Ufficio Stampa Palazzo Collicola
Tristan Perich
Mauro Cuppone
Raul Gabriel
Sten&Lex
Kukula
Esao Andrews
Ana Bagayan
Gary Baseman
Tim Biskup
Ray Caesar
Nicoletta Ceccoli
Paul Chatem
Sas Christian
Ron English
Shepard Fairey
Lola Gil
Alex Gross
Naoto Hattori
Ahren Hertel
Aaron Jasinski
James Jean
Ken Keirns
Leilaataya
Kris Lewis
Travis Louie
Tim McCormick
Tara McPherson
Missvan
Scott Musgrov
Niba
Kathie Olivas
Michael Page
Marion Peck
Camille Rose Garcia
Mark Ryden
Mijn Schatie
Todd Schorr
Natalie Shau
Joe Sorren
Jeff Soto
Nathan Spoor
David Stoupakis
Jonathan Viner
Adam Wallacavage
Darren Almond
Francesco Arena
Atelier van Lieshout
Matteo Basile'
Vanessa Beecroft
Marc Bijl
John Bock
Maurizio Cattelan
Loris Cecchini
Peter Coffin
Nemania Cvijanovic'
Olafur Eliasson
Flavio Favelli
Fischerspooner
Kendell Geers
Piero Golia
Peter Land
Else Leirvik
Pascale Marthine Tayou
Yasumasa Morimura
Vlad Nanca
Wang Qingsong
Sam Taylor-Wood
Adrian Tranquilli
Spencer Tunick
Sislej Xhafa
Marisa Busanel
Alexander Calder
Piero Consagra
Robin Heidi Kennedy
Leoncillo
Sol LeWitt
Isamu Noguchi
Richard Serra
Gianluca Marziani
Maria Letizia Bixio
Davide Giannella
Il nuovo progetto Palazzo Collicola Arti Visive, a cura di Gianluca Marziani, apre ufficialmente la sua programmazione artistica. La proposta si struttura in 4 aree tematiche, ognuna rappresentata da un elemento naturale. La Terra, rappresenta i progetti espositivi, il Fuoco la relazione tra l'arte visiva e gli altri linguaggi creativi. L'Aria simboleggia il flusso creativo dentro e oltre la citta' e attraverso i 'Satelliti Collicola' presenta progetti dedicati al territorio. Infine l'Acqua descrive la fluidita' del patrimonio tra memoria e presente attraverso la Collezione Collicola. In programma le collettive Pop Surrealism, le opere della Collezione Sciarretta e Collicola, e i progetti personali di Tristan Perich, Mauro Cuppone, Raul Gabriel, Sten&Lex.
ACQUA / LA FLUIDITA’ DI UN PATRIMONIO TRA MEMORIA E PRESENTE
COLLEZIONE COLLICOLA
Il rinnovato progetto di Palazzo Collicola Arti Visive cresce su fondamenta solide, lungo radici mai statiche che parlano dell’arte italiana nella seconda metà del Novecento, di scultori ormai leggendari ma anche di artisti territoriali che hanno alimentato la coscienza culturale di Spoleto. Le fondamenta di questo museo riguardano la sua COLLEZIONE, un patrimonio che Giovanni Carandente ha costruito con dedizione e passione, documentando le vicende artistiche spoletine, i grandi sogni progettuali (“Sculture nella città”), gli appuntamenti fissi (Premio Spoleto, Festival dei Due Mondi), il Gruppo di Spoleto, le ricerche dei maestri italiani ed internazionali, fino al legame speciale con Leoncillo Leonardi, il più importante tra gli artisti di Spoleto, colui che inventò il Premio Spoleto e contribuì alla maturazione culturale della città.
Era necessario ripartire da qui, dai pregi filologici del patrimonio, dalle sue peculiarità iconografiche, dai connubi privati che sono diventati la coscienza storica del progetto e delle sue necessarie evoluzioni. Su tali basi, convinti che una collezione contemporanea segua lo spirito del presente, dovevamo plasmarne l’assetto espositivo, creando allestimenti più rigorosi, lasciando maggior respiro tra le opere, invitando il pubblico ad una nuova empatia, ad un viaggio emozionante e sensoriale, ad una narrazione tematica tra memoria e futuro.
La collezione di Palazzo Collicola sarà un patrimonio fluido che si muoverà nel tempo come un organismo vivo. Manterrà alcune linee perimetrali (Alexander Calder, Leoncillo, “Sculture nella città”, Premio Spoleto, Gruppo di Spoleto, Sol LeWitt…) che del museo restano la voce più ampia e la memoria più significativa. Attorno ai perimetri fondativi ci saranno alcune stanze dalla natura mutante, camere che cambieranno aspetto nell’arco delle stagioni, che inviteranno il pubblico a rivedere le nuove assonanze tra opere, stanze dove confrontarsi con la natura biologica, mai statica di una collezione contemporanea.
COLLEZIONE COLLICOLA affronterà negli anni varie tematiche ispirative, mantenendo un denominatore comune: scegliere argomenti che colleghino le origini della collezione alle virtù (e ai molti vizi) del mondo attuale. I sette temi di “Azioni & Rivelazioni” indicano da subito il DNA del progetto, l’equilibrio tra lascito e rinnovamento, la natura emotiva e concettuale della nuova direzione. Un approccio selettivo che partirà sempre dalle radici, dalla fluidità ispirativa del patrimonio disponibile. Ma che non si fermerà alla pura memoria conservativa: al contrario, si cercheranno i molteplici spazi reali in cui il passato plasma le direzioni polifoniche del presente. Daremo finalmente luce a molte opere che giacevano nei magazzini, creeremo alternanza installativa, cercheremo altri spazi in città per mostrare lavori che altrimenti giacerebbero nei depositi, approfondiremo alcuni artisti che operano da decenni sul territorio umbro. E, ovviamente, aggiungeremo nuove opere, ampliando il patrimonio storico ma, soprattutto, portando il raggio della collezione sulle geografie del nuovo millennio.
VOLUME 1 / AZIONI & RIVELAZIONI SALA 1: si inizia dal ritratto che Alexander Calder fece a Giovanni Carandente. Una scultura aerea di sinuosa poesia plastica, un omaggio al grande storico dell’arte che apre il palcoscenico della collezione sul mondo di Calder, sulla genesi del “Teodelapio”, su alcuni preziosi aspetti del maestro americano.
SALA 2, SALA 3 e INTERMEZZO ci portano nei momenti cruciali della cultura visiva a Spoleto, nel suo passato illustre, negli eventi espositivi (“Sculture nella città”, Gruppo di Spoleto, Premio Spoleto) che hanno visto il contributo centrale di Carandente e di altri eccellenti critici e storici dell’arte.
SALA 4 e SALA 5 sono le prime sale completamente riallestite: “L’Emozione del Colore” e “Il Teatro della Vita” individuano due tematiche che, fin dagli anni Cinquanta, hanno aperto l’opera alla tensione del rinnovamento morale, della vitalità urbana, del progresso e del cambiamento nei costumi sociali.
SALA 6, SALA 7, SALA 8 e SALA VERDE mantengono l’attenzione esclusiva su Leoncillo, il grande scultore di cui Palazzo Collicola detiene un patrimonio di rara bellezza. In una delle sale, conservando la raffinatezza del precedente allestimento, si vedranno due opere di Marisa Busanel, artista di spessore e compagna di Leoncillo.
SALA 9, ideale snodo cardiaco della collezione, introduce agli elementi iconografici che caratterizzano lo spirito semantico della collezione. “Segni, Impronte, Matrici, Nuclei, Segnali” chiama in causa l’attitudine informale degli anni Cinquanta, le astrazioni geometriche e razionaliste, gli astrattismi più organici ma anche i segnali pop degli anni Sessanta. Lo spirito avanguardistico dei decenni passati si condensa in una sala di vertigini minimali, frammenti aperti, elementi essenziali, codici multipli.
SALA 10 indaga alcune chiavi espressive per ricavarne lo spirito simbolico, le energie evocative, le metafore e le allegorie dietro la natura plastica dei materiali. “La Mistica della Forma” porta lo sguardo oltre l’ovvietà di certi archetipi, nel mistero silenzioso in cui l’arte alimenta i suoi incoraggianti interrogativi.
SALA 11 racconta “Artifici e Nature”, un legame dialettico che spesso ritroviamo nell’arte recente. Quel rapporto tra natura reale e artificiale, cresciuto figurativamente negli anni Sessanta, sublimato dalle analisi concettuali del decennio successivo, si è evoluto fino all’ecologismo dei nostri giorni, alla sensibilità scientifica che diversi artisti ricercano in modo ormai costante.
SALA 12 parla di “Simboli catartici”, di archetipi dal sangue caldissimo, di oggetti e dettagli dallo spirito militante, magnetico, catalizzante. Anche qui il passato mostra la sua faccia futuribile, la sua lezione morale con cui superare le ideologie e indicare l’utilità della giusta memoria.
SALA 13 ci introduce nelle complesse “Geometrie Mentali”, in uno spazio impalpabile e fluttuante dell’immagine contemporanea. Qui l’opera inventa archetipi sospesi, evoca il cosmo e gli spazi astrali, tessendo alchimie oltre la pura astrazione, oltre la vertigine del realismo.
SALA 14 e SALA 15 raccontano Sol LeWitt, minimalista americano, uno dei nomi più importanti di questa collezione: assieme alla stanza realizzata nel 2000, si aggiunge oggi un’altra sala con una selezione di opere significative.
ESTERNI riguarda le sculture che sono allestite in altri punti di Palazzo Collicola. Richard Serra, Robin Heidi Kennedy, Pietro Consagra e Isamu Noguchi si dislocano nello spazio con opere di forte impatto plastico, evocando il carattere peculiare di Spoleto, la sua energia storica attorno ai temi della scultura ambientale.
----------------------
TERRA / LA NATURA SOLIDA DEL PROGETTO ESPOSITIVO
LE MOSTRE / FINESTRE SUL MONDO
POP SURREALISM
a cura di Alexandra Mazzanti e Gianluca Marziani
POP SURREALISM ci guida lungo la pittura che rispecchia lo spirito più contaminato del nostro tempo. Diverse ipotesi figurative che mostrano la visionarietà e il suo plausibile realismo. Paesaggi, corpi, animali, storie, natura, oggetti: è questo il mondo che si misura con la cifra metabolica degli artisti. Un metaspazio dove tutto somiglia al reale ma dove percepisci atmosfere sospese, un senso di attesa spasmodica e silenziosa, di dubbio o pericolo, di silenzi anormali o strani rumori in arrivo. Un movimento culturale nato in California e ormai diffuso sul Pianeta assieme ad artisti talentosi e visionari. Attraverso quei flussi surreali ci inoltriamo in una pittura narrativa dalle meticolose inquadrature prospettiche. Il metamondo dei sogni, come ci hanno insegnato Luis Buñuel e René Magritte, evoca il lato spiazzante del plausibile, i lati molteplici dell’esperienza ad uno stadio ulteriore.
Un mondo somigliante al nostro che vuole farsi reinventare, richiamando e rivoltando certe matrici paesaggistiche, domestiche, individuali. In perfetta sintonia con le radici surrealiste degli anni Trenta, mescolando la visione con le profezie figurative del pop, gli artisti hanno un occhio chiuso ed uno semiaperto. Sembrano in costante movimento tra la registrazione del reale e la sua immediata rielaborazione onirica. Si attaccano alla vitalità pratica del vivere, ai riferimenti tra infanzia e adolescenza, alle aspirazioni morali e alle cronache del quotidiano. Al contempo, debordano nell’inaspettato, toccano le fisionomie del fantastico metropolitano. Ricreano un possibile surrealismo odierno, figlio di un’epoca trasversale, polivalente, elettronica.
Artisti: Kukula, Esao Andrews, Ana Bagayan, Gary Baseman, Tim Biskup, Ray Caesar, Nicoletta Ceccoli, Paul Chatem, Sas Christian, Ron English, Shepard Fairey, Lola Gil, Alex Gross, Naoto Hattori, Ahren Hertel, Aaron Jasinski, James Jean, Ken Keirns, Leilaataya, Kris Lewis, Travis Louie, Tim McCormick, Tara McPherson, Missvan, Scott Musgrove, Niba, Kathie Olivas, Michael Page, Marion Peck, Camille Rose Garcia, Mark Ryden, Mijn Schatie, Todd Schorr, Natalie Shau, Joe Sorren, Jeff Soto, Nathan Spoor, David Stoupakis, Jonathan Viner, Adam Wallacavage
In collaborazione con Dorothy Circus Gallery
-------------------------
COSMOGONIA - LE SUPERNOVA DEL COLLEZIONISMO ITALIANO
Il piano nobile di Palazzo Collicola, arredato con preziosi mobili d’epoca e quadrerie antiche, entrerà in cortocircuito con le forme dell’arte contemporanea. Il progetto “Cosmogonia” ospiterà giovani collezioni italiane in cui vincono ricerca, sperimentazione linguistica e tematiche urgenti. Gli allestimenti saranno pensati in maniera mimetica e dialogante, come se un ideale principe del Settecento, dopo aver scoperto l’arte contemporanea, decidesse di allestirla tra mobili in legno e ritratti di pittori barocchi.
STEFANO E RAFFAELLA SCIARRETTA
a cura di Gianluca Marziani
La collezione di Stefano e Raffaella Sciarretta ha avuto inizio nei primi anni Novanta prendendo avvio dalla Pop Art italiana, per confrontarsi quasi immediatamente con la giovane arte nazionale - soprattutto quella ignorata dal mercato e praticata quasi timorosamente - e aprirsi negli anni seguenti al lavoro di artisti internazionali con le diverse specificità culturali, sociali, geografiche. L’insieme di queste identità, pratiche, ricerche e interessi, ha consentito la sviluppo della fisionomia eclettica e tuttora in divenire della collezione stessa, che oggi conta circa 400 lavori di oltre 200 artisti, con una predilezione per le ricerche intese ad indagare criticamente le questioni del nostro tempo: la manipolazione dell’informazione, la dittatura dell’economia, i conflitti sociali e culturali, lo sfruttamento dei popoli.
Prerogativa della collezione, sin dall’inizio, è la precisa volontà di sostenere tutti gli artisti che ne entrano a far parte, promuovendo progetti e assistendo la costruzione di un percorso di visibilità all’interno del mondo dell’arte contemporanea. Questo ha portato la collezione a svilupparsi ed espandersi in Fondazione, e dunque la nascita nel 2008 di Nomas Foundation, un organismo mobile, flessibile, “nomade” appunto, che, attraverso una programmazione di mostre, eventi, attività sperimentali, intende sostenere e promuovere la giovane arte contemporanea. In mostra a Palazzo Collicola di Spoleto una selezione delle opere della collezione: dai lavori che hanno segnato le prime tappe di questa evoluzione - lo Yoda Adrian Tranquilli, i busti di Paolina Bonaparte e Alessandro Magno di Piero Golia, Rome One di Spencer Tunick, foto di una performance realizzata a Roma grazie al supporto di Raffaella e Stefano Sciarretta – attraverso il lavoro di artisti italiani e internazionali che si occupano delle tematiche care alla collezione - i Trampoli di Francesco Arena; Young Collector di Pascale Marthine Tayou, Watertower di Atelier van Lieshout - fino alle acquisizioni più recenti, come Arch di Else Leirvik, entrato a far parte della collezione quest’anno dopo la mostra personale dell’artista negli spazi di Nomas Foundation a Roma.
http://www.nomasfoundation.com
-----------------------
FUOCO / LE FIAMME MOBILI DELLA COMUNICAZIONE VISIVA
MELTING SUONI / TRISTAN PERICH
In tutte le sue attività creative Tristan Perich si ispira all’estetica della matematica e della fisica, elaborando forme semplici e sistemi complessi. La sua sfida si traduce in una combinazione di musica acustica ed elettronica, sia nell’espressione digitale che nei modelli fisici del suo operato. Hanno descritto le sue composizioni come “un austero incontro di elettronica e organico”. Le sue opere per solisti, ensemble e orchestra sono state eseguite, tra gli altri, da Bang on a Can, Quartetto Calder, New York Miniaturist Ensemble, Verso Est, Y Trio, Ensemble Pamplemousse presso spazi come Whitney Museum, PS1, Chelsea Art Museum, Mass Moca, Merkin Hall, Stone and Issue Project Room della Zipper Hall di Los Angeles. Nel 2004 Perich cominciò a lavorare sul concetto di 1-Bit Music, un percorso che si conclude con un album “fisico”, un circuito di musica generatrice confezionato all’interno di una confezione gioiello per i CD (Cantaloupe Music).
Il Village Voice lo ha chiamato “dispositivo di tecnologia ed estetica in uno“; Surface Magazine ha chiamato i box di 1-Bit Music “profonda rottura con gli album tradizionali, una risposta alla intangibilità di iTunes e mp3 in una forma grafica realizzata a mano”. Il suo gruppo di musica sperimentale, the Loud Object (con Kunal Gupta e Katie Shima), esegue musica elettronica mediante saldatura di circuiti, in diretta, di fronte al pubblico, spesso su di un vecchio proiettore per rendere trasparente il significato dei loro gesti fisici. Si sono esibiti in Germania, Giappone, Italia (Screen Music 2), Norvegia (Piksel), Inghilterra (Evolution), Islanda (Pikslaverk), Svezia e Stati Uniti (NIME Festival). Perich ha partecipato al primo “Bang on a Can Summer Institute” (2002), eseguendo la sua musica negli spazi del Mass MoCA. E’ stato artista in residenza presso Issue Project Room. Ha parlato del suo lavoro in convegni e conferenze: tra questi si ricordino i due incontri italiani del DorkBot.
Nel ruolo di artista visivo, Perich crea disegni-penna su carta fatti da una macchina. Come per la 1-Bit Music, questi disegni, descritti “eleganti e delicati” da BOMB Magazine, uniscono l’elettronica con gli elementi fisici, esprimendo un processo digitale dei media tradizionali. Ordine e casualità prendono vita nei quadri di Perich, delicatamente eseguiti dalla macchina attraverso disegni minimali, realizzati dall’artista stesso. I disegni della macchina sono stati in mostra nel libro del 2005 “Makers”, oltre ad essere esposti in mostre collettive presso la Fondazione Dactyl, ABC No Rio, il Filottete Center e Greylock. Gli altri progetti visivi, come 1-Bit Video, continuano a spingere i suoi concetti verso nuove direzioni. Perich ha studiato matematica, musica e informatica presso la Columbia University, dopo aver partecipato alla Philips Academy di Andover. Più recentemente ha studiato arte, musica ed elettronica nel famoso Interactive Telecommunications Program alla Tisch School of the Arts, New York University.
http://www.tristanperich.com
---------------------------
ARIA / IL FLUSSO CREATIVO DENTRO E OLTRE LA CITTA’ / SATELLITE COLLICOLA
City Lights / STEN & LEX
a cura di Maria Letizia Bixio e Davide Giannella
La street art è una componente ibrida strettamente legata al tessuto urbano e alla dimensione aerea della città. Il graffitismo negli ultimi anni è stato sempre più istituzionalizzato, comparendo in gallerie e musei; un modo per fissare e consacrare quella che è forse la manifestazione artistica di più facile e immediata fruizione.
Negli spazi del Satellite Collicola viene accolta l’opera di un saldo binomio del panorama street nazionale: -sten- & Lex. Gli interventi si concentreranno sia all'ingresso che all'interno; oltre all’opera in entrata del Palazzo,è prevista infatti al primo piano una project room dedicata all'interazione, per lo più verticale, tra le opere-parete in dialogo con le opere di dimensioni più contenute.
-sten- & Lex lavorano da tempo con la tecnica dello stencil-poster: una rielaborazione dello stencil, di cui -sten-, ideatore della hole school, è uno dei capisaldi italiani, abilmente compenetrata alla tecnica su poster, prediletta da Lex, il tutto sintetizzato nella pratica del décollage. Lo studio parte dalla ricerca dei soggetti, recuperati dagli archivi fotografici storici dell’Italia anni ’60 e ‘70, e sfocia in un linguaggio contemporaneo, pur se realizzato mediante procedimenti tradizionali quali l’incisone delle matrici, il ritaglio, l’applicazione, l’essicazione e la colorazione. La tecnica del poster è il filo rosso che li ha uniti e ne ha fatto un fenomeno di richiamo internazionale.
Tra i recenti successi in Italia e all’Estero, si ricordi la personale presso CO2 contemporary art (Roma), la mostra presso Galerie Itinerrance (Paris) e il Can’s Festival (Londra), rassegna mondiale di street art, diretta dal noto Banksy, oltre al gigantesco stencil di ventisei metri su una facciata della Garbatella di Roma.
--------------------------
ICONOLOGICA / MAURO CUPPONE IL CARISSIMO ESTINTO
a cra di Gianluca Marziani
Ex Chiesa SS. Giovanni e Paolo + Palazzo Collicola
Il nostro protagonista si chiama Mauro Cuppone, esordiente maturo che entra nel pianeta artistico dopo una lunga esperienza nella comunicazione creativa. Nello scatto da un momento concentrato (la comunicazione) ad un momento liberato (l’arte visiva), Cuppone ha privilegiato un tema centrale nella storia dell’arte, ovvero, la morte. Qualsiasi opera, se ci pensiamo bene, incarna una lotta alla consunzione, al relativismo, alla precarietà dell’esistente. Talvolta, però, la morte come immaginario diviene sfida pugilistica ai costumi sociali, attacco frontale alla cultura della rimozione, al moralismo tremolante, alle coscienze deboli. La morte pulsa nel DNA dell’arte visiva eppure non è cosa ovvia esporla in forma dichiarata.
L’Occidente teme la figurazione attorno alla comare secca, ne isola la presenza esplicita e preferisce lo spazio metaforico, il simbolo evocativo, l’allegoria ficcante. Mantegna, Caravaggio e Goya avevano aperto la via coraggiosa del confronto senza filtri, in presa muscolare con la morte al lavoro. Ma non è bastato il loro apporto, anche perché l’arte non incide su un costume sociale in modo totalizzante. In tempi recenti difficile dimenticare il ciclo “The Morgue” di Andres Serrano, viaggio fotografico attorno ai cadaveri negli obitori di New York, non a caso la più evidente dichiarazione di continuità con le posture e i chiaroscuri drammatici del Seicento italiano. Cuppone conosce bene i casi riportati e ne intuisce il valore esempiare, capendo che arte e comunicazione possono parlarsi solo se i temi morali appartengono al tessuto collettivo.
L’autore non voleva chiudersi nel baricentro del piccolo mondo interiore, né affrontare aspetti parziali e troppo soggettivi. Senza fronzoli ha indagato la sfida più estrema, parlando di morte con la giusta sintesi (ecco il “mestiere” di chi conosce i segreti del comunicare) e un cortocircuito che coinvolge e ribalta l’energia mediatica della moda. Design necessario = bara Design ulteriore = decorazione fashion Cortocircuito finale = bara brandizzata da marchi moda Il design si occupa dello scibile umano, affronta la casa e l’ufficio, il corpo e gli spazi del piacere, la città e i mezzi di spostamento… tutto passa sotto l’occhio ciclopico della creatività industriale, nulla sfugge al ripensamento ingegneristico, alle evoluzioni estetiche, ai modelli di crescita abitativa, meccanica e fruizionale. Eppure qualcosa sembra lontana dal design, quantomeno in termini di progetti a diffusione globale.
Parlo del luogo in cui un corpo (diciamo ciò che del corpo rimane) trascorre la maggior parte del proprio tempo dopo la vita, ovvero, la fatidica cassa da morto. Le necessità corporali (la posizione allungata), gli spazi d’alloggio vincolanti (ormai la maggior parte delle bare vanno nei fornetti a muro) e la consuetudine sociale fanno la loro parte, tarpando le ali a qualsiasi sperimentazione che inventi altre posture per il defunto. Pensate, ad esempio, ai corpi in posizione rannicchiata dentro volumi circolari che somigliano ad astronavi: non sarebbe più magico ed esteticamente pregevole? Anche i cimiteri, davanti a bare di forma aliena, potrebbero cambiare le loro architetture e creare luoghi meno tristi, senza quei devastanti muri del pianto collettivo. Difficilissimo cambiare le consuetudini attorno a nascita e morte, in quasi tutte le culture (a parte alcune eccezioni in ambito tribale o in contesti di forte isolamento geografico) permane il tabù estetico che non modifica l’origine arcaica delle tradizioni. A farlo ci pensa l’artista visivo, maestro di utopie plausibili, architetto del tempo sospeso e del viaggio ulteriore.
La sua visione a-funzionale elabora il passo liquido della veggenza, la zona iconografica della riflessione. E porta la forma dove non immaginavamo, verso le zone minate dell’interrogativo, verso le revisioni della norma. Verso un limbo dove verità e sogno hanno qualcosa di simile. Comunicazione + design + fotografia digitale + idea = arte visiva Mauro Cuppone unisce diverse piattaforme linguistiche attorno al principio universale di un archetipo. Come già detto, non affronta alcun processo funzionale e privilegia l’omogeneità estetica, analizzando due momenti che toccano, in modi ovviamente diversi, ognuno di noi: la morte (momento organicamente necessario) e la moda (momento futilmente necessario). Nel decoro impattante dell’oggetto non poteva che privilegiare il culto del prêt-à-porter, punto nodale nel richiamo emotivo del brand e nei processi che il brand impone. Ecco Armani, Valentino, Moschino, Fendi e altri marchi del lusso contemporaneo, tutti famosi in misura planetaria, tutti ben integrati al mercato globale delle merci. Qualcuno ricorderà le opere di Tom Sachs che prendeva packaging di Prada o Chanel per costruire armi o water. In quel caso l’artista americano giocava sul “falso dichiarato” e ricreava oggetti reali con un processo di “plastificazione” evidente.
L’operazione di Cuppone va oltre e ipotizza un falso vero che entra nei piani strategici del design per decifrare la qualità scultorea, quasi munariana delle forme reali. Il processo è mimetico, come se l’oggetto fosse pronto per l’ingresso nel business della distribuzione planetaria. In realtà qualcosa incarna l’assurdo alla Jodorowsky, si sentono echi di un postsurrealismo mediatico che rende plausibile il quasi impossibile. L’artista gioca sul paradosso ironico e rimescola gli immaginari da copertina, imponendo il peso specifico del volume tridimensionale, dell’apparizione realistica, della somiglianza inquietante. La cassa da morto impone un atteggiamento diverso davanti alla scultura. Le sue geometrie riconoscibili ci dicono subito di cosa si tratta, eppure la nuova pelle fashion evidenzia contenuti non solo etici ma anche estetici. Cuppone parte dai volumi obbligati e ci lavora attorno, modificando l’epidermide artificiale e il sistema di percezione culturale.
La cassa rimane quella di sempre ma di fatto la vediamo come mai avremmo immaginato. Si trasforma in un paradossale oggetto del desiderio, entra nel rito feticistico del significante mediatico, esce fuori da cimiteri e station wagon con interni metallici. Adesso la cassa appartiene alla città, si adagia ironicamente tra le strisce di un parcheggio pubblico, occupa spazi in cui la vita prosegue con le sue abitudini. La bara entra nella normalità e ne prende le sembianze, ricordandoci il nuovo approccio della scultura contemporanea. Quando vedi le casse comprendi dove sta andando l’arte del presente: se prima l’opera cercava una distanza dal contesto reale, oggi si ambisce al mimetismo e alla convivenza, creando forme del dialogo urbano, presenze in armonia col rumore colorato del mondo. La cultura figurativa vuole feticci del desiderio proibito, del lusso sensoriale, del sentimento radicale: e li desidera densi, catalizzanti ma anche sintetici, complessi al loro interno ma comunicativi nel loro status formale. Oggetti in empatia con la vita reale, carichi di anomalie purchè dentro il battito del mondo.
L’elaborazione digitale della bara completa il viaggio iconografico del progetto. Era importante uno sfalsamento di materiali e formati, a conferma di un totale cortocircuito linguistico attorno agli archetipi della morte e del vestire. Cuppone veste la bara e crea una sorta di pubblicità impossibile, un quadro anticomunicativo che cambia i contenuti di cassa e abiti. I marchi famosi “vestono” l’esterno di un oggetto che di solito si nasconde sotto la terra o dietro una lastra di marmo: in pratica, la radicale estromissione della moda dai suoi codici d’appartenenza. La morte del marchio, direbbe qualcuno. A me pare la nuova coscienza del brand mediatico, la trasgressione consapevole che rivela i punti deboli dell’edonismo globale. Sarebbe lunghissimo l’elenco di giochi intelligenti attorno alla moda, eppure quasi mai si arriva allo sposalizio radicale tra i due contesti. Nel caso di Mauro Cuppone mi sembra che il messaggio sia estremo, senza fronzoli accomodanti, divertito ma anche tragico nel suo pathos tra presente e futuro
-----------------------------
City Lights / RAUL GABRIEL / “GUD BIKE”
Appunti sul pensiero della “pista ciclabile rimovibile” Piazza Collicola + Cortile Palazzo Collicola
Testi di Raul Gabriel
La pista ciclabile rimovibile, tappeto della forma-pensiero, esempio di “urbage” (urban garbage), diventa una possibilità di potente cortocircuito tra la classicità ed il postmoderno, direi postognicosa, ma non con l’epidermicità di un intervento “a pelle”, estetizzante e riducibile a forma di facile consumo, bensì con l’ambizione di leggere nel portato del postcontemporaneo, direi per paradosso, la monumentalità, la forza di linguaggio possibile ed una via della visione che vuole parlare sullo stesso piano di ciò che nel consueto è inteso come storico. Ovvero, è la ricerca di un linguaggio organico e strutturato a partire dal marginale, che però riveli quanta organicità e prolificità esiste in ciò che è in fondo “derivato” e quasi “scarto“ della vita metropolitana. Non “trash” o semplicemente oggetto “urban” ma la struttura di una scrittura che appartiene al contesto che abbiamo generato nell’ultimo mezzo secolo e che ad una lettura a-pregiudiziale, e visionaria, può rivelare i caratteri di un linguaggio potente e strutturato come quello “classico”.
La pista ciclabile è, insieme ai “semafori” e ai “meccanismi geneticamente modificati“, un rivelare quale assonanza possa esistere tra l’arcaico fino all’ideogramma e la scomposizione come dicevo quasi futuristica-reverse di una delle forme più consuete che conosciamo, quella della bicicletta stilizzata. La scrittura che vi è nascosta, l’estetica possibile, le architetture ancestrali che si contaminano con la “spazzatura “ semiotica urbana. Che ovviamente così “spazzatura” non è. A Spoleto la pista ciclabile rimovibile rappresenta un vero interrogativo. Quindi invito a fare il “salto” e tentare di vedere come esista un’inevitabile osmosi tra i fenomeni della forma e del significato, se sono autentici e dotati di un’intrinseca organicità, indipendentemente da epoche, retorica e materiali. In fondo le lettere di questo alfabeto che si compongono e scompongono mentre si cammina sulla pista ciclabile rimovibile sono omologhe all’aria, come la poesia che in fondo di lettere è composta, quindi di suoni, di vibrazioni dell’aria. Potrebbe essere una bicicletta dell’aria, scrittura che va verso il punto in cui arcaico e futuro si incontrano all’infinito. A posteriori un accostamento al Futurismo viene fuori per dinamicità e movimento, ma con una direzione opposta.
Ovvero, se la “macchina“ era eccentrica rispetto all’uomo in quel caso, una proiezione infinita delle sue possibilità, quasi una protesi, in questo caso sono i “residui” di quella macchina che tornano verso l’uomo attraverso la visione che possono veicolare. La bicicletta ha molto a che fare con il concetto di urban nomads sia per dove l’ho trovata, sia in senso stretto perche nelle metropoli è uno degli strumenti privilegiati per i nomadi urbani. Scomponendo la forma nasce la mia pista ciclabile rimovibile, dove anziché essere rappresentata la forma ripetuta della bicicletta, viene decostruita la sua forma mentre si procede in avanti. La pista ciclabile rimovibile altro non è che un tappeto (red carpet) con la rappresentazione della destrutturazione della forma bicicletta, simbolo paraurbano, spesso stridente con il contesto. Contesto come quello urbano per cui ritengo che una “ecologia dell’urbano” vada profondamente incorporata ad una “ecologia dell’estetica”, intesa non come una decorazione più o meno interessante e troppo spesso “anestetica” ma come vero e proprio “percorso“ nella forma, nel suo sviluppo e decostruzione, nel suo cammino dinamico, che al concetto di statico sostituisca quello di divenire come stato permanente dell’essere e del percepire la bellezza. La metafora di un percorso temporale e formale su cui camminare, compiendo un viaggio estetico oltre che spaziale, relazionandosi con una chiave di lettura comune (la forma bicicletta) che attraverso il “congegno formale” diviene altro, diviene “altra” e costantemente “nuova” nel passaggio da forma a calligrafia e ritorno. La pista ciclabile rimovibile è temporanea e decontestuale, ecologia del segno con alcune stonature inquietanti.
La bicicletta fa parte della mio ritrovamento nell’urbano anche banale, periferico, obsoleto, come la segnaletica, i semafori, i meccanismi industriali, di una visionarietà che questi nascondono. Attraverso la loro scomposizione nei vari elementi che li compongono e la ricomposizione in forma differente, ma sempre a partire da quegli elementi, è possibile comunicare parti di questa visionarietà. Ha a che fare con una messa in scena dell’oggetto “banale” non come ready made ma come chiave per un’estetica di rimando, che dalle componenti dell’oggetto possa ripartire. Un’estetica del suburbano. Il processo di smontaggio/rimontaggio della struttura mostra elementi ambigui che modificano il carattere apparentemente “rassicurante” della forma stessa e del concetto che sottende. Il primo elemento che mi spinge in questa direzione è la bellezza di tali scoperte dentro “l’immondizia tecnologico-metropolitana”. Quando ho visto questa bicicletta sono rimasto folgorato come con i semafori. Ho immaginato una pista ciclabile dove anziché la forma ripetuta della bicicletta ci fosse un suo processo di scomposizione, viaggio nella forma oltre che nello spazio. Il rassicurante concetto di ecologico come “inoffensivo“ e politically correct viene messo in discussione attraverso un processo estetico, dove dalla bicicletta escono punte, forme che mettono in discussione l’idea falsata di una “sicurezza” raggiunta.
Inaugurazione 26 Giugno 2010, 16-22
programma:
ore 11
Presentazione delle mostre e apertura della Collezione Collicola - Museo Carandente
interverranno
Daniele Bendetti, Sindaco di Spoleto
Fabrizio Bracco, Assessore alla Cultura della Regione Umbria
Vincenzo Cerami, Assessore alla Cultura di Spoleto
Giorgio Ferrara, Presidente Fondazione Festival Dei Due Mondi
Gianluca Marziani, Direttore Artistico Palazzo Collicola Arti Visive
ore 18.30
Fulgeance (Francia) DJ SET
una perfetta miscela tra French electro e moderno hip hop strumentale
SPASE/SOUND/BODY 2
coreografia e concept di Benjamin Vandewalle su musica di Alberto Fiori
apertura straordinaria fino alle ore 24
Palazzo Collicola
piazza Collicola, Spoleto
orario: merc-lun 10.30-13, 16-19
ingresso libero