Attraversare le contingenze allargando le prospettive

12/07/2014
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Sogni realizzati

Una mostra al Pastificio Cerere racconta strategie nate a Varsavia nelle pieghe della pianificazione, dove gli artisti creano luoghi e oggetti strettamente connessi al tessuto urbano. E se ne parla anche al Maxxi, dove Marinella Senatore è premiata per la sua libera scuola...



The Dream of Warsaw, Fondazione Pastificio Cerere.Paulina Olowska, 3, dalla serie Accidental Collages, 2004. Courtesy Museo d'Arte Moderna di Varsavia



The Dream of Warsaw, Fondazione Pastificio Cerere. Janicka e Wilczyk, Ghetto piccolo. Vista dalla Grzybowska 5 in direzione sud ovest 8 aprile 2011. Courtesy Galleria Nazionale d'Arte Zacheta



The Dream of Warsaw, opening 29 maggio 2014, Fondazione Pastificio Cerere. Foto credits M. Sputowska


The Dream of Warsaw, Katarzyna Przezwanska, Senza titolo, 2014. Courtesy l'artista e Galleria Dawid Radziszewski. Credits Bartosz Stawiarski



The Dream of Warsaw, Fondazione Pastificio Cerere.Aleksandra Wasilkowska (particolare)



Premio MAXXI, Marinella Senatore, performance



Premio MAXXI, Marinella Senatore, performance



Annalisa Cattani intervista Gabi Scardi, curatrice della mostra The Dream of Warsaw. In Polonia: cioè dove? alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma.

The Dream of Warsaw. In Polonia: cioè dove? è una mostra che presenta le sfaccettature della città di Varsavia attraverso il percorso di svariati artisti polacchi. La curatrice della mostra Gabi Scardi, da diversi anni si occupa di arte pubblica.
E' una mostra che viene da lontano per tanti aspetti, innanzitutto a partire dal titolo, ma anche per quanto ti riguarda. Da dove nasce la curiosità di voler dare una visione polacca dell'arte in questo momento?

E' una mostra che come sempre nasce dalla vita quotidiana di chi organizza e dei curatori. Io ho lontane origini polacche e la Polonia è un paese che mi ha sempre attratto anche da un punto di vista artistico.
Da anni il Padiglione polacco a Venezia è uno dei più interessanti, e questo vale sia per la Biennale d'arte che di architettura. Inoltre l'Istituto di cultura Polacco mi ha invitato, già molti anni fa, ad organizzare una serie di residenze e studio visit.
Questi elementi si sono saldati, come succede sempre, ed è nato il desiderio di approfondire la mia conoscenza di Varsavia, città stupenda, contraddittoria e complessa, e proprio per questo una città che incuriosisce.

Molto spesso chi non si occupa direttamente di arte pensa che la curatela di una mostra si limiti “ad uno studio prettamente teorico”, in realtà è un percorso di vita a tutti gli effetti che spesso è della durata di diversi anni e che si arricchisce di relazioni e rapporti che durano nel tempo e che trasformano proprio queste mostre in oggetti dialettici. Come si articola, rispetto a questo, la mostra?

Come dicevi, tutte le mostre sono come iceberg, delle parti che emergono, delle energie che si catalizzano intorno a un tema.
Il percorso nasce da un'opera di Artur Zmijewski che ho visto molti anni fa e che mi è rimasta impressa. Zmijewski, un grande artista polacco estremamente conosciuto, ma l'opera in questione è un tributo ad un altro artista, un visionario: Oskar Hansen, personaggio che partecipò alla ricostruzione della Polonia e che ha condizionato l'ambiente culturale polacco. Quest'opera l'avevo trovata struggente ed interessante, immaginavo una città aperta e veramente umana a fronte di una realtà in cui si imprimevano delle ideologie con risultati devastanti.
Intorno a questo lavoro si sono aggiunte altre opere come quella di Paulina Oloska e di Joanna Rajkowska. Quest'ultima è un artista che realizza progetti pubblici all'interno della città, questi non possono essere realmente esposti in mostra, ma si possono riportare l'idea del progetto e il suo esito attraverso immagini e documentazioni.
Le opere, appunto, concatenandosi formano un discorso frammentario intorno a Varsavia, frammentario in quanto composto da differenti visioni.

Vuoi parlarci di un progetto in particolare?

Ad esempio quello di Paulina Oloska, si tratta di una serie molto ampia di Accidental Collages- opere che vengono dal Moma di Varsavia - in cui l'artista combina fotografie di sé stessa e dei propri amici con documenti storici dove compaiono elementi architettonici, mappe e immagini tratte da riviste di moda. Il tutto racconta l'esperienza quotidiana che potremmo avere di una città in cui si confondono non solo stati ma anche tempi diversi.
Le documentazioni provengono in parte da archivi storici e sono assemblate assieme ad immagini create dall'artista, quindi l'opera è stratificata e composita, muta a seconda di chi la guarda e a seconda del punto di vista da cui la si guarda, ovviamente i riferimenti che abbiamo possono modificarne la percezione.

A proposito di questa visione, mi riferisco all'artista Rajkowska che prima nominavi. Il laghetto che ha costruito mi ha fatto venire in mente una visione utopica ma allo stesso tempo distopica della città, sia per come viene rappresentata che per come il progetto si inserisce nel tessuto urbano. Le modalità che un'artista utilizza negli interventi pubblici cambiano a seconda degli intenti, ma si tratta sempre oggetti dialettici che agiscono e che creano dei rimandi importanti nel territorio.

Nel caso di L'Oxygenator, l'ossigenatore di Joanna Rajkowska, si tratta di una sorta di laghetto che l'artista ha collocato in un luogo della città che allora era assolutamente irrisolto. La volontà dell'artista era conferire alla zona un nuovo punto di riferimento, un luogo di sollievo, di contemplazione e gioco, al fine di stemperare le contraddizioni interne per creare un punto di convergenza e di senso.
I progetti pubblici, come questo, nascono sempre da quello che gli artisti trovano sul luogo e che decidono di far emergere, dandogli un significato ulteriore e dando inoltre molta importanza all'aspetto progettuale e costruttivo - accrescitivo.
Gli artisti che lavorano in questo modo vedono nell'arte una completa possibilità di adesione alla realtà e un'occasione di intervento nella realtà sociale e relazionale, cioè quella realtà in mezzo a cui viviamo tutti. E' interessante la possibilità di vivere i luoghi, sperimentare e proporre modelli alternativi a quelli già esistenti orientandosi verso un'idea di crescita e sviluppo sostenibile.

Un'altra cosa secondo me molto interessante è vedere la mostra come processo, ovvero come occasione di ricerca. In questo caso l'aspetto processuale sta nel fatto che tu in primis hai preparato le persone che accompagnano il visitatore all'interno della mostra, inoltre è stato creato un link molto importante con il MAXXI, il quale ospita due incontri dal titolo A Tour of the Monuments in Warsaw.
E' interessante il fatto che sia stato creato un progetto parallelo che affianca la mostra mantenendola vitale, su cosa vertono questi incontri? Sei soddisfatta dello sviluppo di questo progetto?


Sono molto felice di questo progetto, di come è andato e sta andando. Sono programmati due incontri al MAXXI, spazio istituzionale per eccellenza, molto importante per gli artisti.
Per istituzionale si intende anche uno spazio legittimante ed è proprio lì che ospiteremo le due personalità: Alexsandra Wasilkowska, invitata perchè - oltre a essere un'artista e designer - è anche un'esperta teorica di tematiche urbane, infatti ha realizzato un lungo studio che ha avuto esito nel progetto in mostra, ma anche in un bellissimo libro che si chiama Shadow Architecture.
Il suo sguardo è volto a realtà laterali, come all'architettura informale e tutto quello che è difficile da regolare e da analizzare, quelle realtà nate nelle pieghe della pianificazione, ed è proprio lì che oggi - come sempre del resto - si possono trovare le forze trainanti, le più vitali dell'economia globale e del tessuto urbano.
Lei racconta di realtà che spesso vengono marginalizzate, come l'economia informale dei venditori ambulanti che vengono sempre più spinti fuori dal centro della città ma riescono sempre a ritrovare la propria strada.

Il secondo incontro sarà con Sebastian Cichocki, curatore del Museo d'arte moderna di Varsavia, che parlerà del Parco di Brodno dove Pawel Althamer, assieme a molti altri artisti, ha lavorato e sta lavorando per creare una situazione sostenibile, un luogo piacevole in un'area costituita da grandi edifici apparentemente asettici ed inospitali. Qui gli artisti stanno cercando di far emergere il lato "umano" dell'abitare, l'aspetto più vitale.

Cogliamo l'occasione di parlare del Premio MAXXI, fino ad ora abbiamo parlato di una mostra estremamente articolata piena di speranze nei confronti del futuro; in concomitanza il MAXXI ospita una mostra un po' più istituzionalizzata, una sorta di Turner Prize italiano, cosa ne pensi? C'è un'opera che ti ha colpito in modo particolare?

Si tratta di un'edizione eccezionale, cito gli artisti candidati che sono Yuri Ancarani, Micol Assaël, Linda Fregni Nagler e Marinella Senatore. Le loro sono quattro straordinarie opere; citerei per prima, semplicemente perchè è molto in linea con quello di cui abbiamo parlato oggi, Marinella Senatore con il suo The School Of Narrative Dance.
La Senatore ha creato una scuola itinerante gratuita dove chiunque può insegnare o essere studente, e in cui il pubblico diventa protagonista del processo di costruzione dell’opera. Questo è un lavoro davvero eccezionale, ma anche gli altri sono straordinari: dal video di Yuri Ancarani sul calcio, dove il calcio però non c'è, al magnifico lavoro di Linda Fregni Nagler e anche l'installazione di Micol Assaël, ambientale e di grande respiro.


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Quest'intervista fa parte del ciclo Voices, archivio sonoro di interviste in progress un progetto UnDo.Net in collaborazione con Humus, programma radiofonico di approfondimento culturale condotto da Piero Santi su Radio Città del Capo.

Annalisa Cattani è artista-curatrice, Ricercatrice di Pubblicità e Arte vs Retorica, insegna all'Accademia di Belle Arti di Ravenna, al LABA di Rimini e allo IULM di Milano.