza o la non presenza sono forze determinanti per la generazione degli eventi.
In questo senso l'indagine sulla morte non ha nulla di macabro e finale. Inoltre, non è la sola morte, la parte inspiegabile della nostra vita. Diventa quindi interessante, per chi ne ha la forza e il bisogno, esplorare la morte come campo semantico, come luogo del linguaggio delle origini, in cui trovare le parole per una potenzialità differente. La morte è la miniera del diamante grezzo dell'incomprensione. L'assenza è infine una risorsa enorme, tra le nostre scelte, per il nostro comportamento, per la nostra etica. Non esserci, non aderire, non figurare, non prestare nome o volto o identità, scomparire, separarsi dal numero o dalla somma, sono strumenti politici nuovi e importantissimi.
Questo discorso vale tanto più oggi, nel barocco della presenza, o nella sua crisi. La possibilità di essere in molte circostanze contemporaneamente, la progettualità dedicata al se' immaginale, l'adesione a fatti e pensieri irraggiungibili con le nostre azioni, sono gli aspetti più popolari di un'assenza di cui si sta tralasciando la cura. La crisi della presenza, che è una condizione umana che si verifica in ogni epoca su piani di senso differenti, è accompagnata sempre da una ritualità di trapasso, da un luogo di concetto che rilancia il senso della nostra presenza, lo risignifica, lo trasforma, dandogli nuovo ruolo e nuovo coraggio effettivo. Oggi, in assenza, possiamo rifondare i nostri riti dando ad essi un valore differente e totalmente arbitrario, ma che abbia per noi il senso antico di dare valore e celebrare il nostro essere qui e ora.

Il Parco Comune dei Frutti Minori

Una delle iniziative della Free Home University è la fondazione del Parco Comune dei Frutti Minori, avvenuta a Castiglione d'Otranto (LE) dal 10 al 21 di aprile 2014. Il progetto nasce nella collaborazione con Casa delle Agriculture Tullia e Gino, Comitato Notte Verde Agricoltura & Sviluppo Sostenibile, i quali sono cittadini con un profilo che vale la pena rilevare. Essi sono giovani e anziani, filosofi e lavoratori della terra, produttori e ricercatori, studiosi delle origini e riformatori. Questi dualismi convivono talvolta in una stessa persona, talvolta in un gruppo, talvolta confluiscono in un evento, come quelli che stiamo per raccontare. Sono persone di Castiglione e dintorni che hanno preso in carico, attraverso un comodato d'uso gratuito, una risorsa evidente, quella delle terre abbandonate e incolte, quelle terre che appaiono marginali e senza valore, per dichiararle ricche, centrali, aree di libertà, di ragionamento, di possibilità presenti e future.
Non sono gesti simbolici, sono gesti effettivi che hanno un'incidenza sul presente, viste la bonifica e la ridestinazione immediata a bene comune. In quanto “comune” il primo atto necessario è riportare le persone in questi luoghi e dare senso a questo ripopolamento. Le prime azioni sono state filologiche e corrette. Ad esempio l'istituzione di un rito del tutto nuovo, festoso e pieno di fascino, quello della semina collettiva: un'idea dal potenziale incredibile. Oppure la reintroduzione di varietà cerealicole antiche che la massificazione dei prodotti ha sacrificato ma che in brevi aree agricole come queste hanno ragione e lusso d'essere. Ed infine la reintroduzione della canapa come coltura di rotazione e come materia prima, pianta incredibilmente versatile e capace perché un vero filtro per i minerali: dopo averla consumata tutta, per farine e per fibra di tessuti, persino il canapulo, il residuo finale e legnoso, diventa calcecanapa, un isolante edile perfetto di cui gli agricoltori di Castiglione sono capaci sperimentatori.
Ma l'idea più sublime e miracolosa, la più dilettantesca e giocosa e quella che darà per sempre buoni frutti è quella seminata dall'artista Luigi Coppola con la comunità internazionale della Free Home University e il gruppo di persone meravigliose di cui abbiamo parlato fin'ora. Si tratta della piantumazione di un giardino, né pubblico né privato, presso il quale in pochi anni, sarà possibile andare a saziarsi di more di gelso, giuggiole, fichi, melograni, sorbole. Sono frutti che si raccolgono e si portano a casa per una torta, o che ancor meglio, si mangiano sul posto, da appena colti. Se si deve pensare o ripensare al concetto di convenienza, ecco che a questo punto diventa conveniente allungare il giro per la campagna ed essere in quel luogo e non in un altro. La metafora vuole essere gentile perché i gesti che hanno generato quest'azione sono tutti stati condotti in una benevolenza estrema.
Tuttavia occorre ricordare che è da uno stato di abbandono e dolo, da una ferita, che è partita la cura. Ed è quindi da uno stato di diritto leso che riparte la discussione su questi beni. Per ricongiungerci all'inizio di tutti i racconti, denunciare che “la dignità” è stata sottratta, è l'unico caso in cui questa parola può essere usata dignitosamente. Le discariche a cielo aperto sono solo la parte visibile di un comportamento orribile da cui ci si vuole fortemente distinguere. Prendere in adozione queste terre contemplando l'ipotesi che esse siano state duramente abusate, comporta maggior amore e maggiore cura, all'ombra però di una tristezza profonda, causata da altri diversi da noi. Al concetto di diversità contribuiscono però anche altre forme di esperimento provate sul campo: innanzitutto quello di una comunità internazionale, che in qualità di testimone e agente di un processo, da’ valore di verità e interesse, da' parola e racconto a un fenomeno che sta apprendendo ancora il suo linguaggio. La biodiversità è nelle stupende bordure di tutto il Giardino e al centro del concetto dell'orto sinergico, che altro non è che un orto misto tra piante e fiori, tra legumi e liliacee, nelle giuste posizioni, affinché le singole piantine, le sostanze nutritive, l'acqua e gli insetti, siano convenienti gli uni agli altri.
E un'ultima diversità ridiscussa è quella tra la vita e la morte: parte del parco è un Viviterium, un cimitero fatto di vita, in cui gli alberi sono dedicati a persone scomparse la cui memoria è affidata ad un organismo vivente, fruttifero, accogliente, nuovo.

Ridefinire è la sostanza di tutte le azioni fin qui raccontate, una sostanza di portata epocale, in un epoca smascellata come la nostra. Rigenerare quindi le parole, come le terre, e levarle di diritto ai contesti e alle logiche che le hanno abusate, è un'azione reale.
Per questo motivo è bello segnalare la fortuita coincidenza linguistica per cui i frutti che coglieremo da queste e da altre nostre azioni sono detti minori. Minore è un concetto stupendo da cui ripartire. In Sovrapposizioni di Carmelo Bene e Gilles Deleuze, si legge felicemente della forza e l'efficacia del minore, che sfugge all'omologazione e alla museificazione del maggiore, ed è lo strumento perfetto del divenire. E' bello infine che pensare che tutto quanto scritto in questa rubrica sia una delirante e iniziale risposta all'interrogativo di Gilles Deleuze:

«È come se ci fossero due operazioni opposte. Da un lato si eleva a “maggiore”: di un pensiero si fa una dottrina, di un modo di vivere si fa una cultura, di un avvenimento si fa Storia. Si pretende così riconoscere e ammirare, ma, in effetti, si normalizza. Succede lo stesso per i contadini delle Puglie, secondo Carmelo Bene: si può dar loro teatro, cinema e persino televisione. Non si tratta di rimpiangere i bei tempi andati, ma d’essere sgomenti di fronte all’operazione che subiscono, l’innesto, il trapianto fatto alle loro spalle per normalizzarli. Sono divenuti maggiori. Allora, operazione per operazione, chirurgia contro chirurgia, si può concepire l’inverso: in che modo “minorare” (termine usato dai matematici), in che modo imporre un trattamento minore o di minorazione, per sprigionare dei divenire contro la Storia, delle vite contro la cultura, dei pensieri contro la dottrina, delle grazie o delle disgrazie contro il dogma?».

Da G. Deleuze, C. Bene, Sovrapposizioni, 1978, Quodlibet


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Francesca Marianna Consonni ha diretto il dipartimento educativo della Civica Galleria d'Arte Moderna di Gallarate, oggi MAGA. E' curatrice di mostre e workshop, co-direttrice di IN-Deposito Malpensa dedicato alla parte non funzionale degli archivi degli artisti contemporanei. Nel 2010 è entrata in PhoebeZeitgeistTeatro come curatrice e dramaturg.