Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC
Lissone (MB)
viale Padania, 6
039 2145174 FAX 039 461523
WEB
Sette mostre
dal 31/1/2014 al 8/3/2014
mar-mer-ven 15-19, Giov 15-23, sab-dom 10-12 e 15-19

Segnalato da

MAC




 
calendario eventi  :: 




31/1/2014

Sette mostre

Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC, Lissone (MB)

La collettiva "Il collasso dell'entropia" e' stata concepita come una "collezione espansa ed effimera" che si affianca alle collezione permanenti del MAC (appena riordinate tematicamente) invadendo corridoi, scale, bookshop. T-yong Chung, Michele Gabriele e Jonathan Vivacqua con il progetto "Protocombo" riflettono sul concetto stesso di collezione. Infine, le personali di Jack Sal, Daniele D'Acquisto, Carlo Benvenuto, Alessandro Roma, Gabriele di Matteo e Andrea Fatto.


comunicato stampa

Alessandro Roma
A cura di Vera Dell'Oro e Alberto Zanchetta

Organizzazione organica di Forme

Alessandro Roma [Milano, 1977] lavora principalmente con il collage, tecnica che gli permette di creare paesaggi mentali, dove la prospettiva si appiattisce e il segno si perde nella composizione. Attraverso la costruzione di personali peregrinazioni, l’artista è interessato ad esplorare i confini della tradizione pittorica, preservandone le tematiche classiche, ma allontanandosi dalle tecniche e dai formalismi del passato. Mantenendo aspetti di indefinitezza, Ales- sandro Roma permette alla memoria e alla fantasia di confondersi vicendevolmente, senza mai anchilosarsi in un’unica/univoca forma. Il processo di creazione parte inevitabilmente da un dato naturale riconoscibile, ma l’analisi è condotta in una direzione che porta ad interrogarsi sulla natura stessa della percezione. Affascinato dal modo in cui co- nosciamo la realtà, l’artista non procede giustapponendo i frammenti bensì adottando una pratica che aspira all’essenziale. Roma restituisce – in una duplice forma – sia la completezza sia il frammento di uno spazio che custodisce elementi di non sempre immediata assimilazione. La pittura vive in equilibrio tra figurazione ed astrazione, così anche la scultura, la quale restituisce forme antropomorfe e al contempo rievoca degli atavici contenitori, tracciando visioni surreali e immaginifiche. Le sue opere evocano luoghi indefiniti ma se scrutati attentamente vi si possono riconoscere alberi, rocce, fiumi, fiori, ruderi, ninfei, sentieri, animali e figure che concorrono a fornire aperture mentali e prospettiche, ottenute grazie alla moltiplicazione dei punti di fuga e dal simultaneo impiego di diverse tecniche artistiche. In mostra una selezione di opere recenti organizzate in un percorso che sottolinea la progettualità dell’artista, risolta in un allestimento pensato in relazione allo spazio circostante, sia dal punto di vista architettonico che da quello ambientale. Tutta la mostra si snoda attorno a dei collage/bozzetti che mettono in correlazione le fasi procedenti l’elaborazione delle sculture disseminate nello spazio espositivo.
All’interno di una bacheca verranno presentati due libri d’artista ispirati ai poster faunistici e ai parchi botanici, una sorta di guida/galleria tascabile con cui l’artista intende esplorare un sentiero costellato di paesaggi ideali. Organizzazione organica di forme è un’importante occasione per conoscere le riflessioni e le ricerche di un artista che si è lungamente interrogato sui temi cardine della storia dell’arte, dimostrando che i soggetti legati al paesaggio naturale sono ancor oggi aperti a nuove indagini e a inediti risultati.

Primo Piano, dal 1o Febbraio al 9 Marzo
Inaugurazione 1o Febbraio 2014 alle18
Ingresso libero

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Carlo Benvenuto
Titolo / Senza

A cura di Alberto Zanchetta

La costante e coerente ricerca di Carlo Benvenuto [Stresa, 1966] è consacrata alla tecnica fotografica. Sospesi in un tempo e in uno spazio indeterminato, alcuni oggetti vengono estrapolati dal quotidiano ed edulcorati da connotazioni autobiografiche o letterarie.
Gli oggetti appartengono al vissuto di Benvenuto ma non sono scelti in virtù dell’utilizzo cui sono destinati, bensì per il rapporto esistente con l’artista e la loro capacità di risultare funzionali al concepimento dell’opera d’arte. Si tratta di utensili o di suppellettili comuni, familiari, fortemente evocativi ma comunque neutri, passibili cioè di essere caricati dalle interpretazioni che ne può dare lo spettatore.
Benvenuto cura in modo maniacale la disposizione degli elementi, ne mette in evidenza i dettagli e ricorre a un sapiente equilibrio tra luci e colori, rendono queste immagini irreali. Le sue opere aspirano a una perfezione formale, una calma assoluta che impone un ordine al caos del mondo. Prestando fede alle parole dell’artista: «l’implacabile logica naturale delle cose, prevedibilmente e inesorabilmente condiziona e vincola il pensiero poetico: la realtà non è razionale, né bella, né nobile. La sua condizione generale è il caos, la mancanza di qualsiasi ordine, l’assenza di qualsiasi finalità». Le immagini analogiche sono ottenute con il banco ottico, in scala 1:1, restituendo una presenza più che una rappresentazione degli oggetti prescelti. Il risultato finale è un “banale sovversivo” che con un minimo scarto rispetto al reale suscita una reazione inaspettata. Le atmosfere rarefatte e l’effetto pittorialista sono invece riconducibili al profondo rapporto che l’artista nutre per i grandi maestri della storia dell’arte; i toni tenui di Giorgio Morandi così come le accensioni cromatiche di Henri Matisse conferiscono a queste fotografie una suadente patina pittorica. Particolarmente stringente è il rimando al “languore metafisico” di Giorgio de Chirico (autore caro a Benvenuto, di cui ha mutuato la definizione di vite silenti in quella di nature mute) e all’energia congelata all’interno delle immagini.
La personale al MAC di Lissone si snoda in quattro distinte sezioni tematico-poetiche, che ripercorrono lo scibile dell’artista. Accanto alle “composizioni” con tazzine, piatti, tavoli e bouquet di fiori troviamo le “apparizioni” in cui i soggetti vengono sorpresi nell’attimo immediatamente prima che si mettano en pose, lo si evince soprattutto nei bicchieri d’acqua scagliati nel buio di una stanza. Altrettanto significativi sono i due piccoli autoritratti che l’artista ha eseguito con delle penne biro, il disegno è infatti concepito come una disciplina affine alla fotografia. Lo stesso dicasi della scultura, che sembra materializzare le immagini fotografiche (in mostra sono presenti le repliche, in vetro di murano, dei bicchieri che si trovano nella casa dell’artista).

Pianterreno, dal 1o Febbraio al 9 Marzo
Inaugurazione 1o Febbraio 2014 alle18
Ingresso libero

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Ciò che l'apparire lascia trasparire

A cura di Alberto Zanchetta

Il piano interrato del museo, che lo scorso anno è stato deputato al riordino tematico della collezione permanente, inaugura la stagione 2014 con le nuove raccolte d’arte. Assecondando la tradizione del MAC di Lissone, ampio respiro è stato dedicato alle opere pittoriche, a cominciare dalle acquisizioni del Premio Lissone 2012, che annoverano il grande Animale fermato di Paola Angelini [San Benedetto del Tronto, 1983], un dipinto su plexiglass di Elsa Salonen [Turku-Finland, 1984] e le due opere che sono valse il primo premio a Mattia Barbieri [Brescia, 1985]. L’excursus continua con un piccolo autoritratto di Ettore Tripodi [Milano, 1985], una inedita losanga di Daniele Bacci [Lucca, 1975] e un Esercizio di misurazione della breve media e lunga distanza di Gianni Moretti [Perugia, 1978]. In tale disbrigo prendono posto anche il collage della serie Crossage di Umberto Chiodi [Bentivoglio-Bologna, 1981], i disegni su legno di Nero/Alessandro Neretti [Faenza, 1980] e il paesaggio rupestre di Francesco Locatelli [Milano, 1985]. Segue un cambio generazionale con i dipinti di Arcangelo, Cingolani, Pastorello e Di Marco. Esponente del “Ritorno alla pittura” vaticinato dal clima postmoderno, le opere di Arcangelo [Avellino, 1956] indagano con sguardo antropologico la conoscenza e il confronto con temi di diversa estrazione culturale. Alla Nuova figurazione emersa a cavallo degli anni Ottanta e Novanta appartiene invece Marco Cingolani [Como, 1961], presente nelle collezioni con un acrilico su carta del 2011. Di Giovanni Manunta Pastorello [Sassari, 1967], capofila della nuova scuola di pittori sardi, viene proposto un recente paesaggio su tela. Andrea Di Marco [Palermo, 1970-2012], cui il MAC aveva dedicato un omaggio all’indomani della scomparsa, viene qui ricordato con un olio su tela del 2011, donato dagli eredi dell’artista, e un piccolo olio su carta del 2005. L’esposizione assume poi un carattere più scultoreo e installativo con l’opera Infinito di Virginia Zanetti [Fiesole, 1981], che consiste in due cerchi di vetro sovrapposti, e Welcome di Gianluca Zonca [Arona, 1986], una piastra in acciaio inox che dà il benvenuto all’interno del piano. Dello stesso avviso sono anche due micro-sculture: la pipa in radica e stucco di Armida Gandini [Brescia, 1968] e L’Odradek di Paride Petrei [Pescara, 1978], una struttura in feltro, metallo e sale marino. Accanto a un taccuino di disegni realizzati a Lissone nel maggio del 2013, Matteo Fato [Pescara, 1979] presenta un’installazione che accorpa opere di anni diversi, creando così un “minimo compendio” della propria ricerca. La collezione si conclude quindi con due artisti del Belgio, Philippe Van Damme [Bruxelles, 1965] e Cel Crabeels [Antwerp, 1958]; il primo presenta un progetto su carta ritenuto irrealizzabile il secondo un video girato lo scorso anno sull’Isola Comacina.

Piano interrato, dal 1o Febbraio al 9 Marzo
Inaugurazione 1o Febbraio 2014 alle18
Ingresso libero

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Il collasso dell'entropia

A cura di Alberto Zanchetta

Il collasso dell’entropia è stato concepito come una “collezione espansa ed effimera” che si affianca alle collezioni permanenti del MAC. L’obiettivo è quello di trasformare tutto il museo in superficie espositiva, ossia in uno spazio in cui i fruitori possano fare esperienza dell’intero complesso architettonico. Corridoi, scalinate, bookshop, terrazzo, colonne e ve- trate diventeranno parti integranti di questo progetto diffuso, che si inserisce all’interno della normale programmazione artistica. Una ricca e variegata proposta di opere, installazioni e interventi collaterali trasformeranno il museo in un grande contenitore, che d’ora in poi non sarà vincolato soltanto alle esposizioni temporanee. All’iniziativa hanno aderito oltre una ventina di autori, i quali hanno concesso in comodato le loro opere per tutto il 2014. Luigi Carboni [Pesaro, 1957] e Gabriele Arruzzo [Roma, 1976] sono presenti con dei quadri particolarmente rappresentativi del loro linguaggio tecno-poetico. Jack Sal [Waterbury, 1954], Fausto Gilberti [Brescia, 1970] e Giuliano Dal Molin [Schio, 1960] hanno deciso di realizzare degli interventi pittorici che si relazionano con l’architettura stessa del MAC; il wall-painting di Dal Molin intende ridefinire lo spazio e la percezione visiva del bookshop mentre quello di Sal rimarrà a testimonianza della mostra Ring/Rings/Ring ospitata al secondo piano del museo; Gilberti ha viceversa disseminato i suoi interventi tra le nicchie, gli interstizi e le colonne dell’edificio, obbligando gli spettatori a “stanare” le sue figure filiformi. Tra gli interventi site-specific si segnalano quelli di Giovanni Termini [Assoro, 1972], che ha manipolato le colonne delle scale con dei tiranti, e di Stefano Serusi [Alghero, 1980], che ha smaterializzato la fisicità di uno scaffale applicando i dorsi di alcuni faldoni direttamente alle pareti del pianterreno. Svariate sono anche le installazioni: Before it is too late di Jacopo Mazzonelli [Trento, 1983] si interroga sui cimiteri tecnologici proponendo l’ultimo “respiro” di un tubo catodico; l’installazione sonora di Michele Spanghero [Gorizia, 1979] cerca e crea una sintesi tra l’arte visiva e quella acustica; di Ivana Spinelli [Ascoli Piceno, 1972] viene presentato un estratto di Baustelle, progetto recentemente esposto a Belgrado che indaga la progettazione e la costruzione di una casa; la videoinstallazione di Fabrizio Prevedello [Padova, 1972] è incentrata sui sei “innesti” che l’artista ha realizzato dal 2010 a oggi all’interno di cave in disuso; Adriano Persiani [Bologna, 1972] ha cucito assieme dei pannolini per ricreare l’abito di un “incontinente” Gilles, celebre personaggio della commedia francese, nonché protagonista del noto dipinto di Watteau. Nell’ambito della scultura troviamo una piccola ma preziosa fusione in bronzo galvanizzato di Arnold Mario Dall’O [Lana, 1960], effigiante una ieratica figura antropomorfa, e i Travasi con cui Paolo Grassino [Torino, 1967] crea un incontro/scontro tra l’anatomia umana e utensili d’uso comune. Sono invece stati dislocati in vari punti del museo i nani da giardino che Luca Coser [Trento, 1965] ha ricoperto con del cemento per occultarne l’identità. Nella collezione espansa rientrano anche le vetrofanie del ciclo “In Vitro”, che si arricchiscono di due nuove opere, firmate da Robert Gligorov [Kriva Palanka, Macedonia, 1960] e Diango Hernández [Sancti Spiritus, Cuba, 1970], che si affiancano a quelle commissionate lo scorso anno a Anton Kehrer [Linz, 1968], Igor Eškinja [Rijeka, 1975] e Michelangelo Consani [Livorno, 1971]. Nel corso dell’anno, la collezione espansa verrà mplementata con altre opere e nuovi interventi installativi, studiati appositamente per il MAC di Lissone.

Su tutti i piani, dal 1o Febbraio al 9 Marzo
Inaugurazione 1o Febbraio 2014 alle18
Ingresso libero

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Jack Sal
Ring/Rings/Ring

Daniele D'Acquisto
Strings

A cura di Alberto Zanchetta

L’esperienza minimalista e concettuale di Jack Sal [Waterbury, 1954] è caratterizzata da una sensibilità tipicamente europea, tesa a scardinare i presupposti ideologici del Modernismo; l’artista realizza interventi sitespecific in cui la reiterazione di un modulo crea un “campo di accadimenti”. Ring/Rings/Ring è la logica conseguenza di una performance realizzata nel giugno 2011, in occasione della 54a Biennale di Venezia. Al Caffè Quadri, in Piazza San Marco, l’artista ha disegnato dei cerchi usando inchiostro, caffè e latte su fogli di carta fotografica autosviluppante. Quel segno bidimensionale ed elementare è stato poi convertito in forme plastiche, ossia in una serie di ceramiche al terzo fuoco di cui l’artista si serve per articolare l’ambiente espositivo. Attraverso i “rings” Sal realizza dei wall-paintings che scandiscono lo spazio e la luce, stabilendo una relazione anche con lo spettatore e i suoi spostamenti all’interno del museo. Seppur riduca al minimo la manualità, l’artista valorizza le qualità basilari della pittura limitandosi a dipingere con colori primari che seguono il contorno delle sculture, stabilendo così una relazione tra oggetto/immagine/opera d’arte. Nella sala video, quattro filmati approfondiscono la ricerca estetica e teorica di Sal: Re/Place (1999) documenta un’installazione permanente nella Max Weber Platz di Monaco; White/Wash II (2006) racconta la storia di un monumento ideato nella città polacca di Kielce per le vittime del Pogrom; De/Portees (2010) è dedicato alla memoria dei deportati italiani; Via Bixio (2010) mostra una sequenza di fotogrammi incentrati su spazi minimi, dentro e fuori lo studio dell’artista.
La ricerca di Daniele D’Acquisto [Taranto, 1978] si interroga sulla zona liminale che separa ciò che è reale da ciò che è ideale; in pratica l’artista intende tradurre dei concetti in oggetti, mettendo in contiguità il piano fenomenico con il livello neurologico, iacché immaginare o vedere una cosa stimola le medesime aree del cervello. Con un approccio analitico e tecnicista l’artista intende trasformare l’arte in una scienza sperimentale; ne sono una dimostrazione le sue Strings, le quali sviluppano l’idea di una “proliferazione della forma” che si appropria dello spazio, espandendosi in esso per definirne le parti. «Quando siamo in un ambiente vuoto», spiega l’artista, «ne percepiamo il potenziale inespresso. Le stringhe hanno la funzione di esprimere quel potenziale, raccordando le parti e formulando ipotesi sulla forma». Almeno idealmente, l’opera può svilupparsi all’infinito, come fosse un Ouroboros o un moderno Laocoonte. Progettata come un work in progress, l’installazione disegna una traiettoria atta a connettere, stringere e far aderire oggetti molto diversi tra loro, rendendoli parte di uno “spazio organicamente strutturato” anziché di un semplice “ambiente genericamente definito”. La particolare attenzione verso gli aspetti strutturali del proprio lavoro ha indotto l’artista a cimentarsi con questioni di carattere iconologico e formale, lambiccandosi soprattutto sul concetto di rappresentazione attraverso un processo di astrazione cognitiva che è in sé una rappresentazione della realtà stessa, la cui veridicità esisterebbe unicamente nel mondo delle idee

Secondo piano, dal 1o Febbraio al 9 Marzo
Inaugurazione 1o Febbraio 2014 alle18
Ingresso libero

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Lo strano caso di Joan Mitchell
Gabriele di Matteo e Andrea Fatto
A cura di Alberto Zanchetta

Palazzo del Mobile di Lissone, 29 ottobre 1961. Alla presenza di Ungaretti si inaugura l’esposizione del XII Premio Lissone. È la quinta edizione a carattere internazionale e la prima ad configurarsi come una mostra vera e propria. Articolato in cinque diverse sezioni tematiche, il Premio riconferma le partecipazioni Europee e Giapponesi, estendendo l’invito anche all’America. Nella sezione “Valori rappresentativi” partecipano De Kooning, Francis, Kline, Mathieu, Pollock, Riopelle, Rothko e Tobey, mentre nella “Rassegnadella pittura internazionale” vi figurano Bluhm, Frankenthaler, Gottlieb, Jenkins, Johns, Mitchell, Morris, Noland, auschenberg. Sotto l’egida di Guido Le Noci, allora segretario del premio, la manifestazione verrà ricordata come la più importante tra tutte quelle organizzate nell’arco di un ventennio. Quando nel 1995 Roberta Cloe Piccoli cura il catalogo della collezione del Premio, non viene fatto cenno ai premi conferiti nel 1961, eccetto quello assegnato a Mario Schifano (i premi acquisto di quell’anno comprendono anche Dufrêne, Brüning, Bellegarde, Nikos e Scanavino; altri premi, dello stesso importo, vengono assegnati a Barré, Bertini, Downing, Frankenthaler e Hains). Nel 1996 la Piccoli torna sull’argomento pubblicando il volume “Una straordinaria avventura” in cui vengono raccolti documenti inerenti il Premio, ma anche in quell’occasione si sorvola sul Gran Premio Internazionale del 1961 che ammontava a un milione di lire. Lo stesso accade nelle tante altre pubblicazioni dedicate allo storico Premio Lissone. È solo dal verbale della giuria che è possibile far luce sul vincitore della XII edizione; come si apprende dal documento, la commissione presieduta da Argan era formata da Brandi, Gamzu, Haftmann, Leymarie, Restany, Spiteris e Valsecchi, i quali restringono la rosa dei candidati a Gottlieb, Mitchell, Moreni, Scialoja, Twombly. Dopo ulteriori esami, il premio viene conteso tra Mitchell e Twombly, infine, con uno scarto di un solo voto, vince la giovane Mitchell. Del verdetto dà notizia Marco Valsecchi sul quotidiano “Tempo” del 25 novembre 1961: «per i premi l’attenzione della giuria si fermò alla fine sui dipinti di Moreni, Twombly, Mitchell, tutti e tre di un fervore inventivo, variamente emozionato sul limite appassionato dell’esistenza; [...] nell’ultima selezione è emersa l’americana Joan Mitchell col suo dipinto che si ricollega, con spirito moderno, ai grandi Giardini di Monet, dell’ultimo prodigioso Monet del periodo di Giverny». Meno lusinghiero è l’articolo che Dino Buzzati firma in data 2/3 novembre 1961 sulle pagine del Corriere dell’informazione: «La scelta è caduta sulla americana, per un quadro nel suo genere solido, ma direi piuttosto anonimo». Difficile dire se lo scrittore avesse torto o ragione, perché di quell’opera non c’è traccia alcuna nelle collezioni del MAC di Lissone. Cosa ancor più strana, nel catalogo del 19 la Mitchell è citata soltanto nell’elenco dei partecipanti, non esiste infatti nessuna riproduzione fotografica dell’opera, né alcuna dicitura che ne riporti il titolo, la tecnica e le misure. Neppure negli archivi del comune, né in quelli della biblioteca civica e della Famiglia Artistica Lissonese esistono materiali o informazioni in merito. Diversamente da tutte le altre opere che si sono aggiudicate il Gran Premio Internazionale, e che oggi si trovano nel caveau del museo, nessuno ha saputo dare spiegazioni sull’assenza del dipinto di Joan Mitchell. Da molti anni ormai questo dilemma affligge la città di Lissone ed è inutile continuare a sperare di poter far luce sullo strano caso di Joan Mitchell. Walter Benjamin diceva che «le copie sono memorie», ma com’è possibile tramandare ai posteri una replica se si è perso ogni indizio dell’originale? A questo proposito è stato chiesto a Gabriele Di Matteo e Andrea Facco di “colmare il vuoto” creatosi nella collezione permanente del MAC, offrendo allo spettatore la possibilità di addentrarsi in questo mistero.
Pianterreno, dal 1o Febbraio al 9 Marzo
Inaugurazione 1o Febbraio 2014 alle18
Ingresso libero

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Protocombo
T-Yong Chung, Michele Gabriele e Jonathan Vivacqua

A cura di Alberto Zanchetta

L’arte, che potremmo spiegare in tanti e differenti modi, ha tra le sue prerogative la condivisione degli spazi. Tale atteggiamento (troppo spesso dimenticato dagli addetti ai lavori) ha esortato Alberto Zanchetta a consegnare le nuove collezioni del MAC di Lissone in mano a tre artisti affinché stabiliscano una sinergia tra le tecniche e le poetiche altrui, instaurando così un dialogo – oltre che un inedito sviluppo – tra le opere permanenti del museo. Ideato da T-yong Chung [Tae-gu, South Korea, 1977], Michele Gabriele [Fondi, 1983] e Jonathan Vivacqua [Erba, 1986], il progetto Protocombo rende necessari dei ripensamenti e dei mbiamenti rispetto alle consuete dinamiche espositive. In questo clima di incontro/confronto, lo spazio espositivo diventa un’arena relazionale in cui poter attuare una pratica di rimescolamento e risignificazione. Uniti sotto il profilo concettuale ma diversificati nella resa stilistica, le inferenze dei tre artisti fanno tesoro della condivisione d’intenti, di idee e di spazi che è all’origine del progetto. In base a una logica cognitivocomparativa, Chung, Gabriele e Vivacqua riflettono su questo “temporaneo passaggio di proprietà” e sul concetto stesso di collezione; essi stessi si improvvisano collezionisti che intendono dedicare i propri interventi (che potremmo definire “amorosi”) alle opere altrui.
Come spiegano gli stessi artisti, l’opera Stay Together di T-yong Chung consiste nel cercare un punto di equilibrio tra le opere: «con una tecnica scultorea verranno realizzati dei basamenti-mensole su cui disporre uno o più lavori degli artisti presenti nella collezione permanente. L’intento non è quello di mescolare o violare le opere, si cercherà anzi di disporle al meglio, studiandone le peculiarità e la cultura d’appartenenza». Coprerte-Connection-Collection di Michele Gabriele sancisce il complicato rapporto tra una sua piccola collezione di coperte e tessuti con le opere della collezione. «Basandomi sull’arbitrarietà, propria di qualsiasi scelta, e sull’arroganza del gusto, alcune opere verranno parzialmente o totalmente coperte dai tessuti, così da eleggerle o biasimarle». L’intervento Ti ho detto di no di Jonathan Vivacqua prevede invece il posizionamento di “forme molli” che possono ricordare degli enormi molluschi. «Con queste forme si giocherà con la presenza fisica delle o ere, così come farebbe un bambino ignaro del loro valore culturale; i “molluschi” richiameranno la collezione, assorbendone le caratteristiche cromatico-materiche». A latere del progetto è stato realizzato un blog che documenta le suggestioni dei tre artisti: http://protocombo.tumblr.com/

Piano interrato, dal 1o Febbraio al 9 Marzo
Inaugurazione 1o Febbraio 2014 alle18
Ingresso libero

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Inaugurazione 1 Febbraio 2014 alle18

Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC
viale Padania 6, Lissone
Orari di apertura: Martedì - Mercoledì - Venerdì 15-19, Giovedì 15-23 e Sabato - Domenica 10-12 e 15-19
Ingresso libero

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