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Franco Fontana
dal 1/4/2003 al 15/6/2003
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1/4/2003

Franco Fontana

Fondazione Italiana per la Fotografia, Torino

Un gruppo di amici, fra cui il fotografo modenese, a distanza di vent'anni, decide di ripercorrere la mitica Route 66 che li aveva visti in gioventu' attraversare l'America profonda di Steinbeck e di Kerouac nell'atmosfera hippy della poesia di Allen Ginzberg. Dal viaggio, realizzato nel 2001, nascono 152 fotografie che dimostrano, oltre ogni legittimo dubbio, che percorrere quel nastro d'asfalto ormai fuori corso non e' affatto, come potrebbe apparire, un viaggio nel passato. E' invece un viaggio nel futuro, e' vedere noi stessi, la nostra civilta', come la vedranno fra mille anni gli archeologi di un'altra civilta'.


comunicato stampa

FONDAZIONE ITALIANA PER LA FOTOGRAFIA

FRANCO FONTANA ROUTE 66

Tutte le strade, in fondo, appartengono più al viaggiatore che le percorre che al luogo geografico che attraversano (Michele Smargiassi)

Questa potrebbe essere la chiave di lettura dell'intrigante mostra di Franco Fontana che viene presentata a Torino dopo la riuscitissima prima a Palazzo Magnani di Reggio Emilia (30 giugno - 4 agosto 2002).

Un gruppo di amici, fra cui il famoso fotografo modenese, a distanza di vent'anni, decide di ripercorrere la mitica Route 66 che li aveva visti in gioventù attraversare l'America profonda di Steinbeck e di Kerouac nell'atmosfera hippy della poesia di Allen Ginzberg.
Dal viaggio, realizzato nel 2001, nascono queste 152 fotografie che dimostrano, oltre ogni legittimo dubbio, che percorrere quel nastro d'asfalto ormai fuori corso non è affatto, come potrebbe apparire, un viaggio nel passato. E' invece un viaggio nel futuro, è vedere noi stessi, la nostra civiltà, come la vedranno fra mille anni gli archeologi di un'altra civiltà.

La US Route 66 inizia in Adams Street a Chicago e dopo 4.000 chilometri, tre fusi orari e otto stati, termina a Los Angeles all'incrocio del Santa Monica Boulevard con Ocean Avenue. Fu istituita negli anni '20 per dotare gli USA di una rete stradale capace di soddisfare il crescente traffico automobilistico e il forte sviluppo dell'economia particolarmente nell'Ovest.
Negli anni '70 la nuova rete di strade veloci a quattro corsie (le Interstate) hanno permesso, evitando i centri urbani, collegamenti più veloci, determinando in meno di dieci anni la scomparsa di tutto quel mondo di motel, ristoranti, pompe di benzina, e persone, la cui fortuna dipendeva dalla Mother Road.
Nel 1994, la 66 è passata sotto la protezione dell'amministrazione federale dei parchi diventando "monumento nazionale": è l'unica strada al mondo ad avere ottenuto questo status; inoltre, con le sue 2.248 miglia, è anche il parco più lungo mai istituito.
La US Route 66 ha ispirato numerose celebri canzoni (Rolling Stones, Woody Guthrie, Nat King Cole, Animals, Depeche Mode), John Steinbeck la cita nel suo romanzo più famoso, Furore, e ha offerto l'occasione alla Beat Generation (Kerouac, Ferlinghetti) di celebrare la vita on the road.
In una carrellata di stupefacente colore Fontana ci rende testimoni di uno straordinario e unico reportage di "architettura veicolare", capitolo a sé nella storia dell'architettura, al servizio del movimento anziché della statica, e già oggetto di affettuosa rivalutazione soprattutto negli Stati Uniti.
Da qui l'assenza quasi totale della figura umana, la cui storia trasuda dalle pompe di benzina, da motel e autogrill dalle insegne e dai segni sull'asfalto, dalle ferite inferte al paesaggio. L'occhio attento di Fontana, la sua capacità di comporre le immagini e di lavorare sul paesaggio seguendo linee e geometrie quasi astratte sostenute dalla compattezza e dal contrasto del colore, affermano anche in questo recente lavoro il suo valore artistico che lo pone tra i più grandi fototografi internazionali.

Franco Fontana (Modena, 1933) è uno dei maggiori fotografi italiani. Ha pubblicato oltre 40 libri e le sue opere fanno parte delle collezioni dei più importanti musei del mondo (Victoria & Albert Museum, Londra; MOMA, New York; Ludwig Museum, Colonia; Musée d'Art Moderne, Parigi; The Australian National Gallery, Melbourne; Stedeljik Museum, Amsterdam; Metropolitan Museum, Tokyo; ecc.). Ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi, ha firmato moltissime campagne pubblicitarie e collabora con importanti periodici italiani ed europei.

La mostra è accompagnata da un ricco volume edito da Skira (30,00 Euro)

ROUTE 66
The Mother Road

La Route 66 viene inaugurata nel 1926, non casualmente quando Henry Ford decide di abbassare il prezzo delle automobili (1). La pressione per la costruzione di nuove strade - nel 1921 era stato approvato il Federal Highway Act, che prefigurava un nuovo sistema di autostrade interstatali - era allora incontenibile. Se si deve andare alla ricerca del "padre" della 66, il titolo spetta a Cyrus Stevens Avery; stabilitosi a Tulsa (Oklahoma), vi aveva costruito, subito dopo la prima guerra mondiale, una stazione di servizio che era presto diventata un punto di attrazione quasi mitico, la prefigurazione di quelli che sarebbero diventati tanti locali "di culto" lungo la "strada". Eletto presidente delle Associazioni delle Autostrade Associate d'America, Avery è tra i promotori, nel 1924, della richiesta formale al Ministro dell'Agricoltura di realizzare un'autostrada che colleghi strade esistenti e di nuova costruzione. Spetta a lui scegliere il percorso definitivo, che si snoda attraverso l'America da Chicago alla California: opta per un tracciato intermedio tra quelli possibili più a nord (l'antico Santa Fe Trail) e più a sud (la Butterfield Stage Line). Il primo nome con cui viene battezzata la nuova strada è Route 60 - si è convenuto che le autostrade più importanti rechino un numero corrispondente a quello di inizio delle varie decine. Alla fine, varie obiezioni portano al felice doppio 6. La Route 66 unisce, fin dalla nascita, territori assai diversi - dai grandi laghi attorno a Chicago ai terreni agricoli ondulati dell'Illinois, dalle bellezze naturali del Missouri alle praterie del Kansas, dai campi di petrolio e dai ranch dell'Oklahoma all'inospitale Panhandle del Texas settentrionale, dagli altipiani e dalle montagne del New Mexico e dell'Arizona al deserto della California meridionale, prima di toccare il suo termine, l'Oceano Pacifico - e presenta condizioni di percorso del tutto differenziate - delle 2248 miglia totali, solo 800 sono lastricate; per il resto, la strada si srotola su terriccio spianato, su ghiaia, su mattoni coperti di asfalto, o addirittura su tavole di legno. Solo nel 1937 una copertura più scorrevole e uniforme - all'asfalto si aggiungono il macadam (pietre rotte pressate) e il cemento - verrà assicurata.
Già nel 1927, la Route 66 è comunemente definita "The Main Street of America", e presto a quest'aura montante contribuisce una vera e propria campagna di promozione, che si avvale delle astuzie e delle più recenti conquiste della comunicazione. La Grande Depressione batte alle porte, i "ruggenti anni Venti" stanno sbiadendo e presto saranno un pallido ricordo. Dopo il crollo di Wall Street, la siccità comincia a colpire, dal 1930 e per sette lunghi anni, le terre del Midwest e del Sudovest. La Route 66 diventa la Dust Bowl Highway (2), la strada, il fiume della migrazione verso ovest: i primi carri degli Okies (3) si mettono in cammino verso la California, la terra del latte e del miele, dove quei contadini poveri e disperati sperano di trovare terreni fertili. Ci restano, del loro dramma, tante fotografie, tra le quali quelle di Dorothea Lange e di Walker Evans. Della famiglia Joad che fugge lungo la 66 verso la terra promessa, parleranno John Steinbeck ne The Grapes of Wrath (4) e John Ford nel film che viene tratto da quel romanzo. Le sofferenze dei contadini non sembrano tuttavia avere mai fine. Il 14 aprile 1935 una grande nube tempestosa di polvere nera scuote il Kansas occidentale, attraversa l'Oklahoma e raggiunge il Texas settentrionale: per chi la vede sembra l'annuncio della fine del mondo, di ogni possibile speranza o tregua. Woody Guthrie vive allora a Pampa, nel Panhandle, guarda la nube scendere sulla terra e oscurare il sole, entra in casa e scrive di getto i versi di una nuova canzone: "So long, it's been good to know yuh, / So long, it's been good to know yuh, / So long, it's been good to know yuh, / This dusty old dust is a-getting my home / And I've got to be drifting along." Quel senso della necessità di vagare, di lasciarsi andare alla deriva diventa uno dei miti dolenti che per sempre accompagneranno la 66.
Ritornano le piogge, la polvere si fa fertile, presto arriva la seconda guerra mondiale, e la strada, dopo i migranti, viene percorsa da truppe e da convogli militari. Con la conquista della pace, la Route 66 ritorna ad essere affollata - non a caso, nel 1946 viene pubblicata quella che diventerà la sua "bibbia", A Guide Book to Highway 66 di Jack Rittenhouse, con ogni genere di consigli di viaggio ("acqua da bere" e un "panno", rispettivamente per affrontare il calore durante il giorno e il rigore della notte nel deserto) e di notizie sui caffè, sulle stazioni di servizio e sulle attrazioni turistiche che si incontrano lungo il percorso. Nel 1946 Nat King Cole registra "Get Your Kicks on Route 66" - una canzone che verrà poi ripresa, tra gli altri, da Bing Crosby, Chuck Berry, the Rolling Stones, Manhattan Transfer, Depeche Mode - e che definitivamente sancisce, con il secondo verso ("Travel my way, take the highway that's the best"), l'entrata nel mito della strada nata solo vent'anni prima. Gli anni Cinquanta registrano la definitiva affermazione della 66 - non solo è la strada ai cui margini ci si può arrestare per calpestare le terre dove spesero le loro esistenze Lincoln, Jesse James, Will Rogers, Mark Twain, ma è anche la via per giungere al Grand Canyon o al Painted Desert o alla Petrified Forest o a Disneyland -, ma anche l'inizio del suo declino - è ormai evidente che essa a fatica potrà sostenere il crescente volume di traffico. Così, mentre nel 1955 Jack Kerouac, in On the road, sogna "una macchina veloce, una costa da raggiungere, e una donna al termine della strada", lentamente comincia la dismissione della 66, sostituita, qua e là, da tangenziali a ridosso delle città e da tratti di strade alternative. Nel 1984, il processo si conclude: l'ultimo pezzo, ancora in uso, dell'antica 66 alza bandiera bianca a Williams, Arizona. Finita la storia, resta solo il tempo del mito.

(1) Per alcune notizie storiche si è fatto riferimento a Michael Wallis, Route 66, The Mother Road, St. Martin Press, New York, 1990.
(2) Lett., l'autostrada della "scodella di polvere", la regione dove i terreni erano diventati desertici negli anni Trenta.
(3) Abitanti dell'Oklahoma.
(4) Furore è il romanzo più noto di Steinbeck, vincitore del Premio Pulitzer nel 1939. Il suo impatto socio-politico è stato paragonato a quello svolto nell'Ottocento da La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe.

Inaugurazione mercoledì 2 aprile dalle 19.30 alle 22.30

Le immagini e la cartella stampa completa della mostra sono scaricabili dal sito
Ufficio stampa: Daniela Trunfio - Emanuela Bernascone Tel 011.544132 Cell 339.6116688 - 335.256829

FONDAZIONE ITALIANA PER LA FOTOGRAFIA Torino - Via Avogadro 4
Orario: mart.- vend. 16.00 - 20.00
Sab. e dom. 10.00 - 20.00
Ingresso intero 6,00 Euro - Ridotto 4,50 Euro
Catalogo: 30,00 Euro

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