Pizia Arte
Teramo
viale Crucioli, 75/a
0861 252795
WEB
Eric Serafini
dal 5/3/2003 al 5/4/2003
339 2780866

Segnalato da

Manuela e Patrizia Cucinella



 
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5/3/2003

Eric Serafini

Pizia Arte, Teramo

(...) Sia che dipinga soggetti di forte attualita', pesantemente segnati dal gusto del tempo presente sia che raffiguri situazioni piu' intime e raccolte quasi prese in prestito da un libro old style di Isabel Allende o da una polverosa pellicola tipo Ladri di biciclette, Eric Serafini trasforma sempre le immagini in flash back, in fantasmi degli anni andati, in un tuffo deciso e profondo nel passato. (...) (Maurizio Sciaccaluga).


comunicato stampa

a cura di Manuela e Patrizia Cucinella

Nel testo di accompagnamento alla mostra dal titolo ''Universi paralleli''
il critico Maurizio Sciaccaluga scrive:
Da una parte avveniristici scorci metropolitani, corpi femminili nude-look degni dei calendari ultima moda, inquadrature macro da documentari scientifici.

Dall’altra un gruppo di gondole romanticamente ormeggiate in un canale veneziano, bambini in maschera, lo sguardo dolce e supplichevole d’un cagnolino. Il tutto uniformato da un curioso e originale viraggio seppia, capace di stornare l’attenzione dello spettatore dai temi dei quadri per indirizzarla verso un’idea di sogno, di ricordo, di viaggio nella memoria.

Sia che dipinga soggetti di forte attualità, pesantemente segnati dal gusto del tempo presente - come gli skyline verticali delle megalopoli, le insegne abbaglianti e ammiccanti della City, i corpi morbidi e senza segreti di starlette e playmate - sia che raffiguri situazioni più intime e raccolte, degne di un’altra epoca, quasi prese in prestito da un libro old style di Isabel Allende o da una polverosa pellicola tipo Ladri di biciclette, Eric Serafini trasforma sempre le immagini in flash back, in fantasmi degli anni andati, in un tuffo deciso e profondo nel passato.

Non importa che si tratti d’un ritratto stile inizio Novecento o di un orizzonte newyorkese stracontemporaneo, da terzo millennio, magari già ferito dal Ground zero e da edificazioni recentissime: l’artista succhia comunque via dal paesaggio e dalle figure i colori vivi e originali - come ci si trovasse di fronte a una cartolina violentata per lungo tempo dal sole e dalle intemperie - e lascia quella patina ocra e ambra tipica delle fotografie ritrovate in soffitta, in album dimenticati, dove anche la situazione più banale è resa affascinante e coinvolgente dalla lontananza e dal mistero. Nelle sue mani ogni cosa diventa reminiscenza, nostalgia e rimpianto, oggetti e immagini sono ritratti come simboli e icone d’epoche e circostanze smarrite per sempre.

Nei quadri non mancano le testimonianze dell’oggi, si sprecano i segni della civiltà massmediale e iperattiva che detta i ritmi dell’esistenza moderna - dall’abbigliamento agli atteggiamenti dei personaggi, dagli sfondi cittadini agli oggetti tecnologici - eppure lo spettatore si trova inevitabilmente a guardare alle proprie spalle, a pensare all’ieri, a ciò che è stato e non sarà più, a quanto ha perso e a quanto che non ha avuto. Si ritrova proiettato indietro nel tempo. Di fronte alla scena usata e comune d’un bar all’aperto, con tanto d’avventori e tavolini, con la tipica ressa dell’ora di pausa (seppure mediata dal tran tran calmo della provincia), il pensiero - fuggendo la realtà quotidiana e stravista, o forse solo non riconoscendola - si trova a correre verso i caffè letterari del secolo scorso, verso le disfide dialettiche stimolate da un’ombretta o un cordiale, verso i fasti di quel Jamaica meneghino animato da Fontana e Manzoni.

Pensa alla poesia d’una situazione lontana per ammantare di fascino quel presente così drammaticamente pragmatico e senza fascino. Serafini toglie al mondo i colori e così facendo aggiunge all’immagine la fantasia, la capacità di trasformarsi in qualcosa d’altro, di diventare veicolo per un viaggio con la mente a ritroso negli anni. Non è detto che un mondo colorato abbia più sfumature, trasparenze e velature di un racconto in bianco e nero, e con i suoi lavori l’artista dimostra che la costruzione di un’immagine non può limitarsi alla tela. Deve andare oltre, deve bucare e squarciare la trama, deve saper vedere attraverso, come faceva il maestro dello spazialismo. Solo che quei tagli Eric Serafini non li fa con una lama, ma con il pennello, costruendo quadri simili a buchi neri, capaci di tuffarsi nelle profondità non solo dello spazio, ma anche del tempo. E quell’attraverso non è proiezione in avanti ma indietro, è un saper rivalutare il passato, trovarlo ancora oggi dentro ogni cosa. La pittura di Serafini è una sorta di macchina a raggi X, che non vede l’interno degli oggetti ma ne inquadra la storia.

Come se (e probabilmente così è) tutto si trasformasse conservando nell’anima - nel profondo - lo spirito dei tempi antichi, e Serafini riuscisse, con i suoi segni morbidi e fluidi, a strappare alle cose questi preziosi segreti.
Nell’ambito della giovane ricerca contemporanea l’artista di Correggio rappresenta un caso estremamente originale. Sospeso tra l’iperrealismo e quella pittura fotografica che da Richter in poi ha avuto numerosi e validissimi esponenti, sia in Italia che all’estero, Serafini abbraccia più stili senza sposarne nessuno. Piuttosto di ognuno riscrive modi e approcci, fondendoli con le tecniche e i segni di un altro. Gli interessa la riproduzione credibile - realistica e pseudofotografica - ma ben presto la trasforma in una visione onirica, resa assurda e fantastica dal viraggio seppia e dalla solarizzazione di alcune parti del dipinto. Gli piace la patina antica, da pergamena, ma la cancella subito puntinandola con superfici minime di colori accesi e fosforescenti, che sembrano consumarla e bruciarla dal fondo.

Gli vanno a genio i temi hard della contemporaneità, dalle metropoli ai nudi ai volti sexy e ammiccanti, ma a questi contrappone immediatamente immagini che paiono uscite dagli spot della Caritas e dei Baci Perugina. Ogni stile si voglia riconoscere nei dipinti dell’artista è subito contraddetto e negato da un’altra - altrettanto immediata - caratteristica delle opere. Perché Serafini non lavora semplicemente sulla costruzione dell’immagine, sulla stesura del tessuto pittorico, ma piuttosto opera sul senso che una serie di effetti speciali, applicati forzatamente ai ritratti o ai paesaggi come fossero i trucchi tipici delle moderne fotocamere digitali, possono suggerire allo spettatore. Mutando radicalmente la storia della figura dipinta. Proiettandola in un universo diverso, lontano, altro. Probabilmente parallelo, dove il tempo e lo spazio hanno concezioni del tutto diverse.


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