Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC
Lissone (MB)
viale Padania, 6
039 2145174 FAX 039 461523
WEB
Sei mostre
dal 9/12/2015 al 22/1/2016
merc e ven 10-13, gio 16-23, sab e dom 10-12 e 15-19

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9/12/2015

Sei mostre

Museo d'Arte Contemporanea di Lissone MAC, Lissone (MB)

L'installazione inedita Ex corpore per Francesco Mariani, due sculture in marmo di Luca Barbiero, le Lapidi di Salvo, una mostra suddivisa in 4 par[e]ti e altrettanti artisti, una dedicata all'Archivio Mauro Staccioli, infine "Una gita nel bosco" progetto espositivo e simposio intorno al tema dell'ingenuita', a cui partecipano atisti e curatori.


comunicato stampa

10 dicembre 2015 - 10 gennaio 2016
Ex corpore per Francesco Mariani
a cura di Alberto Crespi

«In ogni dialogo con Francesco Mariani», scrive Alberto Crespi, «emergeva la sua passione per gli studi filosofici, dai presocratici a Platone, a innervare costantemente l'ordine del suo discorso artistico. Le più ampie conoscenze tecniche sui materiali amorfi, provenienti dalla professione, gli hanno invece consentito sperimentazioni sorrette da un'inesausta curiosità. Il lavoro con i polimeri ha condotto l'artista a esprimersi con sempre maggior pulizia formale, senza rinunciare a quella libertà priva della quale l'opera non vive. Lungo i tre decenni del suo lavoro si può agevolmente verificare un processo di spoliazione, di sublimazione. Dall'incidere integrando un segno materico a una superficie creandovi una rete capillare disegnata, si passa all'accumulo di materia in forma di coacervi di polveri laviche solidificate a rammentare corpi o lacerti di corpi, residui da una pioggia di cenere. Da ultimo, sulle superfici restano velature, passaggi d'ombre, e nella tridimensione soltanto gusci aperti, dai quali il corpo è scomparso, lasciando lievi tracce nei bozzoli. La cosa, il corpo è divenuto altro da sé, un che di assoluto che intende mantenersi al di fuori del divenire, raggiungendo la sua perfezione.
Di discese al Limbo, di passaggi attraverso realtà a lato, di abbandoni della materia, proprio grazie all'indeterminatezza di una materia illimitata, di àpeiron anassimandreo, si parlava... L'installazione che oggi si propone - e che abbiamo voluto denominare "ex corpore" - costituisce a nostro avviso l'eco visibile di una fondata rielaborazione di pensiero, interloquendo, chiedendo precisa attenzione, ponendoci domande nel linguaggio attuale dell'arte».

Francesco Mariani [Lissone, 1949] compie un personale itinerario di ricerche estetiche collegate con i materiali della professione: al disegno e alla pittura affianca il niello e l'incisione su tavole rivestite di polimeri iniziando così l'attività espositiva lungo gli anni Settanta, con mostre personali a Paderno nel 1983, a Bologna nel 1987, Monza nel 1992, Lissone nel 1993. Nel 1995 aderisce per un decennio all'associazione culturale Koiné, crogiolo di sperimentazioni di linguaggi espressi in istallazioni e performances proposte in ambienti non deputati all'arte, fuori dall'ufficialità. La presenza di Mariani si registra in eventi a Chiaramonte Gulfi e Ragusa nel 1997, Lissone nel 1997, S. Benedetto del Tronto nel 1998, Osoppo nel 1999, Corsico nel 2002, Milano nel 2004. Nel 2005 allo Spazio Palomar di Lissone e nel 2006 a Imola, nel contesto della mostra Osservanti - Osservati, espone l'installazione Corpi minerali, ampio lavoro realizzato con polveri di polimeri che impegna dodici tavoli. Nel 2009 espone in collettiva al Museo della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci a Milano. Nel 2011 è invitato con una sala personale alla mostra 11/11 River's Eleven al Castello Visconteo di Trezzo sull'Adda.

La mostra odierna presenta l'installazione inedita Ex corpore e dà seguito a un dialogo serrato con l'artista, prima di quell'incidente che impedisce tuttora che egli sia presente accanto alla sua opera. Questo progetto vuole configurarsi come memoria attiva, a sostegno di quell'ispirazione - e di quella urgenza del fare in arte attraverso la quale comunica elettivamente il pensiero profondo - che nessun impedimento può vanificare.

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10 dicembre 2015 - 17 gennaio 2016
Luca Barbiero
Resurgam

a cura di Matteo Galbiati

Protagoniste della prima mostra personale di Luca Barbiero [Varese, 1991] in uno spazio museale sono due sculture in marmo, esemplificative della specificità di un linguaggio con cui l'autore traduce la sua ricerca plastica.
Nelle mani di Barbiero, il marmo (materiale che tradizionalmente si potrebbe considerare come "imposto" a uno scultore) fonde due principi essenziali: la rappresentazione in forma "monumentale" di un oggetto comune e lo strumento, assertivo e limpido nella sua traduzione, dell'ironia che interviene alterando lo status quo delle cose, per sovvertirne ordine e significato ma anche per estenderne l'interpretazione.

L'abilità nello scolpire è immediatamente deducibile dalla precisa restituzione di porzioni ed elementi di realtà che instillano nell'oggetto-scultura quel suo gradiente "monumentale", acquisendo un'aura di sacralità definita dall'idea stessa di scultura. Barbiero non riproduce stancamente modelli preesistenti, cerca bensì di impegnare la sua opera a farsi tramite di riflessioni e considerazioni che superino l'identità delle "cose"; agendo per sottili metafore (attraverso quello schietto atteggiamento ironico che non è vuoto divertissement ) Barbiero erode la parvenza di immagini che conosciamo già. La stravaganza, l'impossibile, l'inusuale trasbordano un senso ora maturo e pronto per aprire lo sguardo a riflessioni che non trascurano i valori etici ed estetici associati all'uomo, alla filosofia, alla bellezza...Post fata resurgamè una benna, quella comunemente montata sugli escavatori, che viene riproposta in marmo e in scala reale. Nel titolo dell'opera (traducibile in "risorgerò alla fine dei tempi") annotiamo quel pensiero che l'oggetto ci aveva già parzialmente introdotto e suggerito: il tema della buca-fossa, il loculo estremo dove le nostre spoglie mortali attendono quell'ineffabile vita dopo la morte. L'azione, connotante l'attrezzo da cantiere edile, porta inevitabilmente l'idea dello "scavare una buca" ad estendere la propria visione a un evento simbolico.

In relazione alla benna troviamo l'opera Tam Tam, un tavolo da gioco perfettamente funzionante, sempre in marmo, che riproduce le forme di una bara. Impegnando un unico giocatore alla volta, TamTam è una partita che si gioca con la Morte. Di fatto, l'opera ci ricorda che siamo soli davanti all'imperscrutabile destino che ci attende.

Entrambe le sculture di Barbiero ci obbligano a una presa di coscienza e a una consapevolezza di un'esistenza dopo la morte, come suggerito nel Vangelo di Matteo.
Nella metafora della buca/bara, l'artista non intende sotterrare le nostre speranze, ci aiuta semmai a elaborare pensieri che cerchiamo di allontanare e rimuovere dalla nostra esperienza quotidiana.

Gli eventi ultramondani si insinuano allora in questi oggetti che non rimangano semplici ritratti di un qualcosa congelato nella pietra: nei suoi soggetti Barbiero cerca di esorcizzare quel mandamento che appartiene alla dimensione accademicamente scultorea, affinché un sapere antico possa ri-modulare la propria attualità.

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10 dicembre 2015 - 23 gennaio 2016
Salvo: il migliore

Omaggio a cura di Alberto Zanchetta

Una volta Salvo ha detto che «ciò che sta tra un imbiancare un muro e fare la Gioconda si può chiamare pittura». Se a lungo andare le pareti rischiano di scrostarsi, i quadri di Salvo non sono fatti di banale calce e tempera muraria, al contrario: sono come pietra dura, imperturbabile, solida e solenne. Non è un caso che nel trattato Della pittura -Imitazione di Wittgenstein , scritto dall'artista nel 1989, ricorra più e più volte il riferimento alla durezza delle pietre, che il pubblico aveva imparato a riconoscere nelle lastre di marmo da lui realizzate nei primi anni Settanta. La "letteratura epigrafica" incisa in quelle opere preannunciava una pacifica messa a morte dell'arte concettuale, quasi fossero delle pietre miliari che scandivano il ritorno alla pittura.

Tra critica e celebrazione, l'opera elegiaca di Salvo sentenziava con rara intelligenza sulla catatonia della fine del secolo,intuendo che l'iconoclastia sarebbe stata destinata al koimeterion, "luogo in cui si dorme". Le sue lastre marmoree possedevano inoltre il caustico orgoglio dell'[auto]ironia: Io sono il migliore, Amare me,Salvo è vivo/Salvo è morto,Respirare il padre, Più tempo in meno spazio, frasi che si opponevano all'apostasia degli anni Settanta, precorrendo viceversa il recupero dei pennelli e delle tele per ristabilire un rendez-vous con il passato, troppo a lungo negato (i suoi Autoritratti benedicenti, datati agli stessi anni, sono una prefigurazione di quest'intenzione di "trarre l'arte in Salvo", per rispetto e riconoscenza nei confronti della tradizione).

Pur escludendo l'immagine, le lapidi di Salvo erano in grado di evocarla, imponendo una posterità che sarà appannaggio esclusivo della figurazione; la parola veniva gradualmente meno (perdendo la sua preminenza), ma non per questo il contenuto scompariva o era meno loquace, raggiungeva semmai l'agognata sintesi tra concetto ed esecuzione. «La frontiera di questa sinteticità - affermava l'artista - è che la rappresentazione resti leggibile ». Rinunciando alla verbalizzazione, l'idioma di Salvo si era convertito in pittura, senza più la necessità di doversi raccontare; la lingua smetteva infatti di articolare le parole e iniziava ad assaporare l'impasto della pittura, soddisfacendo la categoria dell'estetica che noi solitamente chiamiamo "gusto".

Lasciandosi alle spalle l'ambage concettuale, Salvo è stato tra gli artisti che per primi hanno ripreso a frequentare i musei per poter dialogare con il passato. È su queste premesse che il MAC di Lissone rende omaggio a un artista che ha sempre saputo infondere grazia e ingegno nel suo lavoro. Come i sassolini di Pollicino che lo riconducevano a casa, le Lapidi di Salvo ci permettono di risalire a ritroso nel tempo, nella storia e nell'arte, ritrovando le radici stesse dell'artista: i minareti, le moschee, le chiese e le cattedrali da lui dipinte nel corso degli anni sono infatti una logica prosecuzione delle lapidi qui esposte.
Sono cioè luoghi della preghiera, della memoria e del silenzio su cui siamo invitati a vegliare da quando l'artista ci ha lasciati prematuramente.

Salvo. Leonforte, 1947 - Torino, 2015.

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10 dicembre 2015 - 23 gennaio 2016
[dis]appunti Mirko Baricchi, Francesca Ferreri, Beatrice Meoni, Albano Morandi

a cura di Alberto Zanchetta

Una mostra suddivisa in quattro par[e]ti, e altrettanti artisti, dove si affastellano forme e colori, supporti e materiali. Le opere ci appaiono come piccoli appunti visivi sottoposti a una vivace disseminazione nello spazio, e a una naturale divagazione del nervo ottico.

L' humus pittorico di Mirko Baricchi (La Spezia, 1970) si snoda tra macchie, aloni e atmosfere ovattate. L'artista asseconda infatti un'azione/reazione - azione del vedere, reazione del dipingere - capace di dare libero corso a una infaticabile, irrefrenabile libertà espressiva; al significato, vale a dire al concetto "fatto intendere", si oppone il significante, ovverosia il motivo "fatto vedere", in cui si manifesta un'acutissima attenzione all'essenza delle cose.
Le immagini di Baricchi vivono all'ombra dei ricordi e delle suggestioni, trasformando la memoria in memorabilia . Le sue opere hanno la stessa grazia di fugaci appunt[ament]i che scivolano lontani.

Francesca Ferreri (Savigliano, 1981) insegue forme che esistono in sé. Mescolando elementi preesistenti, l'artista cerca di assemblare e integrare tra loro gli oggetti,
rendendone coesa la struttura; i perimetri presentano comunque delle asperità, dovute agli innesti di gesso e calce che fungono da collanti. Ferreri insiste su un sottile gioco di sintesi e di dilatazione della materia: una materia che viene [in]formata da sensibilità segniche e pittoricistiche, evocative delle collisioni e degli occultamenti che si avvicendano nell'opera, il cui aspetto finale resta sempre, fortemente, elusivo.

Beatrice Meoni (Firenze, 1960) scruta oggetti quotidiani, usurati o in frantumi, che vengono messi en pose , come nelle nature morte, quasi a voler ricomporre un discorso frammentario, interrotto e più volte ripreso. Vincent van Gogh diceva che «non bisogna dimenticare che un vaso rotto rimane un vaso rotto». Beatrice Meoni indaga la verità frustrata che si annida dietro a questi oggetti "discontinui", "impropri", in quanto deficitari di alcune loro parti. In realtà, la lesa identità dell'oggetto non è compromessa da ciò che è stato disperso, quanto semmai dal dis-appunto che traspare nelle stratificazioni del colore.

Albano Morandi (Salò, 1958) ama lambire i confini ma detesta essere intrappolato nei generi artistici. Negli anni è venuta rafforzandosi la sua vena intimista, di poeta come suggeriva Peter Weiermair, che si origina da "cose umili" sulle quali l'artista interviene in modo minimo eppur determinante. «L'arte», spiega l'artista, «non serve a costruire artifici ma a risvegliare nella visione comune potenzialità dormienti». Il modus operandi di Morandi è teso a ridestare immagini ed energie sopite nei materiali più poveri. Ancor prima che opere, le sue sembrano reliquie di un "quotidiano" che non potrebbe essere più "straordinario" di così.

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10 dicembre 2015 - 23 gennaio 2016
ARC#IVE, Volume 1: Mauro Staccioli

a cura di Lorenzo Respi

Impegnati nell'organizzazione, conservazione e aggiornamento sia delle opere sia dei documenti degli artisti, gli Archivi svolgono un importante ruolo nel sistema dell'arte. Fondamentali non soltanto per la loro funzione di catalogazione, tutela e promozione artistica, gli Archivi incentivano ricerche a fini di studio o di ubblicazione, impegnandosi altresì nella organizzazione di seminari ed esposizioni. A conferma del ruolo e dell'attività da loro svolta, il MAC intende divulgare la conoscenza di questi Archivi presso il grande pubblico. Il progetto, nato da un'idea di Alberto Zanchetta, permetterà di consultare tutta una selezione di documenti, carteggi, foto, cataloghi o "ephemera" afferenti a un particolare periodo o evento connesso alla vita di un artista. La disponibilità di questo materiale non costituirà quindi un semplice corollario all'interno di un percorso espositivo ma diventerà esso stesso il perno di una serie di mostre che si protrarranno nel corso dell'anno.
La rassegna si apre con un primo ciclo di quattro esposizioni, a cura di Lorenzo Respi e Simona Santini, e organizzato da All Around Art. Inaugura il percorso la mostra dedicata all'Archivio Mauro Staccioli.

Riconosciuto a livello internazionale come uno tra i più importanti scultori del secondo Novecento, Mauro Staccioli è professionalmente ancora attivo. Volterrano di nascita e milanese d'adozione, ha iniziato il suo percorso alla fine degli anni Sessanta, concentrandosi su una coerente e instancabile ricerca nella realizzazione di installazioni scultoree site specific .

Presente all'interno delle più importanti rassegne internazionali di scultura, vanta la realizzazione di una lunga serie di sculture-intervento tra Italia, Stati Uniti, Corea, Germania e Belgio, passando per Israele, Taiwan, Puerto Rico, Ecuador, Portogallo. Chiamato a confrontarsi con i centri urbani e con i più suggestivi paesaggi naturali, Staccioli realizza opere che - dopo un lungo percorso di ricerca formale - intrecciano un fecondo dialogo con l'ambiente.

L'Archivio che cura, tutela e promuove il suo lavoro è nato nel 2012 e ha sede presso la Galleria Il Ponte di Firenze, che da anni segue l'attività dell'artista. Il principale compito dell'Archivio è di conservare i documenti relativi al lavoro di Staccioli: dalla corrispondenza ai disegni, dai cataloghi ai ritagli stampa, dalle fotografie delle opere alle maquette dei progetti realizzati oppure mai conclusi. La mostra al Museo di Lissone presenta un'accurata selezione di materiali originali, per la maggior parte inediti, tra cui i primi schizzi per la realizzazione del "Muro", eretto alla Biennale di Venezia del 1978, e l'invito a partecipare al Simposio di Scultura organizzato in occasione delle Olimpiadi di Seul del 1988 (firmato da Pierre Restany sulla carta intestata dei giochi olimpici); taccuini personali e altre fotografie raccontano invece gli incontri e le frequentazioni dello stesso Staccioli.

L'esposizione al Mac è un'occasione per spiare dal "buco della serratura" e conoscere aspetti poco noti della vita personale e professionale di un grande artista del nostro tempo.

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10 dicembre 2015 - 23 gennaio 2016
Una gita nel bosco

Una gita nel bosco è un progetto nato da un'idea di Annalisa Furnari, Fabio Marullo e Gianni Moretti, poi confluito in una mostra tenutasi nel maggio di quest'anno nel quartiere di Schöneberg, a Berlino, dove i collezionisti Haarmann e Bloedow hanno messo a disposizione la propria abitazione privata.
Il piano di lavoro prevedeva un intervento e/o un'indagine svolta da artisti, critici e curatori, invitati a esprimersi su un tema comune, quello dell'ingenuità. Attraverso opere e testi, l'analisi ha dato vita a un rapporto di scambio e collaborazione, senza ruoli o gerarchie prestabilite.

Tutti i soggetti coinvolti: Martina Cavallarin, Stefano Franchini, Annalisa Furnari, Alice Ginaldi, Olaf Hajek, Veronica Liotti, Fabio Marullo, Concetta Modica, Gianni Moretti, Marco Pezzotta, Michele Tocca, Sophie Usunier e Alberto Zanchetta si sono espressi parimenti attraverso il proprio lavoro, sull'argomento preso in esame e così riassunto dai suoi organizzatori:

L'ingenuità è un'attitudine naturale, l'unica, forse, che contiene in sé il valore negativo della conseguenza. Eppure nel significato etimologico della parola, l'ingenuo è un individuo libero, schietto, verace.
Ebbene, come possono tali caratteristiche condurre a soluzioni infelici, quasi che l'atteggiamento in questione rendesse l'individuo preda facile e bersaglio immobile di infauste azioni? L'ingenuo è vittima di se stesso, come di una malattia? Sembra impossibile che detta caratteristica sia stata contemplata dal mondo naturale, come a voler bilanciare dinamiche opposte nella disposizione di una delle tanti "leggi universali" atte a stabilire un equilibrio in natura, ma anche nelle società di tutti i tempi. Oppure: è possibile che l'ingenuità - motivo di distanza dal reale - sia quell'unico volontario approccio di visione del mondo, un singolare e desiderato stato "differente" che permette una visione alternativa dall'oggettivo? Ed è possibile che essa nasca dal desiderio di menzogna (la menzogna di noi stessi, verso di noi, necessaria a noi)? Se le cose fossero come postulato, il sognatore, possibile estensione fisica dell'ingenuo, dovrà continuare a sognare e credere alle allucinazioni, ai ricordi, ai misteri, ai miti, alla malinconia e cedere all' interpretazione della verità come bugia o fantasia evasiva? Chi conserva o pratica questa inclinazione, non fa altro che desiderare... perché il desiderio è misura possibile, naturale e fisiologica. Ciò detto è vero nel caso di un bambino, essendo privo di malizia, ma nel caso di un adulto? Il "fare ingenuo" è comprensibile?

Dopo essere stata presentata in Germania, l'esposizione viene riadattata per gli spazi del MAC di Lissone, all'interno del quale sarà presentato il catalogo digitale della mostra (scaricabile on-line dal sito www.unagitanelbosco.com ) a cui farà seguito un piccolo simposio aperto al pubblico nella giornata di giovedì 10 dicembre dove si avvicenderanno i punti di vista di alcuni dei partecipanti: Martina Cavallarin, Annalisa Furnari, Fabio Marullo, Concetta Modica e Gianni Moretti, che dibatteranno sul tema del progetto, riflettendo su un concetto d'interesse comune.

SIMPOSIO giovedì 10 dicembre ore 17:30

Immagine: Sophie Usunier - Les vents contraires - 2006/2008 4 air hand-made wind socks, 4 fans variable dimension. Photocredit Emanuele Biondi

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche Anna Defrancesco Tel. +39 02 36755700 anna.defrancesco@clponline.it

Inaugurazioni giovedì 10 dicembre ore 19:30
ore 21.00 STORYTELLING: PAOLO DEGANELLO con proiezione dei filmati di Emilio Tremolada

Museo d'arte contemporanea
viale Padania, 6 - 20851 Lissone (MB) (di fronte alla FF.SS.)
Orario:
Mercoledì e Venerdì 10.00-13.00
Giovedì 16.00 -23.00
Sabato e Domenica 10.00-12.00 / 15.00-19.00
Lunedì e Martedì CHIUSO

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