Galleria Il Cenacolo Felice Casorati in Campidoglio
Torino
via Balme, 20
011 7741346

Museo d'Arte Urbana
dal 13/7/2004 al 14/7/2004

Segnalato da

edoardo dimauro




 
calendario eventi  :: 




13/7/2004

Museo d'Arte Urbana

Galleria Il Cenacolo Felice Casorati in Campidoglio, Torino

Presentazione della prima edizione del catalogo dove si documentano le 80 opere prodotte dal 1995 ad oggi, che ne fanno il primo Museo d'Arte Contemporanea all'aperto, in Italia, in realizzazione in un grande centro metropolitano. Saranno inoltre inaugurate ufficialmente le opere prodotte nell'ultimo anno da Daniela Dalmasso, Domenico David, Roberta Fanti, Andrea Massaioli, Antenore Rovesti, Vittorio Valente. La serata prosegue alle 21 presso la Fusion Art Gallery con installazioni tra moda ed arte.


comunicato stampa

Il MAU - Museo d'Arte Urbana di Torino presenta mercoledì 14 luglio, dalle 18 alle 20.30, presso il "Cenacolo Casorati in Campidoglio" in via Balme 20 la prima edizione del catalogo dove si documentano le 80 opere prodotte dal 1995 ad oggi, che ne fanno il primo Museo d'Arte Contemporanea all'aperto, in Italia, in realizzazione in un grande centro metropolitano.
Testi del Direttore artistico Edoardo Di Mauro e del curatore Giovanni Sanna.

Saranno inoltre inaugurate ufficialmente le opere prodotte nell'ultimo anno da Daniela Dalmasso, Domenico David, Roberta Fanti, Andrea Massaioli, Antenore Rovesti, Vittorio Valente.
La serata prosegue alle 21 presso la Fusion Art Gallery in piazza Peyron 9 g con installazioni tra moda ed arte, e l'anteprima della collezione autunno - inverno dell' Atelier Walter Dang "G.Bretagna Messico 2004/2005".

Info 335/63.98.351
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IL MUSEO D'ARTE URBANA DI TORINO
Nel delicato e stimolante passaggio epocale che l'arte contemporanea sta vivendo, intrecciando i suoi destini con quelli della società occidentale nel suo insieme, un ruolo importante può essere giocato, soprattutto in Italia, dall'impostazione di un nuovo rapporto tra arte e territorio. Il particolare accenno al nostro paese è motivato dalla necessità urgente di colmare il gap che purtroppo ci separa dal mondo europeo ed anglosassone, e chi mi conosce sa che le mie riflessioni non sono indotte da alcuna inclinazione esterofila. Questo argomento è tasto particolarmente dolente. I motivi sono molteplici, tra questi si può citare la presenza di un paesaggio culturale colmo di innumerevoli vestigia con urgenti esigenze di tutela e conservazione, di politiche di intervento spesso frenate da un coordinamento centrale burocratico e farraginoso che non agevola i buoni intenti spesso manifestati dalle singole municipalità, e l' arretratezza delle strutture didattiche, ad onta della eccellente professionalità di molti operatori del settore, che dovrebbero sin dalla più giovane età educare alla bellezza, suscitando nel cittadino il desiderio di vivere in una dimensione esteticamente e non solo materialmente gratificante, agevolando la pulsione alla fruizione artistica. Chi scrive è impegnato da un decennio abbondante in un'azione tesa a stabilire un rapporto corretto ed equilibrato tra arte e territorio nella sua città di principale residenza, Torino e, più in generale, dove insorgano condizioni favorevoli per sviluppare dei progetti in questa direzione. Cimento che mi riempie di soddisfazione laddove si intravede la possibilità di operare concretamente in una scena dell'arte magari stimolante, ma troppo spesso effimera e dispersiva. Una delle chiavi di lettura della contemporaneità è certamente il rapporto tra arte e sociale.

Un rapporto spesso aggirato con scorciatoie formali, con un uso strumentale delle tecnologie, fotografia, video, immagini digitalizzate, oppure pittura adoperata mimeticamente rispetto a queste ultime, in cui si contraddice la naturale dialettica tra 'interno' ed 'esterno' a favore del secondo ambito. Il risultato è il proliferare di immagini standardizzate, sempre uguali, patinate e fintamente trasgressive, in cui l'appiattimento sul reale è totale, senza tendere alla manifestazione del pur minimo scarto linguistico. Negli anni scorsi, in particolare, si è assistito al trionfo dell'ormai insopportabile enfasi del piccolo gesto quotidiano, della cucina in disordine e del letto da rifare, o ad una facile ironia da giornale scandalistico sul sistema dell'arte ed i suoi protagonisti, che spesso ha nascosto intenti tutt'altro che disinteressati. Un minimalismo esistenziale rifacente stancamente il verso a quello di passate stagioni, senza averne lo spessore e la profondità di pensiero. Credo che l'arte, in questo lungo 'finale di partita' tra un secolo concluso ed un nuovo millennio dai confini ancora incerti abbia di fronte a sé due strade, se si vuol guardare con obiettività a quanto emerso dalla seconda metà degli anni '90 ad oggi. La prima è quella di ritrarsi dalla vertigine del quotidiano per rifugiarsi nella quiete dello studio, rincorrendo una manualità che privilegi i valori interiori, sviluppandoli con una dimensione nuovamente artigianale del fare artistico. Una elevazione simbolica del creare, riveduta e corretta alla luce del clima dei nostri giorni, con la pittura a giocare ancora un ruolo, come avviene da trent'anni a questa parte, stando attenti, però, a non incoraggiare atteggiamenti estremi, finalizzati ad un virtuosismo formale fine a sé stesso. La seconda prevede, viceversa, un'aggressione frontale nei confronti del quotidiano, da esplicarsi con un'arte demitizzante e trasgressiva, in grado di decontestualizzare i feticci della contemporaneità per riproporli nella loro nudità di simulacri tramite l'installazione oggettuale ed un uso intelligente delle tecnologie, al fine di tramutarli in spiazzanti assemblaggi pervasi da uno spirito pregno di corrosiva ironia. Questo è un modo per mettere alla berlina, con la pratica dell'aggiramento, i limiti talvolta grotteschi del sistema dell'arte e di una burocrazia che fa di tutto per soffocare la creatività ed il merito. Un atteggiamento autenticamente 'politico' perché in grado di mettere in discussione l'esistente con una ironia costruttiva, costante pretesto di poetica e non sporadico episodio, giullarata che rafforza il potere nel momento in cui pare negarlo. Un confrontarsi, quindi, anche e soprattutto con il sociale, ma per penetrare davvero tra le pieghe delle sue contraddizioni, preservando e valorizzando l'autonomia del linguaggio artistico, con spirito da protagonisti non timorosi di essere minoranza, senza accontentarsi di posti di seconda fila dove assistere, più o meno comodamente, ad una commedia incessantemente replicata dai 'poteri forti', o presunti tali, dell'arte. Un modo certamente positivo di avvicinare queste tematiche è quello di confrontarsi con il territorio, per innalzare il livello di qualità della vita, la consapevolezza ed il desiderio di fruire arte, con effetti che non potranno che riversarsi beneficamente su tutto il sistema. Da un punto di vista critico ed intellettuale non si tratta certo di impegno facile. Occorre lavoro costante e consapevolezza di confronto e scontro periodico con ostacoli di tutti i generi. Il compito ingrato, foriero di gratificazioni solo in tempi medi e lunghi, rende questo terreno in buona parte sgombro dalla concorrenzialità che impera altrove, ma è un bene che sia così. Dal punto di vista della mia ormai lunga esperienza personale, oltre ad un progetto con il Comune di Moncalieri, intitolato 'Moncalieri porta dell'arte' che sta gradualmente costellando quella città, alle porte di Torino ma dotata di autonome e non indifferenti risorse da un punto di vista culturale ed ambientale, nonchè di un tessuto urbanistico estremamente variegato, di segni artistici legati ai linguaggi del contemporaneo, e di un altro inauguratosi lo scorso mese di settembre nel comune di Vittorio Veneto, 'Symposium Sculpturae', in cui si è iniziata la produzione di opere realizzate da artisti italiani contemporanei legate tra loro dal doppio filo conduttore dell'impiego di materiali 'economici', plastici e, più in generale, legati al riciclaggio, e del rapporto tra corpo umano, protesi tecnologiche ed ambiente, l'altra realtà che mi assorbe da anni con impegno ed incessante passione valsa a superare innumerevoli difficoltà , e di cui, grazie al contributo ed alla sensibilità della Regione Piemonte riusciamo a fornire una prima testimonianza cartacea con questo catalogo, di cui sarà inevitabile fornire, ogni due – tre anni, degli aggiornamenti, è il Museo d'Arte Urbana sito nel quartiere Borgo Vecchio Campidoglio di Torino. Il MAU è il primo progetto in fase di concreta realizzazione, in Italia, avente come scopo il dar vita ad un insediamento artistico permanente all'aperto collocato all'interno di un grande centro metropolitano, con in più il valore aggiunto di essere iniziativa partita non dall'alto ma dalla base, complice il consenso ed il contributo fondamentale degli abitanti.
Il nucleo originario del MAU è sito nel Borgo Vecchio Campidoglio, un quartiere operaio di fine '800, collocato tra i corsi Svizzera, Appio Claudio e Tassoni, e le vie Fabrizi e Cibrario, non distante dal centro cittadino. Una porzione di spazio urbano miracolosamente salvatasi dagli sventramenti operati dal Piano Regolatore del 1959, che ha mantenuto pressoché intatta la sua struttura a reticolo costituita da case basse con ampi cortili interni dotati di aree verdi, suddivise da vie strette, il tutto a favorire il rapporto di comunanza tra gli abitanti ed una tipologia di insediamento tale da farne un 'paese nella città'. Nel 1995 matura, nei promotori del Comitato di Riqualificazione Urbana, già dal 1991 impegnati in una rivalutazione delle peculiarità urbanistiche ed architettoniche del Borgo, l'intuizione di allargare la sfera degli interventi all'arte, coinvolgendo i cittadini nelle scelte. Vengono a tal proposito invitati a fornire il proprio parere dal Presidente del Comitato arch. Francesco Adorno, alcuni operatori culturali cittadini tra cui il sottoscritto, all'epoca membro del Direttivo dei Musei e delle Mostre della Città di Torino, Il Direttore dell'Accademia Albertina Carlo Giuliano, Carla Bartolozzi, docente della Facoltà di Architettura, il conservatore della Galleria d'Arte Moderna Riccardo Passoni, l'artista Giacomo Soffiantino. Ebbi ad individuare subito nel Borgo Vecchio l'ambito ideale per la realizzazione concreta di interventi che già avevo avuto modo di elaborare negli anni precedenti e, coadiuvato inizialmente, fino al 1999, dal Comitato di Riqualificazione Urbana, in seguito dalla costante presenza dell'Accademia Albertina e, soprattutto, da colui che diverrà il prezioso ed insostituibile curatore del Museo, l'arch. Giovanni Sanna, sollecitai l'inizio di un lungo cammino progettuale, fino agli esiti attuali. Dagli esordi, non facili, ad oggi, sono state prodotte 45 opere murarie all'interno del Borgo Vecchio, alle quali si sono affiancate, a partire dal maggio 2001, altre 33 nuove installazioni costituenti la 'Galleria Campidoglio'. Quest'ultima, componente organica del Museo d'Arte Urbana, è sorta per volontà del Centro Commerciale Artigianale Naturale Campidoglio presieduto da Elvio Guglielmet e grazie alla consulenza di Silvia Maria Venutti, operatrice residente nel quartiere il cui contributo alla sua rinascita è stato in questi anni importante, all'interno delle iniziative del Piano di Qualificazione Urbana, promosso dagli Assessorati al Commercio di Comune e Regione.
Si tratta di opere formato cm. 70 X 100, collocate permanentemente sulle pareti tra i negozi di via Nicola Fabrizi e corso Svizzera, protette da teche di plexiglas, che sono state dotate di illuminazione lo scorso mese di marzo. Il triennio 2001 – 2004 è stato fondamentale per un lancio definitivo dell'immagine e del ruolo del MAU in ambito cittadino e nazionale, simboleggiato dall'inserimento nella 'Carta Musei' della Regione Piemonte. Il Museo si trova attualmente, come è facile intuire dati i presupposti, in una fase cruciale del suo percorso. È stata superata la fase dell'esordio, tra il 1995 ed il 1998, caratterizzata in positivo dall'entusiasmo della sperimentazione, in negativo dalla difficoltà nel rapporto con gli interlocutori pubblici di allora, culminate in vere e proprie operazioni di irrazionale boicottaggio. Dopo un primo ed isolato contributo di sostegno avvenuto nel maggio 1998 al proseguo del percorso inauguratosi con le prime tredici opere autoprodotte tra il 1995 ed il 1996, da parte dell'Assessorato all'Arredo Urbano del Comune, nell'ultimo triennio la situazione è migliorata e cominciamo ad avvicinarci ad una sospirata e tenacemente perseguita piena accettazione e consapevolezza delle potenzialità del MAU, non solo in termini artistici e didattici, ma anche in funzione turistica e promozionale, quale ulteriore e concreta risorsa aggiuntiva per la Città. Una Città che negli ultimi anni ha certamente compreso l'importanza di offrire supporto continuativo alla cultura ed all'arte contemporanea. Tuttavia è necessario, particolarmente per quest'ultima, che si scongiuri il rischio, oggi purtroppo incombente, di una parcellizzazione degli interventi, con conseguente dispersione di risorse, e si rivaluti, anche in questa chiave, l'importanza dei progetti ideati dalla vasta area del privato sociale, delle associazioni, degli operatori culturali cittadini, oggi troppo spesso sottovalutati. Un ruolo fondamentale è attualmente ricoperto dal 'Tavolo Sociale Campidoglio'. Si tratta di un'iniziativa promossa dalla IV Circoscrizione, che ha collegato armonicamente tra loro la rete di iniziative culturali, sociali e commerciali del quartiere in uno sforzo unitario tendente a favorire l'afflusso di investimenti pubblici e privati in grado di far decollare definitivamente l'irripetibile realtà del Borgo Vecchio, anche riguardo l'importante tessuto di attività artigianali e di locali musicali e ristoranti tipici, già da adesso ottimamente funzionanti ma il cui margine di ulteriore sviluppo è senz'altro notevole. Per chi conosce Torino, l'intento è quello di dare vita ad una sorta di secondo 'Quadrilatero Romano', zona antica della città fino a pochi anni fa fortemente degradata ed oggi rinata a nuova vita grazie ad intelligenti investimenti immobiliari che la hanno resa una degli agglomerati più frequentati ed attrattivi del capoluogo piemontese, con la fondamentale differenza del coinvolgimento dei residenti originari ed una più marcata vocazione culturale. I prossimi obiettivi del MAU, che speriamo di poter già documentare adeguatamente con la prossima edizione del catalogo, consistono nel costante proseguimento, in quanto non si potrà certo mai sancire una definitiva conclusione dei lavori, del ciclo di opere murali, allargando gli interventi gradualmente alle porzioni limitrofe di territorio. Si progetta, se giungeranno, come auspichiamo, i necessari contributi pubblici e privati, la realizzazione di sculture ed installazioni permanenti in zone del quartiere quali Piazza Risorgimento, dove è tra l'altro collocato il capiente, circa settecento metri quadri, Rifugio Antiaereo risalente alla Seconda Guerra Mondiale, e l'area mercatale di corso Svizzera, nonchè nei luoghi maggiormente degradati del limitrofo Parco della Pellerina e l'individuazione, in corso, di un ampio locale espositivo che possa adempiere all'ambiziosa funzione di ' Centro per Le Arti Contemporanee', corollario ormai indispensabile per un pieno sviluppo delle attività del MAU, ed importante valvola di sfogo anche per le numerose iniziative della Città, talvolta in difficoltà per la carenza di locali espositivi idonei. La selezione degli artisti è stata sin dall'inizio il più possibile pluralista, conformemente alla vocazione primariamente didattica del Museo d'Arte Urbana, che si propone l'obiettivo di educare il pubblico all'arte contemporanea tramite la fruizione di opere di qualità svincolate, però, da qualsiasi obiettivo di competizione intellettuale e curatoriale, idoneo per altre sedi ed altri progetti. Come è possibile evincere dalla visione delle opere pubblicate in catalogo il progetto del MAU ha investito artisti ormai storicizzati insieme ad altri solidamente emergenti.
È però doveroso sottolineare come uno dei nostri scopi sia stato, fin dall'inizio, il coinvolgimento di giovani artisti, in chiave promozionale e formativa. L'avere accostato il loro lavoro a quello di personalità già affermate ha indubbiamente agevolato un percorso di crescita, anche in funzione didattica, ed a tal proposito va ulteriormente ricordato il fondamentale contributo offerto dall'Accademia Albertina. Si segnala il concorso svoltosi nella seconda metà del 1998, indirizzato agli studenti delle Accademie di Belle Arti italiane, che portò alla selezione di dieci autori ed alla conseguente realizzazione di eguale numero di installazioni murali. Ogni anno nuovi giovani artisti si aggiungono alla nostra collezione permanente. L'ultima parte di questa presentazione intendo dedicarla a più generali tematiche relative al concetto ed alla pratica di arte pubblica in Italia. L'evento che rappresentò l'esordio della nuova stagione del Museo d'Arte Urbana fu l'organizzazione, nel giugno 2000, di una giornata di lavori, presso la Galleria d'Arte Moderna di Torino, sul tema '

I Musei d'Arte Contemporanea all'aperto in Italia : arte e cultura nei processi di riqualificazione territoriale', dove radunai vari esperti del settore e gli esponenti di alcune delle più importanti realtà italiane, tra cui Fiumara d'Arte, ' Su logu de s'iscultura' ed il MACAM di Maglione, per dibattere della questione e verificare come, al di là della grande differenza dei contesti e delle storie, nonché della fase di attuazione dei progetti, fosse ben evidente il radicamento nel territorio e la ferma volontà di creare dei centri di lavoro che disponessero di una stabilità organizzativa abbinata ad una concezione degli interventi come 'work in progress', al fine di creare poli dotati di una propositività continuativa ed allargata. L'ambito pertinente al complesso rapporto tra arte e dimensione ambientale è, in Italia, come citato in apertura, quanto mai complesso e contraddittorio. L'analisi che ci interessa, come intuibile, è quella relativa al ruolo nuovo che l'arte ha dovuto ritagliarsi a seguito dei due più recenti sommovimenti sociali, la Rivoluzione industriale che esordisce agli albori dell' 800 per poi conoscere varie fasi espansive fino al canto del cigno nel secondo dopoguerra, e quella tecnologica e postindustriale verificatasi dopo il 1968. Tralasciando, al momento, gli effetti di questi due fenomeni socioculturali sulla concezione stessa di arte, sulla sua produzione e circolazione, appare chiaro come il fenomeno dell'inurbamento, con la creazione delle periferie e dei quartieri operai e quello successivo ed opposto dello svuotamento ed abbandono delle aree industriali, abbiano creato per l'arte nuovi spazi di intervento, in funzione di estetica diffusa e di educazione visiva. Tutto ciò si relaziona, in particolare nel nostro paese, ad episodi collegati pur nella diversità dei contesti, come l'abbandono di una coerente politica ambientale, la speculazione edilizia, il fenomeno dell'abusivismo. In più l'ampliamento graduale ed incessante, acuitosi nell'ultimo trentennio, della produzione artistica, il suo contaminarsi con altri linguaggi visivi, come la pubblicità, la collaborazione – concorrenza con arti applicate come il design e la moda, ha creato l'impellente necessità di fuoriuscire dall'ambito canonico di gallerie e musei per allargare l'offerta e la base fruitiva, specie per le espressioni artistiche più recenti, destinate inevitabilmente, ancor più che in passato, ad onta della 'normalizzazione' del concetto di avanguardia proprio in origine di quelle storiche, ad essere scarsamente comprese al loro primo apparire. Nel Novecento, in Italia, a queste nuove domande si sono offerte risposte spesso sbagliate, in particolare negli anni del secondo dopoguerra.
La scarsa frequentazione nei confronti delle avanguardie europee e statunitensi, in particolare di quelle legate alla linea astratto – informale, e delle teorie interpretative più avanzate sull'arte, ispirate al pragmatismo ed alla fenomenologia, si saldò al marcato ideologismo post bellico con un'enfasi che, per quanto in buona misura giustificata dalla tragicità degli eventi da poco conclusi, risultava di tono eccessivo rispetto alla santificazione dei valori resistenziali ed all'accento posto sull'impegno sociale e politico di artisti ed intellettuali in chiave nazional – popolare, retaggio di una cattiva interpretazione di Gramsci. A questo si aggiungeva il lungo ostracismo decretato nei confronti dell'avanguardia marinettiana, che pienamente aveva compreso l'importanza di un nuovo rapporto tra arte ed ambiente urbano. La risultante fu una politica di intervento pubblico dove, complici anche i privati, si produssero una lunga sequela di opere discutibili e monumentalismi di cattivo gusto, a metà tra tracce di Ottocento mal digerito e costruttivismo celebrativo. L'impatto della invasiva urbanizzazione avvenuta a seguito del 'boom' economico degli anni '50 e '60, foriero di sincera speranza nel futuro ed utopiche ambizioni per molti artisti, venne incautamente gestito, tra l'abbandono delle tradizioni della nostra società rurale e la creazione di opprimenti quartieri – ghetto, fonte di disagio ed emarginazione, ferite ancora aperte e sanguinanti. Questo nonostante un notevole livello di consapevolezza teorica, anche se obiettivamente limitato a ristrette pur se qualificate elites intellettuali, ed il dibattito sviluppatosi attorno alle tematiche ambientali rapportate ai nuovi fenomeni di inurbamento. Allora, in particolare negli anni '50, si videro in prima fila artisti che rivendicavano per sé un rinnovato protagonismo ed un ruolo centrale all'interno di una società in rapida mutazione. Il dibattito e le proposte su questi temi scossero intellettualmente l'Europa, trovando un ideale e singolare epicentro in Italia, nella città piemontese di Alba. Tutto ruotò attorno alla carismatica figura di Pinot Gallizio, poliedrico uomo di cultura, artista e teorico che radunò nella sua città, tra il 1955 ed il 1957, alcune delle più belle menti dell'epoca. Convergeranno all'interno del 'Laboratorio Sperimentale di Alba' varie ed importanti esperienze, tra cui il 'Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista' di Asger Jorn, in cui si teorizzava un utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici e della conseguente potenziata capacità distributiva, per agevolare una 'estetizzazione' diffusa dei prodotti e delle merci in previsione di una più democratica ed ampia diffusione dell'arte non vincolata, come andava di voga in quegli anni, ad una verifica funzionale sulla sua praticità. Rispetto alle tematiche affrontate in questo scritto, la componente più importante che si troverà a convergere nei dibattiti albesi sarà quella che farà capo a Costant, un collega di Jorn all'interno all' interno del gruppo informale nordeuropeo 'Cobra', denominata 'Urbanistica Unitaria'. Questa nuova concezione urbanistico – architettonica sosteneva la priorità di un intervento diffuso e capillare, 'unitario', sull'ambiente urbano, in previsione di una sua riappropriazione comunitaria e rifondazione estetica. L'ambiente non veniva quindi interpretato solo come agglomerato architettonico od edilizio ma, prima di tutto, come patrimonio di esperienze di carattere sociale, psicologico, etnico, antropologico. Di pari si sviluppava la teoria del Situazionismo di Guy Debord. Centrale a questa teoria è la tendenza ad un''antiarte' che si consumi nel momento stesso della sua produzione ed abbatta ogni steccato con l'esistenza quotidiana, avvalendosi formalmente dell'uso di materiali di scarto opportunamente riciclati allo scopo di opporsi a qualsiasi tentazione di mercificazione dei manufatti e di ristabilimento di quell''aura' artistica vista come degenerazione della società borghese e capitalista. Parole d'ordine che stupiscono per la loro lungimiranza ma purtroppo destinate a non essere raccolte da un contesto che virava in tutt'altra direzione. Infatti le opportunità di rinnovamento estetico offerte dall'allargamento dei confini urbani, salvo rari casi quasi sempre finalizzati a contesti di edilizia residenziale od a singole opere avulse dal rapporto con il territorio, sono sfociate in un disastro senza pari, fin troppo noto e dibattuto, come se il concetto di 'contemporaneità' coincidesse con quello di cementificazione selvaggia . Tutto ciò ha generato, oltre ad una diffusione ed assuefazione al brutto, un disfacimento dei rapporti sociali e del senso di comunità anche quando le intenzioni progettuali, come nel caso dello Zen di Palermo, scaturivano probabilmente da una iniziale buonafede.

In Italia, a partire dalla seconda metà degli anni '70, in sintonia con l'ingresso pieno nell'era tecnologica e post industriale, si è iniziato gradualmente a riflettere su tutto questo ed a tentare l'attivazione di soluzioni, sebbene con notevole ritardo rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei ed occidentali. Tuttavia è fuor di dubbio che, a seguito di un sempre più ampio movimento di opinione, frutto anche di una nuova consapevolezza ambientalista, in termini sia di rispetto dell'ambiente che della necessità di edificare nuovi insediamenti avvalendosi di strumenti di costruzione ispirati ad un concetto di bio sostenibilità, si sia attualmente in presenza di una situazione che consente di nutrire qualche speranza. Nell'ultimo ventennio, in particolare negli anni '90, si sono moltiplicate le esperienze di verifica di un possibile nuovo rapporto tra arte ed ambiente naturale e metropolitano, in taluni casi con progetti di elevato interesse. Negli ultimi anni questa tendenza ha conosciuto un ulteriore incremento in termini operativi, parallelamente alla sempre più evidente crescita della volontà di creare strutture espositive, pubbliche e private, prevalentemente dedicate al contemporaneo, con fare talvolta incoerente quanto ad esiti, ma pur sempre sinonimo di vitalità, che necessita di miglior controllo gestionale. Sono ormai numerosi, in Italia, i comuni grandi e piccoli che propongono rassegne di 'arte ambientale' dove, generalmente in aree verdi od all'interno dei centri storici, gli artisti espongono sculture ed installazioni. Tutto questo è, in linea di massima, positivo, perché crea consuetudine alla fruizione artistica. Tuttavia raramente le opere riescono, anche per la componente spesso effimera ed occasionale di queste manifestazioni, ad instaurare un dialogo ed un rapporto autentico con il territorio.Bisogna anche verificare come, nell'ultimo periodo, siano più frequenti gli esempi di amministratori la cui azione si indirizza verso un recupero consapevole del rapporto con la tradizione storica dello spazio urbano. È importante per una città, non importa di quali dimensioni, di essere in grado di trasmettere alle generazioni future tracce e segni capaci di permeare positivamente di sé il territorio. Il rispetto e la tutela della memoria e del passato non devono essere quindi scissi dalla esigenza di agire sul presente in direzione del futuro prossimo.

Edoardo Di Mauro, Presidente e Direttore Artistico del Museo d'Arte Urbana.

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