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Palermo
via Bandiera, 11 (Palazzo Moncada di Paterno')
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Paolo Morello
dal 5/4/2013 al 24/5/2013
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5/4/2013

Paolo Morello

Galleria Studio, Palermo

Un lume si' gentil. Ritratti di donne comuni che rifiutano le mode attuali del digitale per tornare a concentrarsi sull'eleganza della postura e sull'incanto dello sguardo.


comunicato stampa

Galleria Studio ha il piacere di presentare Un lume sì gentil, fotografie di Paolo Morello. La mostra sarà inaugurata sabato 6 aprile 2013 alle 18,30 a palazzo Moncada, via Bandiera 11, Palermo e resterà aperta fino al 25 maggio 2013.

La mostra.
Che cosa è un ritratto? Qual è, oggi, la sua funzione sociale? Riescono, gli ultimi ritrovati della tecnologia digitale, a soddisfare ancora quel bisogno di rappresentazione che sin dall’antichità ha accompagnato il viaggio dell’uomo attraverso il mondo dell’arte? Muove da queste domande l’ultimo lavoro di Paolo Morello, Un lume sì gentil, una serie di ritratti di grande formato in mostra alla Galleria Studio di Palermo fino al prossimo 25 maggio.

Non pose glamorous di modelle professioniste, ma ritratti di donne comuni: madri, amiche, professioniste. Ritratti che volutamente rifiutano le mode corrive del digitale per tornare a concentrarsi sull’eleganza della postura e sull’incanto dello sguardo. «De gli occhi de la mia donna si move / un lume sì gentil, che dove appare / si veggion cose ch’uom non pò ritrare / per loro altezza e per lor esser nove...» scrive Dante in una delle Rime, offrendo alla storia del ritratto uno spunto eccezionale. È forte, in queste fotografie, la volontà di radicarsi nella storia della poesia e dell’arte e, più in senso lato, in una tradizione culturale che, dietro l’apparenza dei lineamenti, intende utilizzare il ritratto come strumento di indagine sull’identità del soggetto raffigurato.

«Un ritratto – dice Morello – è un’occasione per entrare in relazione con un’altra persona. Una via meravigliosa per fondare una intimità. Che cosa c’è di più emozionante della curiosità che ci spinge verso un altro uomo? Della possibilità che tra le nostre idee e le sue, tra le sue e le nostre emozioni, si riesca a stabilire un patto, un’intesa, un punto d’incontro? Un ritratto è la testimonianza, il ricordo di questa reciproca volontà d’incontro. Ciò che resta maggiormente impresso nella mente di tutti, fotografati e fotografi, ogni volta che si esegue un ritratto con queste intenzioni, è il ricordo dell’esperienza vissuta». Ricordi destinati a durare. Queste immagini sfidano il tempo: riguardarle tra dieci o vent’anni procurerà la stessa emozione, la stessa sensazione di sobria eleganza, che proviamo oggi nell’ammirarle.

Testo critico di Anna Li Vigni
«Così per gli occhi mi passa a lo core» cantava Giacomo da Lentini, poeta siciliano del XIII secolo, in un sonetto che ritrae la grazia dello sguardo magnetico e incantatorio della sua donna. Per la cultura medievale, gli occhi sono la fessura dalla quale spira l’alito d’amore che ha sede nel cuore insieme agli spiriti vitali. È per il tramite dello sguardo che l’amore promanato dalla donna transita, per toccare infine il cuore dell’innamorato. È dallo sguardo e nello sguardo che si compie il miracolo della comunione di due anime. Eppure, difficilmente nei sonetti d’amore dei poeti siciliani o nelle poesie composte da Dante Alighieri in lode di Beatrice troviamo una descrizione dettagliata del volto della donna amata, bensì sempre l’evocazione del suo sguardo, quel visus (dal latino video) che non solo determina il volto tutto, ma finisce per contrassegnarlo anche semanticamente. Dallo sguardo di lei emana un’aura di fascino che obnubila la percezione comune, sicché la donna, come fosse un’apparizione soprannaturale immersa in una nube di luce, assume le connotazioni di un essere metafisico, che il linguaggio umano a disposizione del poeta non può descrivere.

Gli scatti di questa mostra intrattengono una relazione emulativa con gli antichi versi dei poeti mediterranei del XIII secolo che, dalla Provenza alla corte di Federico II, fino al Dolce Stil Nuovo e alla Silvia di Leopardi, hanno cantato il mistero dello sguardo femminile nel suo rivolgersi fuggevole e insieme profondo a chi ne subisce l’incanto. Ut pictura poësis: l’immagine fotografica oggi, con i suoi mezzi, esprime quel nescio quid che ha caratterizzato il fascino dei ritratti al femminile della poesia italiana, sottolineando l’essere Donna (dal latino: Domina), ‘Signora’ incontrastata dell’interlocuzione silenziosa e quasi divina che si instaura nella contemplazione del suo viso da parte di un osservatore.
Il volto è un mistero. Forse il più grande mistero cognitivo. Se da un lato noi esseri umani siamo ossessionati dal viso, al punto che un’area specifica del nostro cervello è addetta solamente al riconoscimento dei volti, e al punto che anche in una macchia insignificante non possiamo non riconoscere un viso che ci osserva; dall’altro lato guardare un viso è un’esperienza difficile, perché esso ci sfugge e ci appare ogni volta diverso in ogni suo particolare.

Guardare un volto, coglierne l’aspetto, è un’esperienza che somiglia a quella di una scoperta, di una invenzione continua da parte di chi guarda. Osservare un volto è ardimentoso e insieme appagante, perché ogni elemento dell’insieme pare sfuggire continuamente e la visione lancia una sfida alla nostra immaginazione coraggiosa: si tratta di una catastrofe percettiva, una trasformazione perenne della forma, una rielaborazione in fieri in cui è proprio il mutamento a far venire alla luce la forma stessa. Perché la forma del volto è organizzazione complessiva, non insieme di dettagli, è una fisionomia, una configurazione di senso irriducibile a particolari singoli. Sia quando guardiamo un viso a noi nuovo, sia quando guardiamo il viso a noi più familiare, ciò che cogliamo è che esso ci si mostra di volta in volta sempre differente.
Il che vale anche per il nostro di viso. Che ci appare sempre mutevole, se lo interroghiamo allo specchio o in un’immagine fotografica o in un ritratto pittorico, come se si lasciasse sfuggire ogni volta un’anima nuova che pure appartiene a noi e che, pur nella diversità, ci rappresenta sempre.

Alle Donne che qui sono immortalate il fotografo ha chiesto, prima di eseguire gli scatti, di mostrare, nel volto, la parte di sé che avrebbero voluto ‘interpretare’. Perché è nel tentativo autocosciente di uscire da sé che forse è possibile rintracciare quella particola inconsapevole e autentica della propria identità interiore. Alcune Donne qui ritratte si sono divertite a impersonare figure femminili lontane da sé, eroine di un sogno, altre si sono piacevolmente smarrite nella ricerca della propria identità visiva, altre ancora, insospettabilmente, come la sottoscritta, hanno riconosciuto se stesse.
Copyright 2013 © Anna Li Vigni


Paolo Morello. Biografia.
Storico della fotografia, collezionista, fotografo ed editore, Paolo Morello si è formato presso la Scuola Normale di Pisa e il St John’s College di Oxford. Per molti anni, ha insegnato Fotografia e Storia della Fotografia presso le Università degli Studi di Palermo, Bologna, Brescia, Verona, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e, dal 2001 al 2009, all’Università Iuav di Venezia. All’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, ha fondato e diretto il Master biennale in fotografia. Dal 2001 al 2010 è stato Contributing Editor della rivista ‘History of Photography’, e dal 1999 dirige l’Istituto Superiore per la Storia della Fotografia. Nel 2011, ha fondato Glint, una casa editrice di volumi di lusso, interamente fatti a mano, con sede a Londra. Nel 2012, ha fondato Studio, una galleria interamente dedicata alla fotografia con sede a Palermo.
È autore di molti fondamentali studi sulla storia della fotografia in Italia. Tra questi: Enzo Sellerio fotografo. Tre studi siciliani (1998); Briganti (1999); Amen fotografia (2000); Gli Incorpora (2000); Fulvio Roiter (2002); Alfredo Camisa. Carteggio 1955-1963 (2003); Piergiorgio Branzi (2003); Mario De Biasi (2003); Ferruccio Ferroni. Carteggio 1952-1959 (2004); Mario Lasalandra. Poeti, maschere, attori, fantasmi (2005); Gianni Berengo Gardin. Venezia (2006); Mario De Biasi. Budapest 1956 (2006); Carla Cerati. Nudi (2007); Gianni Berengo Gardin. Polesine (2008). Nello stesso anno, l’Istituto Superiore per la Storia della Fotografia ha pubblicato anche la sua fortunata Guida pratica al mercato della fotografia, mentre nel 2010 ha visto la luce il primo volume de La fotografia in Italia.
Collezionista appassionato, lavora da quindici anni alla creazione di una collezione di vintage prints, originariamente destinate a costituire il nucleo del primo Museo in Italia interamente dedicato alla fotografia italiana. Selezioni di capolavori dalla sua collezione sono state esposte a Parigi (2007), Milano (2010), e Mosca (2011). Nel giugno 2012, a Londra la casa d’aste Christie’s ha dedicato una intera sessione ad una scelta di opere provenienti dalla sua collezione.
Come fotografo, ha pubblicato per le edizioni di Glint: In principio, La leggenda del Ficus, La nostalgia di Afrodite, La pazienza del legno, Tat Tvam Asi (Tu sei Quello) e Viaggio in Sicilia.

Inaugurazione 6 aprile ore 18

Galleria Studio
via Bandiera, 11 (Palazzo Moncada di Paterno') - Palermo
Visite su appuntamento, via mail galleria@issf.it

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