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Alessandra Di Francesco
dal 21/10/2003 al 22/10/2003
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Segnalato da

Liliana Maniero


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21/10/2003

Alessandra Di Francesco

Galleria Maniero, Roma

Serata di chiusura della mostra 'Pas de bourree'.


comunicato stampa

Liliana Maniero Vi invita alla serata di chiusura della mostra "Pas de bourrée" di Alessandra Di Francesco il 22 ottobre alle ore 18,00

Pas de bourrée, pas de philosophie

Oggi quando sentiamo parlare di 'immagine' il pensiero corre subito a qualcosa che sta fra l'inerte e il manipolabile, ad un'entità formata ma non definitiva che può essere virata, sgranata, moltiplicata, stampata, distorta e -perché no?- anche rimossa con un semplice 'click'; onomatopea che un tempo ricordava solo lo scatto dell'obiettivo fotografico e ora si è invece arricchita di connotazioni elettroniche via via più familiari e sofisticate.
Dell'immagine in questo senso si occupa una parte cospicua dell'arte che ci sta intorno, riuscendo ancora, sia pure con qualche stanchezza, ad attirare la nostra attenzione e a porci problemi che sentiamo più attuali che urgenti.
Se un tale tipo d'immagine abbia ancora senso chiamarla 'mediatica' in un mondo disertato dalla realtà non saprei dirlo, di certo però si tratta di un'immagine 'di superficie' il che non vuol dire naturalmente 'superficiale'.
Alessandra Di Francesco da tutto ciò mi sembra sorprendentemente lontana, e per questo è riuscita a sorprendermi e a riportarmi lontano. Lontano non tanto negli anni quanto nel registro dei miei interessi. In un'interland appena sbozzato nel quale ho amato a suo tempo inseguire la filosofia che inseguiva la scienza, la teoresi che faceva i conti con la psicologia e la fisiologia.
In quest'ottica quello che più mi ha incuriosito è il fatto che la nostra pittrice si sia posta, in un certo qual modo, uno dei problemi che Denis Diderot dovette affrontare allorché cercò, con il 'Sogno di D'Alembert', di offrire ai suoi contemporanei un modello di materialismo integrale capace di superare non solo la distinzione Cartesiana fra 'res cogitans' e 'res extensa' ma anche quella Lockiana tra oggetto dell'esperienza e riflessione sullo stesso.
Intendo il problema di rappresentarsi il progressivo attecchire di un contenuto nella nostra coscienza, il suo entrare a far parte del nostro patrimonio di conoscenze fino a diventare elemento di quel tutto organico in cui può essere risolta la personalità di ciascuno.
Certamente Alessandra di Francesco va indagando ambiti assai più specifici e non così capitali come quelli che mossero il grande pensatore illuminista a comporre il suo saggio, ella per di più ha dalla sua come nozioni comuni un certo numero di verità scientifiche che Diderot poté solo intuire ed anticipare, ciò non toglie tuttavia interesse al fatto che invece di avvalersi, secondo un trend recente e consolidato, di un qualche schema astratto da far campeggiare nel vuoto l'artista d'oggi abbia preferito rivolgersi, come il suo illustre predecessore, ad una sorta di 'tutto pieno' nel quale l'immaginazione costruendo i suoi percorsi incontra sostanzialmente se stessa.
Come le corde del clavicembalo citato dal celebre filosophe le impronte delle scarpe da lavoro di Alessandra, distribuite a terra a illustrare il 'pas de bourrée'1, mettono in risonanza tanto l'immagine didascalica delle diverse sezioni del D.N.A. quanto quella ingrandita delle proteine che sembrano presiedere al fenomeno della 'resilienza'2 e queste a loro volta richiamano la rete neuronale che consente al nostro cervello di funzionare in maniera creativa. La rete neuronale, dal canto suo, si ricollega invece sia ai tessuti del corpo umano sia all'imbastitura di stringhe cromatiche che i restauratori usano per provare i colori con cui ricostruire le parti mancanti di un quadro. Con l'oggetto quadro siamo infine alla possibilità di evocare immagini d'arte ( due da Millais, una da Lorenzo Lotto e due dal film 'Il pianista' di Polansky) che insistono tutte puntualmente per un verso o per l'altro sull'idea di nutrimento collegata a quella opposta di consunzione e ritorno all'humus originario; ancora due processi utilizzati, non a caso, da Diderot per dimostrare come un passaggio fluido e senza soluzioni di continuità fra organico e inorganico sia perfettamente ipotizzabile.
Paolo Balmas

1) Passo di danza derivante dalla tradizione popolare che viene usato sia come invito che come connettivo. La sua principale caratteristica è quella di ottenere l'avanzamento attraverso un succedersi alternato di arretramenti.
2) Processo di ripresa dell'evoluzione di un individuo nonostante un malessere, un digiuno affettivo, una profonda lacerazione.

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