Warehouse Contemporary Art inaugura la prima project room del programma curato da Francesca Referza, con Near earth, una performance di Cristiana Palandri. Un progetto personale, di forte impatto emotivo, appositamente pensato per lo spazio.
a cura di Francesco Scasciamacchia
Sabato 25 settembre 2010 Warehouse Contemporary Art inaugura la prima project room
del programma curato da Francesca Referza con Near earth, una performance dellʼartista
Cristiana Palandri (Firenze, 1977) a cura di Francesco Scasciamacchia. Lʼartista
toscana, già invitata a Teramo nel 2007, per la mostra collettiva Anatema, torna con un
nuovo progetto personale, di forte impatto emotivo, appositamente pensato per lo spazio
della project room di Warehouse.
Se immaginassimo i concetti di scultura (intesa in senso “classico”) e performance come i
due estremi di un segmento, allora potremmo collocare il lavoro di Cristiana Palandri in
uno degli indefinibili punti intermedi ad esso appartenenti.
Poiché lʼartista ha una visione molto ampia del significato di “fare scultura”, è difficile
individuare una preferenza per un mezzo espressivo nei suoi lavori che si presentano
piuttosto come unʼevoluzione intercambiabile fra disegno, scultura, performance e
installazione.
Questo modo di operare è già visibile in Oversight (2008). In questa performance Cristiana
Palandri e Odette Furiani si muovono allʼinterno di uno spazio senza la possibilità di
vedere a causa dellʼabnorme massa di capelli che ricopre i loro volti. Lʼartista, grazie alla
forza di uno “stato allucinatorio” che caratterizza gran parte delle sue azioni, agendo sul
corpo che ha di fronte a sé, arriva a creare una “scultura vivente”, un organismo ibrido.
Una metamorfosi che avviene attraverso lʼintervento della Palandri sia in modo diretto sul
corpo dellʼaltra performer sia attraverso lʼutilizzo di altre sculture e materiali che modificano
il corpo stesso. Lʼorganismo, integrato da capelli, ossa di animali, piume, bende e
sostanze organiche non è più solo umano.
Una successiva evoluzione in campo performativo possiamo riscontrarla in U.O.
(Unidentified object) (2009). Un anno dopo, lʼartista invitata a Bangkok, al Bangkok Art and
Culture Centre decide di usare il proprio corpo come oggetto da modellare. Come dice lei
stessa, “ho costruito sul mio corpo unʼipotetica seconda pelle, una sorta di protesi
spontanea avvalendomi di alcuni materiali ricorrenti nella mia ricerca, come capelli e
piume [...] introducendo, stavolta, il recupero di oggetti spezzati e abbandonati, che in
questo caso caratterizzano lʼambiente della città in cui ho realizzato la performance.”
Anche qui torna il concetto di limite e di “non controllo” nellʼatto performativo. A impedire
lʼazione preordinata, è il crescente impedimento dellʼartista a muoversi a causa delle
protesi che via via bloccano il suo corpo fino a renderlo immobile e irriconoscibile: un altro
organismo che vive di vita propria. Lʼevoluzione della sua pratica ora prende una direzione
più complessa che può essere letta solo in chiave multidisciplinare e multimediale
(utilizzando il “mediale” in senso di media).
È con questo stesso approccio che si può leggere lʼultima performance dellʼartista, dal
titolo Near Earth (2010). Cristiana Palandri in questa occasione ingloba più aspetti presenti
nelle sue precedenti azioni presentando un “nuovo luogo” e una nuova esperienza.
Allʼinterno della project room di Warehouse, lʼartista ha costruito un parallelepipedo in
metallo che attraversa lo spazio con una lunghezza di 6 metri. Lʼaltezza di appena 60
centimetri costringe lʼartista e lʼaltro performer, introdottisi allʼinterno nella struttura, a dei
movimenti molto limitati.
Allo spettatore non è dato sapere cosa accadrà allʼinterno del parallelepipedo poiché
lʼunica possibilità per poter conoscere “il rituale” dei due performer verrà concessa dagli
stessi due che attraverso dei trapani e delle lastre foreranno parte dei lati del gigante
“metal box”, creando così una sorta di “peep show”. Nessuna voce descrive ciò che sta
avvenendo; lo “spettatore”, grazie ai fori, è libero di decidere se partecipare attivamente o
percepire solo quello che è visibile dallʼesterno.
La performance è frutto di unʼallucinazione che si svolge attraverso un rito privato.
Improvvisamente, tramite una serie di macchine appositamente disposte allʼinterno del
“metal box”, comincerà a fuoriuscire del fumo dai fori fino a pervadere tutto lo spazio: una
sorta di annullamento dellʼatto performativo ma anche una presa di distanza dal concetto
tradizionale di scultura-installazione. Questʼultima, tradizionalmente definita nella modalità
tridimensionale, assume ora aspetto di environment che include non solo lʼazione ma lo
spazio in cui è avvenuta la performance e con esso la “struttura scultorea”. Una dualità
interno-esterno (già presente in U.O. del 2009) a partire dal “metal box”: scultura per i
performer che vi si trovano allʼinterno e scultura per gli spettatori che si trovano nella
stanza; e ancora spazio interno alla galleria pervaso dal fumo e, spazio esterno alla
galleria dove potenzialmente il fumo ha la possibilità di espandersi.
Le dimensioni di tali sculture-installazioni sono più di due: lo spazio in cui avviene il
performare; lo spazio (scultura) creato dallʼartista (il parallelepipedo in metallo nel caso di
Near Earth) e lo spazio percettivo. La partecipazione dello spettatore è un elemento
fondamentale in tutto il lavoro della Palandri ma diventa centrale in N.E.. “Ogni
installazione è figlia anche, seppure in modo non esclusivo della scultura. Della scultura
resta e viene ampliato il rapporto con il movimento e quindi con il tempo: da sempre la
figura tridimensionale richiede che le si giri intorno, con una partecipazione anche fisica da
parte dello spettatore un poʼ più forte di quella richiesta dalla pittura. Ogni performance che
faccia muovere il pubblico è ancora figlia, sebbene in modo non esclusivo della scultura”1.
Di sicuro il lavoro di Cristiana Palandri non può essere inserito in nessuna categoria; resta
incompiuto come del resto incompiute sono le sue opere. Altrettanto sicuro è però che la
matrice scultorea ha una sua collocazione nel percorso dellʼartista, non solo negli intenti
ma anche in quello che ci è dato vedere.
Cristiana Palandri è nata a Firenze nel 1977, dove vive e lavora. Principali mostre
personali. 2010: “Noiseless”, Scaramouche, New York; 2008: “Unsettled”, Daniele Ugolini
Contemporary, Firenze; “Oversight”, MLAC, Roma (a cura di Annalisa Di Domenico);
2007: “Stares”, Out of Court, Fiesole (FI), in collaborazione con Quarter Relocated, (a cura
di Sergio Risaliti). Questʼanno lʼartista è stata selezionata per il programma di Residenza
alla Fabrica de pensule, Galleria Sabot & Robert Bosisio, Cluj-Napoca, Romania.
Francesco Scasciamacchia è nato a Maglie (LE) nel 1982. È stato news editor per la
redazione di Flash Art Italia. Attualmente frequenta l'Mphil in Curating Contemporary Art al
Royal College of Art a Londra.
Inaugurazione sabato 25 settembre 2010 ore 18.30
Warehouse Contemporary Art
Via Giulio C. Canzanese, 51 64020 San Nicolò (TE)
Orario: Mart e Merc 15:30-19:30, Giov, Ven e Sab 10:30-13:30 15:30-19:30
ingresso libero