Attraversare le contingenze allargando le prospettive

27/03/2015
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La libertà dell'ozio



Marcel Duchamp





Giancarlo Norese, Negozio, 2014, Nowhere Gallery, Milano





Gustave Courbet, Gli spaccapietre, 1849





Talk to The City, I giovani artisti parlano alla città, un progetto di arte pubblica C-O careof, Milano


Di Rossella Moratto

Ermanno Cristini apre un'interessante discussione, stimolato dall'osservazione di una crescente diffusione di tematiche politiche nelle pratiche artistiche contemporanee che riprendono temi e modi della fine degli anni '60 e sembrano voler rivendicare una rinnovata valenza etica e partecipativa dopo un periodo di disimpegno. Voglia di '68 dunque? Si riparla di arte politica?

Assistiamo, infatti, a un proliferante interesse per le questioni sociali con esiti di crudo realismo, addirittura di denuncia, specialmente da parte di artisti provenienti da aree di conflitto o di grande riassestamento geopolitico (Africa, Asia, Medio oriente). Questa rinnovata attenzione e focalizzazione sulla realtà contemporanea e le sue contraddizioni e storture si inscrive a pieno titolo nella tradizione mai spenta del realismo occidentale, così come si è sviluppato dalla seconda metà del XIX secolo, quando si affermò l'esigenza di un'indagine empirica sul reale, mossa dal bisogno di contemporaneità – come affermava Gustave Courbet "L'arte della pittura non può consistere che nella rappresentazione di oggetti visibili e tangibili dall'artista" – unita alla consapevolezza storica del ruolo eticamente responsabile dell'artista come intellettuale, con possibili, anche se non necessarie, implicazioni etiche e ideologiche.
Implicazioni che si manifestano oggi nell'interesse per il quotidiano e la contingenza sociale ma anche nel bisogno di una rilettura della storia – passata e recente – e di una pratica artistica come archivio che utilizza e decostruisce criticamente i codici massmediali attraverso i quali si tramanda la storia e si definisce il presente, attuando un processo di riappropriazione delle fonti.

Una così forte carica di ideologia e impegno pone in primo piano la questione dei rapporti tra l'arte, la politica e la società. Questione complessa e di fatto segnata da un'inevitabile ambiguità: l'esigenza di verità e responsabilità etica e politica dell'arte si scontra con il suo essere espressione di una società tardo borghese cui è destinata e con il suo essere parte integrata e integrante di un sistema di mercato.
La cosiddetta arte impegnata, sussunta all'interno di un ambito elitario, fruita e venduta come merce di lusso, si riduce quindi a uno spettacolo, con scarsa o nessuna incisività concreta. Nell'attuale condizione di sovraesposizione mediatica, la sua capacità di influenza o di intervento nel reale – e di avere quindi efficacia politica – è limitata nella migliore delle ipotesi alla possibilità di stimolare la sensibilità del proprio contesto specifico. Il pubblico dell'arte contemporanea è ristretto, anzi ristrettissimo.
Non lasciamoci ingannare dai gradi numeri sensazionalistici delle mostre-spettacolo come la recente di Chagall a Palazzo Reale di Milano, con 340.000 visitatori: di questi, solo una minoranza infinitesimale frequenta il ristretto ambiente delle istituzioni e delle gallerie, dove il pubblico è spesso formato da addetti ai lavori e da collezionisti (che, si spera, comprino).
I maggiori investitori nell'arte – i grandi mecenati contemporanei – sono grandi aziende, anche multinazionali, per le quali l'arte è una forma di visibilità e promozione, che scambiano denaro con contenuti simbolici. Il messaggio politico è addomesticato all'interno di un contesto di fatto scollato dalla società e in questo spazio vuoto si consuma il potenziale di impegno che non ha tanto esigenze di intervento sociale quanto di affermazione dell'opinione dell'autore.
Del resto, l'interesse per il presente e la storia non si accompagnano necessariamente a una pratica politica. Un'arte impegnata, orientata e finalizzata a un'azione politica nella società reale, rischia di perdere la sua identità specifica nell'attivismo, alla ricerca di nuovi modelli di fare opposizione in un momento storico di crisi delle pratiche militanti tradizionali.
L'impegno del realismo contemporaneo è una scelta di campo che relega la "voglia di '68" a una posizione personale, a un commento fuori campo non potenzialmente pericoloso né destabilizzante.
Se una dimensione politica e una "voglia di '68" esistono, come valenza etica alternativa all'esistente, queste vanno rintracciate non tanto nella scelta dei contenuti e delle tematiche quanto nel fare arte in sé, come attività creativa non finalizzata, divergente dall'etica del lavoro e del profitto, che si sottrae alla logica dominante della produzione-consumo e rivendica la dimensione dell'ozio.
Nell'essere attività espressiva inefficiente, non collocabile, energeticamente dispersiva e perfino potenzialmente fallimentare, l'arte libera dosi di creatività non orientata represse e comprese nell'ambito produttivo, ed è già per questo controcorrente e concretamente alternativa al sistema dominante.
"Ozio è libertà di vagare, di pensare, di immaginare. Ozio è libertà di essere, è essere. Il suo opposto non è labor (fatica), ma negotium, il luogo, il tempo, l'azione di scambiare. Ove avviene un'attribuzione di valore, attraverso una relazione di potere" ( 1 )
È la condizione diffusa fuori dai circuiti istituzionali, vissuta da molti artisti che producono e gestiscono spazi indipendenti di cui abbiamo numerosi esempi, artist /curator run spaces. Pratica orizzontale e autogestita della propria creatività che prescinde dai ruoli normalmente imposti dal sistema dell'arte e nega la mercificazione artistico-culturale e la riduzione dell'arte a strumento di controllo o di mercato, ricercando semmai un'altra economia, di piccola scala, e gestita in prima persona, senza mediazioni.
Arte come ozio quindi, intesa come spazio libero di ricerca intellettuale non finalizzata ma anche, in un contesto più ampio, come pratica che assume la valenza di un nuovo modello di utopia sociale: l'ozio creativo, nell'accezione descritta da Domenico de Masi, ( 2 ) intesa come sintesi di piacere e dovere "La missione che ci sta davanti consiste nell'educare noi stessi e gli altri a contaminare lo studio con il lavoro e con il gioco fino a fare dell'ozio un'arte raffinata, una scelta di vita, una fonte inesauribile di idee. Fino a farne un ozio creativo", che il sociologo vede come spazio privilegiato e necessario all'elaborazione di idee e soluzioni , nell'orizzonte delle trasformazioni della società postindustriale occidentale, in cui si assiste a in modo autonomo, una progressiva destrutturazione del tempo e dello spazio del lavoro. "La sua autorganizzazione è un caos che miracolosamente si compone e ordinatamente si struttura grazie alla motivazione [..] L'organizzazione apprende dalla propria esperienza; metabolizza le più moderne tecniche costruttive, comunicative, estetiche: include e accoglie azzerando ogni senso di estraneità in chi partecipa come in chi assiste" ( 3 )
Un'utopia? No, l'arte in sé già sperimenta tutto questo, recuperando la componente ideativa e utilitaristica della creatività, riorientandola in una forma di sapere liberato.

"Non è dal lavoro che nasce la civiltà, essa nasce dal tempo libero e dall'ozio"
Alexandre Koyré (4 )

1) Maurizio Costantino, nota introduttiva a Kazimir S. Malevič, L'inattività come verità effettiva dell'uomo, Asterios, 2012
2) Domenico De Masi, L'ozio creativo. Conversazione con Maria Serena Palieri, Rizzoli, 2000
3) Ibidem
4) Alexandre Koyré, Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione, Einaudi, 2000



Rossella Moratto è critica e curatrice indipendente. Si interessa alle ricerche che operano sull'interferenza e contaminazione interdisciplinare di linguaggi, tecniche e codici semantici. Ha curato diverse mostre, collaborando con istituzioni pubbliche, gallerie private, spazi alternativi e no profit. Suoi contributi sono stati pubblicati in in cataloghi e riviste specializzate.


Questo testo è parte del dibattito "Voglia di '68?" avviato da Ermanno Cristini sulle pagine di UnDo.Net, a cui stanno contribuendo artisti e curatori...

L'Attitudine di Nanà
La prima puntata con Ermanno Cristini (18/11/2013)

Azione e reazione
L'artista Chiara Pergola ci parla di "esprit d'escalier" ma anche di Azione e reazione... (06/12/2013)

Etant donnés
La terza puntata con la conversazione tra Alessandro Castiglioni e Jacopo Rinaldi (17/01/2014)

1968 o 2068?
La quarta puntata con Francesca Mangion (15/02/2014)

Che cosa è andato storto?
La quinta puntata con Lorenzo Baldi (7/03/2014)

Generazioni vittime di un equivoco
La sesta puntata con Andrea Naciarriti (10/04/2014)

Turbare il passato
La settima puntata: Marcella Anglani parla di mostre che fanno molto pensare...(10/04/2014)

Qual'è, se è, l'arte del Sessantotto?
L'ottava puntata con Stefano Taccone (7/06/2014)

La Rivoluzione in eccesso
La nona puntata con Matteo Innocenti (23/07/2014)

Tra le righe
La decima puntata: una storia articolata di Lorena Giuranna (30/10/2014)

Dell'arte e della politica
Undicesima puntata: Maurizio Guerri interviene nel dibattito (09/01/2015)

Coltivare l'eccezione...anziche' la regola
Dodicesima puntata: dialogo tra Lisa Mara Batacchi e Lapo Binazzi (28/02/2015)