Amy-d Arte Spazio
Milano
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WEB
The Game
dal 25/6/2013 al 11/9/2013
lun-sab 9-12 e 14.30-18.30

Segnalato da

Amy-d Arte Spazio




 
calendario eventi  :: 




25/6/2013

The Game

Amy-d Arte Spazio, Milano

Business and manipulation. Una mostra composta da tre installazioni, come denuncia e riflessione contro i sistemi malati della nostra economia che investe sull'istigazione all'uso delle armi attraverso il gioco virtuale.


comunicato stampa

Mi piace immaginare che dalla dismissione di una fabbrica nel suo ultimo giorno di vita venga concepita una NUOVA arma, fatta con materiali di scarto. La canna puntata aggressivamente sugli sviluppatori: sono loro, i programmatori, che agendo sulla linea di frontiera, decideranno i sogni e il futuro dei nostri figli.

a Luis
Anna d’Ambrosio

Questa è la “ visione” di The Game …business and manipulation il nuovo progetto economART di AMY D Arte Spazio, che per l’occasione ha scelto tra i suoi partner e/ o interlocutori Vittorio Schieroni, Laboratorio Alchemico, Jaqueline Ceresoli, Neoludica, Ivan Venturi.

Artisti in mostra
Cecilia Borettaz, Constantine Zlatev, Massimiliano Camellini
Team BloodyMontey (Paolo Tajè), Team Santa Ragione (Paolo Tajè, Pietro Righi Riva, Nicolò Tedeschi), Wannabe-Studios (Marco Piccinini, Francesco Botti, Marco Masselli, Riccardo Corradini, Stefano Restuccia, Loris Casagrandi) Team Indomitus Games (Federico Mussetola…) E-Ludo

“Ore 18,00 l’orario è finito" 2010 Massimo Camellini

L’arte NON è Pegi +18
Violenza virtuale_Violenza reale
Colossi dell’intrattenimento videoludico tra cui la 1 C, operante nell’Europa centro-orientale, o la coreana Joymax hanno raggiunto fatturati tali da scavalcare ormai da diversi anni quelli dell’industria cinematografica. L’industria cinese del videogioco è cresciuta nel 2012 del 350.6% rispetto all’anno scorso, raggiungendo guadagni per circa 9.7 miliardi di dollari. Il 90% dei guadagni, ovvero 9,1 miliardi di dollari, arrivano da online gaming (China Games Industry Report).

La relazione tra l’industria delle armi e quella dei videogiochi violenti è confermata dai fatti: l’Electronic Arts, che realizza anche la popolare simulazione FIFA, ha costruito la nuova edizione di Medal of Honor Warfghter, nel quale erano pubblicizzati fucili, coltelli e altri tipi di armi utilizzate nel videogame. Tra i partner del sito c’erano alcune aziende, come McMilan Group e Magpul, che vendono alcuni dei fucili semiautomatici più apprezzati sul mercato.

Il sito era un vero e proprio “showroom” per l’esibizione delle armi. I produttori di videogiochi utilizzano le immagini delle armi reali per aumentare il realismo delle simulazioni violente, al tempo stesso i produttori delle armi hanno un reciproco interesse nel comparire in videogame che hanno un’enorme popolarità, soprattutto tra il pubblico più giovane.

Armi prodotte dalla Bushmaster o dal colosso Barnett and Browning compaiono puntualmente in videogiochi. Il produttore di armi Ralph Vaughn afferma: “incassiamo una royalty, sotto forma di pagamento una tantum o percentuale sulle vendite. Normalmente una licenza costa dal 5% al 10% sul prezzo di vendita, ma i termini sono negoziabili”. Il costo dipende da reputazione e risultati dello sviluppatore in questione.[…]

La scia di videogiochi censurati è molto lunga: si va da Rapelay a Carmageddon, a Wolfenstein 3D, alla saga di Grand Theft Auto con una mod amatoriale per Sant Andreas dal titolo Hot Coffe, Medal Of Honor, Manhunt, JFK reoladed 2, Resident Evil 5, Modern Worfare 2, Rule of Rose, Metal Gear Rising, Revengeaner, Boston Marathon.

Ralph Nader, politico americano, ha definito gli sviluppatori dei videogame americani dei “pedofili elettronici” altri parlano di “strage degli innocenti”.

Il cambiamento “antropologico” che la nostra cultura sta attraversando, con il mondo informatico e telematico, genera mutamento non solo in ciò che facciamo ma anche nel nostro modo di pensare e nell’immagine che gli uomini hanno di se stessi. Con particolare riferimento alla psiche infantile, si riconfigura la macchina come “oggetto psicologico/ transazionale”.
Il videogioco è anzitutto medium procedurale, caratterizzato da dinamiche di interazione e feedback in tempo reale, da regole e da un contesto. È nella corrispondenza fra le meccaniche ludiche e il senso narrativo che vanno rintracciati il suo valore e la sua qualità. Ed è attraverso questa lente che è più indicativo valutarne i sottotesti ideologici. (Emilio Cozzi 9/6/2013).
Gli effetti sulla psiche non sono solo un prodotto dell’“imitazione” quanto piuttosto la conseguenza di processi di “desensibilizzazione” che portano i soggetti esposti ad essere meno reattivi (riduzione e narcotizzazione delle emozioni) di fronte alla manifestazioni di violenza anche nella vita reale.

È stato verificato difatti che sono sufficienti 20 minuti di esposizione a scene cruente fruite attraverso i videogame per rendere un giocatore non solo più aggressivo, ma anche meno tollerante nei confronti degli altri.
Il problema della “dipendenza” da videogiochi si pone nei termini di “abuso”.

Cosa c’è di più reale della realtà stessa? L’iperREALTÀ, prodotto di sintesi senza nessun immaginario in un iperspazio senza atmosfera. La dimensione simulativa del nostro tempo si basa sulla simulazione e simultaneità.

Nell’analisi di Baudrillard tutto il nostro presente (simulazione postmoderna) è già delineato. La simulazione si avvale di simulacri non per ripetere il reale, ma per configurarne uno nuovo, nel quale noi mutanti, resi noi stessi simulativi, ci si possa trovare a nostro agio. In Simulacri e impostura, Baudrillard sviluppa la tesi, della cosiddetta “precessione dei simulacri”. I simulacri precedono la realtà. Il reale è prodotto da matrici e memorie.

Nella società della simulazione di Baudrillard, i campi dell’economia, della politica, della cultura, della sessualità e del sociale implodono tutti quanti l’uno dentro l’altro. In questa miscela implosiva, l’economia è plasmata dalla cultura, dalla politica e da altre sfere; invece l’arte, un tempo una sfera di potenziale differenza e opposizione, è assorbita nell’ambito economico e politico, mentre la sessualità è ovunque.

Il reame dell’iperreale, (per esempio le simulazioni mediatiche della realtà) è governato da un’accelerazione talmente accentuata da autoalimentarsi al di là di ogni possibile controllo, producendo simulacri sempre più potenti e sempre meno governabili. Il rischio è il superamento, senza possibilità di ritorno, del borderline entrando nel “buco nero” della matrice.

La nuova frontiera dell’industria videoludica si chiama “Free-to-play” (la possibilità di giocare gratuitamente alla versione base), nuovo modello economico e vera bomba mediatica in un mercato in continua crescita.
È possibile una rilettura in chiave artistico/ alternativa del videogioco?

La gameart
Il “corridoio vettoriale” di Star Wars (Atari 1983), il flusso inarrestabile di pixel di Tetris (Alexej Pazhtinov 1985), le sperimentazioni dei “net-artisti” con il gioco digitale di Marcel-Li Antunes Roca o Sod , il gioco/ opera d’arte prodotto da Jodi.org. confermerebbero la tendenza. La selezione museale è operata in base alla qualità visiva, al design e/ o estetica del prodotto e all’ottimizzazione interattiva senza particolare attenzione ai contenuti.

Le recenti acquisizioni di 14 videogame da parte del MoMA di New York, la partecipazione di Studio Azzurro (Padiglione Vaticano) alla Biennale di Venezia di quest’anno lo confermano, sancendo ufficialmente la game art come la decima arte. THE Game, visitabile fino al 12 settembre, si trasformerà in “L’ASPIRANTE” di Giò Lacedra con la partecipazione straordinaria di Roberto Milani.

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The Game?
Jacqueline Ceresoli

Il gioco siamo noi, tutto ciò che è virtuale è reale, il resto è visione, progetto e immaginazione. Nel gioco è vietato vietare ? Esiste un limite tra educazione alla violenza apparentemente innocua e la sperimentazione di situazioni oltre il limite del reale, della ragione? Oppure questi prodotti dell’intrattenimento sono espedienti per premere l’acceleratore sul mercato delle armi, protagoniste di molti videogames, quelli che fatturano di più, indirizzati ad un pubblico giovane, più soggetto a “interferenze” ? Poi il gioco si dimentica e resta il piacere di uccidere, seppure virtualmente. Più si gioca e più aumenta il desiderio di vivere situazioni a rischio, ipnotizza la simulazione della violenza, chi guarda ha l’impressione di vivere in bilico tra la vita e la morte, uccidere equivale a vivere. Non dimentichiamo che tra le nuove patologie del XXI secolo post rivoluzione digitale , c’è la dipendenza dai video giochi , la violenza esasperata eccita l’uomo dall’alba dei tempi. Questa mostra punta il dito contro i contenuti di certi video games , li decontestualizza, trasformandoli in ready made della morte. I videogiochi analizzati come linguaggio ad alta concentrazione di aggressività e di violenza, sono un’arma a doppio taglio dell’immaginazione, come indica la canna di fucile puntata sugli spettatori, “ The Last Gun 2012” di Constantine Zlatev che vi troverete puntati all’altezza della tempia, come una roulette russa, solleva quesiti inquietanti “sulla banalità della violenza” prodotta sistematicamente per vendere più armi.

Quando entrerete nella galleria di Amy D Arte spazio, di Anna d’Ambrosio, psicologa di formazione lacaniana convinta, interessata al linguaggio che propone mostre di taglio analitico -antropologico, progetti transnazionali incentrati sull’arte come dispositivo della psiche e come liberazione dell’inconscio, ponendo l’accento sull’indagine del rapporto tra io /mondo , artista/ realtà, inconscio/ personalità, come causa ed effetto comportamentali, allora capirete che questa collettiva intitolata “ The Game”, è un atto unico composta da tre installazioni, come denuncia- riflessione contro i sistemi malati della nostra economia che investe sull’istigazione all’uso delle armi attraverso il gioco virtuale, e lo fa in modo subdolo, legalizzandolo come uno strumento “perditempo ”, apparentemente innocuo, ma in realtà micidiale per la mente.

Siamo sprofondati in un solipsismo tecno scientifico, il videogame è un vettore di odio, venduto come divertissement , strumento di evasione dal reale , gioco forza dell’arte di uccidere con l’obiettivo di formattare le menti più giovani, indirizzandole verso una cultura distorta , portandoci nella biosfera del crimine, della violenza, di stermini collettivi proposti come lotte tra il bene e il male, in cui l’eroe è quello che usa più velocemente le armi potenti e decide destini di morte. Il video game per vendere di più , anticipa il futuro, come il Progresso, ma in seguito alla rivoluzione informatica ci ha raggiunto , superato e la storia del ventunesimo secolo con la sua sovra-produzione di massa di cadaveri, di guerre, femminicidi e infanticidi né è una prova, complice è anche il videogame, poiché educa alla violenza. Viviamo per lo più sull’apparato costituito dalla volontà e dalla rappresentazione, ma nel videogioco la parola fine deve ancora venire , a meno che non smettiamo di acquistarli. Dietro un videogioco , ciascuno è là con la sua volontà e il suo desiderio di uccidere, lo fa in segreto e coltiva pratiche distruttive, pensieri che sono insiti nell’inconscio. La trappola è quella della somiglianza e questi giochi piacciono per questo.

Progredire significa accelerare spazio tempo, giocare in maniera più violenta significa aumentare il potere di prevaricazione, agendo sulla forza delle armi e non della ragione. I videogame polverizzano il tempo, la storia, la memoria; lo sappiamo, senza la spinta verso il futuro non c’è avvenire, nei video game tutto accade in una frazione di secondo. La distanza tra reale e virtuale si annulla nell’attimo in cui si preme su un tasto e si decide se colpire un bersaglio oppure no, se distruggere mondi o lasciare fuggire il nemico, tanto in ogni caso lo faremo fuori per vincere . Ma chi è il nemico ? Siamo noi che lo identifichiamo come tale e gli puntiamo un’arma contro. Gli artisti sono profeti anche di sciagure umane annunciate, qui vi accorgerete che i videogames possono “uccidere gentilmente”, perché assopiscono le menti , abbassando la soglia dell’esperienza del dolore; tanto sono giochi virtuali e le simulazioni mortali di spari , stupri, torture, armi micidiali contro qualcuno o qualcosa non fanno male: è finzione e dentro in quell’immagine ad alto tasso di potenzialità di aggressività interattiva , il pericolo è l’indifferenza e il cinismo e la perdita del rispetto umano.

Le armi cancellano l’uomo, il videogioco inscena sperimentazioni al limite dell’assurdo, poi si legge sul quotidiano che tra le armi più richieste nei paesi orientali ci sono le bombe giocattolo, e allora ? E allora mambo, dentro tutti nell’immaginario al ritmo frenetico della danza macabra. Continuiamo a giocare con la fascinazione delle armi che esaltano il senso di un potere illimitato dell’uomo –prevaricatore , soggiogato dal piacere della violenza e dalle leggi della forza . Massimiliano Camellini con “ Ore 18,00 l’orario è finito del 2010 “, rappresenta cumuli di macerie in una fabbrica, lavora al confine tra rigenerazione e distruzione, agendo sugli spazi di produzione industriale, dove si origina la rivoluzione industriale e processi di trasformazione delle aree abbandonate nelle periferie delle città , determinati da interessi economici e politici. Nello stesso tempo punta l’obiettivo su codici di comunicazione di sicurezza che a stento notiamo e non consideriamo affatto, ma in realtà sono simili ai segni di comunicazione visiva PEGI , l’ente di controllo della regolarità del video gioco. Attenzione perché la polverizzazione del mondo è possibile, l’uso delle armi, dal gioco alla realtà non è poi così pindarico ipotizzarlo e l’attualità lo conferma. La violenza organizzata non è dopo, ma prima, siamo noi che la programmiamo.

Cecilia Borettaz con l’istallazione ambientale vorticista “ Machina 2012 “ riproduce matrici , simili a dischi solari , irradianti di onde di bianco, agendo sul sistema produttivo del videogioco, configurando entropie visive, ipnosi della ragione, forse purificazioni di immagini e degli immaginari ?. I Suoi dischi rotanti, matrici iconoclaste, attuano Genesi possibili, in cui il nostro sguardo precipita in una sorta di evasione eretica, contro l’obsolescenza delle immagini, mescolando in un tutt’uno distruzione e ricreazione, liberando la nostra mente dalla fatalità della violenza, della morte.

Anche gli altri progetti esposti in questa collettiva di team di artisti, denunciano chi produce i videogames che fatturano più dell’industria cinematografica. Nel videogioco c’è sempre un istante, una situazione da cogliere in cui l’essere più banale o mascherato mostra la sua intenzione, la sua identità segreta, ma qui ciò che è interessante è la alterità della violenza . Chi gioca non è considerato un essere rappresentativo, bensì attivo perché lavora, agisce all’interno delle immagini, senza alcun riguardo per la realtà, e proprio in questo consiste il suo fascino letale.

Opening: 26 giugno ore 18.30

Amy-d arte spazio
Via Lovanio, 6 Milano
Orari: lun-ven 9-12 e 14.30-18.30
ingresso libero

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