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Maria Cristina Della Berta
dal 30/9/2004 al 16/10/2004
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30/9/2004

Maria Cristina Della Berta

Pizia Arte, Teramo

''I suoi pesonaggi, quasi sempre femminili, quasi sempre alla soglia o sul punto di lasciare le lande desolate dell'adolescenza, sono i protagonisti di un universo attentamente calibrato, volutamente lasciato grezzo e poco rifinito dal punto di vista stilistico e strettamente pittorico (...)''. (Alessandro Riva)


comunicato stampa

Mostra personale

Di lei scrive Alessandro Riva:

Che il concetto di ''realtà giovanile'' sia ormai diventato, nella società occidentale, un topos su cui lavorare e da analizzare nelle sue mille diverse componenti è ormai un dato di fatto difficilmente confutabile.

Negli ultimi anni, parallelamente a una riflessione sui territori assai poco esplorati dell'infanzia, un filone tanto vasto quanto poco omogeneo dell'arte europea e americana ha però cominciato a riflettere sulle diverse sfaccettature della realtà adolescenziale, vuoi con il mezzo fotografico ( penso, naturalmente, agli scatti desolanti e seducenti di un Larry Clark, ma anche a quelli teatralmente più posati di Sarah Jones o di Annah Starkey), vuoi con il mezzo pittorico ( ben presente in Europa, attraverso le pennellate di una Niky Hobermann o di una Chantal Joffe, e, in Italia, quelle più definite di Valentina D'Amaro), e perfino con quello scultoreo, decisamente meno alla moda, e forse per questo ancora più sorprendente e seducente ( e il pensiero va in questo caso alle forme slanciate, tra il liberty e il pop, di un Paolo Cassarà).

Cristina Della Berta si inserisce naturalmente, e, con molta forza e originalità, in questo filone, proponendo una visione del tutto nuova e assai poco italiana della questione.

I suoi pesonaggi, quasi sempre femminili, quasi sempre alla soglia o sul punto di lasciare le lande desolate dell'adolescenza, sono infatti i protagonisti di un universo attentamente calibrato, volutamente lasciato grezzo e poco rifinito dal punto di vista stilistico e strettamente pittorico, che ha i suoi paralleli ideali, più che nella bad painting di marca anglosassone, o in quella naif di tradizione europea, in un ''brodo di coltura'' che vede mescolarsi il tratto greve di un certo fumetto underground americano e quello disincantato e allungato delle illustrazioni per adolescenti degli anni Sessanta e Settanta, la street painting di marca americana e l'aria desolata e quieta di certo realismo magico italiano ed europeo, la malinconica fissità metafisica di certi cartoni giapponesi e la struggente asprezza di un Ken Loach trapiantato in terra italiana.

Le ragazzine di Cristina Della Berta hanno,però, tanti padri lontani e ideali quanto in realtà pochi riferimenti diretti alle esperienze pittoriche che li precedono direttamente o li accompagnano in questi primissimi anni duemila: sono perfettamente allineate al tempo che stiamo vivendo e paradossalmente isolate nel contesto artistico contemporaneo.

Quello di Della Berta è infatti un universo a sé stante, solitario e straordinariamente intimo e privato, una sorta di unico, grande romanzo di formazione per immagini, nel quale non ha in fondo grande importanza che cosa accada in questo o in quel singolo quadro, non importa come si vestano o che cosa pensino le sue sgraziate e allungate protagoniste, non importa se la grana pittorica debba più alla tradizione italiana o a certo fumetto inglese, ma dove a far da collante e a dare un senso all'intera serie (e e dunque anche ai singoli quadri ) è quell'aria nordica, plumbea, insieme pesante e leggera dal punto di vista della nostra memoria individuale e collettiva, quell'aria che ci parla di giorni lontani e felici trascinati via da un vento che ci siamo lasciati per sempre alle spalle, dove non c'è posto per la sociologia d'accatto né per le riflessioni sulla morale o sul cinismo dei giovani d'oggi, ma c'è unicamente una sensazione vaga, un'emozione, un'impressione intensa e pungente, fatta della materia grezza e un po' sfuocata di cui sono fatti i sogni e i ricordi, e di un sapore che è quello di un tempo composto da mille frammenti sparsi di cui la nostra mente non riesce a trovare il bandolo se non fissandosi su un unico istante isolato - quel giorno in cui eravamo lì ad aspettare, in strada, i piedi puntati dal freddo, appaggiate a quella finestra e a quel muro di mattoni scuri, e parlavamo di un qualcosa di cui non ricordo più l'inizio o la fine, o forse ci stavamo per rivelare per la prima volta quel segreto che ci eravamo portate dietro d atempo - e chissà che fine ha fatto, anche lui quel segreto ormai vago e sbiadito, col suo carico di sottintesi e di ansie segrete e represse, e se mai lo ritroveremo, da qualche parte, in un giorno lontano, in qualcuno dei nostri viaggi o delle nostre scorribande visive o mentali.


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