Dieci.due!
Milano
via Volvinio, 30 (passo carraio)
02 58306053
WEB
Franco Baccan
dal 30/3/2010 al 29/4/2010
mar-ven 15.30-19 e su appuntamento

Segnalato da

dieci.due




 
calendario eventi  :: 




30/3/2010

Franco Baccan

Dieci.due!, Milano

I lavori esposti in mostra sono il risultato raggiunto da Baccan nei disegni a pastello: carte in cui il coinvolgimento emotivo e visionario si elabora nell'accostamento di due tonalita' che sollecitano un coinvolgimento immediato in chi guarda.


comunicato stampa

Colori, ricordi ed evocazioni: i pastelli di Franco Baccan

Si pensa che la ricerca di un artista sia un flusso continuo di esperienze che si susseguono e stratificano nel tempo, una dopo l’altra incessanti e che in questa progressione – lenta o rapida a seconda dei caratteri e dei temperamenti – si verifichi sempre una cesura con quanto avvenuto immediatamente prima. Il pensiero esteso attraverso le opere si presenta in un apparente flusso di sorpassi e superamenti, un libro che pagina dopo pagina annota i traguardi ottenuti in attesa di farsi scivolare nel raggiungimento delle conquiste – o regressioni – successive.

Ciascuna ricerca pare quindi scandirsi in un ritmo di raggiungimenti e risoluzioni, in tappe di volta in volta conquistate, in una sequenza che rappresenta la maturazione del linguaggio e della poetica dell’artista che le persegue. Se può generalmente essere accettata una tesi di questo tipo va anche rilevato che non sempre questo accade con così pianificata e ordinata chiarezza e regolarità: molto spesso, soprattutto per quegli artisti che si contraddistinguono per una più marcata e acuta sensibilità e una capacità di riflessione più penetrante e critica, il flusso delle idee non segue un orientamento tanto regolare. Pensare alla propria azione, al proprio agire secondo l’individuale vocazione artistica, può accettare la logica del ritorno, del dejà vu, un qualcosa che riaffiora come istanza proponente, urgente e necessitante, da un passato trascorso; assecondare questo guardarsi di nuovo alle spalle è contemplato come scambio, interazione, come momento per una revisione o una re-interpretazione di un dato che si pensava acquisito.

Oggi, momenti in cui pare predominante doversi adeguare alla logica di un mercato che impone – spesso le vittime sacrificali del sistema sono gli artisti più giovani di cui si soverchia carattere e ricerca – l’adeguamento alla richiesta del pubblico secondo mode e gusti, gli artisti vedono svilire – talora inconsapevolmente – il valore del contenuto del proprio cercare e della poesia che con l’arte dovrebbero perseguire: producono opere perché queste vengano vendute senza badare troppo all’individualità del linguaggio, alla personalizzazione del lavoro, allo stato d’animo della meditazione. Si fa molto senza pensare alla sostanza e al contenuto. Altri artisti invece inseguono la logica del loro pensiero assecondando quel tortuoso percorso che lo traduce in opera sia osservando le conquiste di volta in volta ottenute, sia agendo con continui ripensamenti e analisi della e sulla propria storia.

Un artista che ha scelto di dare ascolto alla voce della propria sensazione – non curandosi di null’altro se non della propria arte – è Franco Baccan che, con questa sua recente serie di lavori, opera un ritorno ad una tecnica che non utilizzava in modo compiuto da alcuni anni: incontrati, o meglio reincontrati, per caso – ma in taluni casi la casualità pare essere guidata dall’istinto e presentarsi come inevitabile – i pastelli, sentito una sorta di richiamo, inizia ad elaborare dei disegni che lentamente, con grande trasporto e convinzione, lo portano a concentrarsi su un’intuizione e su un senso di rivelazione che hanno acuito il desiderio e la volontà di dover continuare ad utilizzarli. Sebbene concentrarsi sull’elaborazione dei disegni a pastello comportasse un temporaneo abbandono, una pausa, per la sua opera recente, non si è lasciato scoraggiare e ha assecondato quel forte ed insistente richiamo. Da esercizio, quasi un divertissement, si è poi ricomposto come una nuova serie di lavori.

Il risultato del suo impegno è rappresentato da una sequenza nutrita di opere che dimostrano comunque quanto, questo ritorno all’uso del pastello, in Baccan non diventi un’azione nostalgica rispetto ad una tecnica che non esplorava da diversi anni, o una deviazione totalmente eclettica da quello su cui stava lavorando: la riscoperta delle nuove potenzialità che gli vengono suggerite nell’esecuzione dei disegni richiama, al contrario, una coerente relazione con gli esiti ultimi della sua ricerca.

I lavori che sono esposti in questa mostra sono il risultato raggiunto da Franco Baccan proprio nei disegni a pastello: carte in cui il coinvolgimento emotivo e visionario si elabora nell’accostamento quasi sempre di due tonalità – espresse comunque con una infinita gradualità di sfumature e cromie – che alla visione inevitabilmente sollecitano un coinvolgimento immediato in chi guarda. La maturità del gesto, la padronanza e la sicurezza della tecnica e la perizia dell’esperienza di Baccan rendono possibile sulle carte l’impressione di una spazialità atmosferica che apre spazi d’esplorazione e approfondimento cui non ci si può sottrarre. Vederli, caldi e vivi, segnati nel colore catalizza infatti lo sguardo al loro interno e lo fa disperdere nelle trame intricate – per quando labili come una nebbia – delle stesure in cui si svolgono. L’occhio si lascia coinvolgere e non si può fare a meno di ritrovarsi addentro ai lavori, andando a percorrere una spazialità, nebulosa e vaporosa, che si fa evocativa di un vero e proprio paesaggio.

Oltre all’indeterminatezza del segno colorato cui si è fatto cenno, la visione, che ne ha accolto l’influenza suggestiva, orientata spesso tra due colori che, nella loro dialogica contrapposizione – o tentativo di commistione e sintesi – segnano un confine, si ritrova legata ad una sorta di linea d’orizzonte che, in un costante reciproco confronto e dialogo tra di loro, fa emergere un richiamo forte alla di spazialità. Questa considerazione su una dualità dichiarata, implicitamente lascia ricorrere una pausa: la stessa contemplazione che si deve avere in un momento di stacco in cui si tentare di avvicinare quei due opposti, qui, in tale momento, si genera l’estensione di una meditazione resa ancora più profonda.

Ci si perde infatti nel vuoto creato dagli accenti cromatici e, in quella trama intrecciata di chiari e scuri che sono il tratto maggiormente significante del gesto di Baccan, il suo senso del colore allontana la mente da visioni contingenti e ripiega su un’a-temporalità imprevista. Il senza tempo occorrente è quello che lega le sue – ma anche individualmente le nostre – reminescenze per portare all’emersione di un gusto e di una sensibilità che ricollegano queste opere ad una dimensione storica. Come lui stesso ammette, non si può fare a meno di ritrovare l’evocazione della luce di Antonello da Messina, dell’emozionalità di Rembrant fino ad arrivare alla spiritualità di Mark Rothko, non per una sopravvalutazione del lavoro che, nel richiamo alla storia cerca una sua legittimazione, né per una megalomania artistica, ma perché la dimensione storica diventa volontà di denunciare la propria esperienza e il proprio gusto, interessi, richiami e rimandi. Un’eco, che nell’esercizio della propria arte, diventa autonoma sensibilità.

Con le intuizioni generate dal ritorno al pastello si vuole cementare e legare una stratificazione plurisensibile di esperienze che dal lavoro transitano all’osservatore passando dalle intuizioni rintracciabili nella sua ricerca attraverso i dati significanti ormai acquisiti. È evidente che in un’estensione di contenuti così ampia non si possa prescindere dal legare queste opere proprio alla totalità degli altri lavori di Baccan che, come anticipato, non agisce mai disgiuntamente dal senso della sua poetica e non si scosta troppo, pur nella differenza di esiti, dal suo cammino: se si osserva questo insieme di colori nebulosi e opalescenti, fitti di velature e trasparenze, si citano e rincorrono le opere immediatamente precedenti. La visione che tenta di farsi strada tra la nebbia colorata, tra il flusso atmosferico che si fa sipario da scostare per accedere all’esplorazione, si ricollega allo stesso principio del vedere attraverso che caratterizzava i lavori con le cere e le resine di qualche anno fa.

Allo stesso modo la scelta dei passaggi e accostamenti cromatici, che originano intuizioni sensoriali e mentali, ha la stessa vocazione della sperimentazione condotta con i plexiglas colorati. Se quelle precedenti erano affinità molto simili e intuitivamente immediate, una volta che si riesce ad uscire dalla percezione astrattiva di queste carte, intuendo la presenza di un paesaggio – reale o dell’anima – possiamo allora comprendere il legame corrispondente con i piccoli boxes di Baccan: quelle piccole scatole, in cui lo sguardo, spiando attraverso una fessura, scopre all’interno del cubo, minimale e asettico, piccoli ambientazioni, luoghi suggestivi, scorci di paesaggi che, richiamando sempre luoghi reali e naturali, hanno un accento fantasiosamente metafisico.

Baccan opera un dialogo incentrato sulla valenza dell’atto mnemonico nella visione – tra fascino per la storia e continuità nella sua ricerca – e ribadisce questa scelta-inclinazione anche nella scelta di allestimento che si fa parte dell’opera: racchiude le carte entro cornici datate, vecchie, usate e recuperate. Il suo lavoro si argina in tal modo entro il limite imposto da queste cornici che, mostrando inequivocabilmente un loro accaduto autonomo, vogliono sommarlo e accostarlo a quello delle visione-pensieri suggerite dai pastelli stessi. L’insieme generale diventa la custodia, lo scrigno di qualcosa di prezioso, di un segno da salvaguardare nel tempo nella ripetuta amplificazione delle emozioni cui conduce. Baccan opera con la stessa lucida leggibilità e poesia di chi sa guardare oltre la forma contingente e scava nel profondo, guarda dietro e dentro le cose.

Le opere, e relative cornici, accostate le une alle altre richiamano la Wunderkammer di un tempo, la stanza delle meraviglie, che in Baccan da luogo dello stupore, deputato alla raccolta e alla conservazione di tutti quegli oggetti la cui straordinaria eccezionalità stava nelle loro caratteristiche esteriori e intrinseche, diventa la dimostrazione della possibilità di riassumere una storia artistica, la sua storia, nella riduzione al minimo della sollecitazione emotiva attraverso i pochi elementi dei suoi segni cromatici, senza un eccesso di stimoli ridondanti.

L’atmosfera creata dai colori dei suoi pastelli si fa attribuzione per la linearità lucida del suo sguardo e dei suoi interessi che, nella semplice e minimale gestualità con cui sono stati composti, ha accolto un ritorno con disincanto fascino e meraviglia. Elementi che fanno di questo ritorno non un regresso, ma una nuova proiezione in avanti, uno slancio ulteriore nel profondo della sensibilità del suo vedere. Matteo Galbiati, Febbraio-Marzo 2010

Inaugurazione mercoledì 31 Marzo 2010, ore 18.30

DIECI.DUE! international research contemporary art
Via Volvinio 30 [ passo carraio ], Milano
orari: da martedì a venerdì dalle 15,30 alle 19 e su appuntamento
Ingresso libero

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