Officina delle Arti
Viterbo
Via Bussi, 24 (traversa di Via Mazzini)
338 3668414
WEB
Donata Ingraffia
dal 11/2/2005 al 26/2/2005

Segnalato da

Giovanna Moretti



approfondimenti

Donata Ingraffia



 
calendario eventi  :: 




11/2/2005

Donata Ingraffia

Officina delle Arti, Viterbo

Tracce, mostra personale nell'ambito della rassegna Percorsi. I lavori esposti traggono ispirazione dal mondo degli ideogrammi orientali e dei simboli antropomorfi di culture ancestrali. E' un invito a riflettere sui significati universali e primigeni dei segni.


comunicato stampa

PERCORSI
Rassegna d’arte contemporanea

Percorsi è una rassegna d’arte contemporanea divisa in dieci mostre. Il nostro obiettivo è favorire lo sviluppo dell’arte contemporanea a Viterbo attraverso lo scambio e la contaminazione reciproca che, solo in uno spazio produttivo come un "Officina delle arti" può avvenire.
Siamo ormai giunti a metà del percorso previsto dalla rassegna e le diverse mostre che si sono succedute a partire da novembre hanno visto numerosi artisti lavorare su specifiche tematiche e riflettere sulla condizione dell’uomo contemporaneo. Il segno unificatore, più che a livello formale, si può cogliere nella spontanea uniformità concettuale che lega tra loro le opere presentate dagli artisti coinvolti.
Contaminazione feconda, dialogo costruttivo, scambio di idee, crescita umana ed artistica.
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La prossima mostra è “Tracce”, personale di Donata Ingraffia

Espone l’artista siciliana Donata Ingraffia che presenta la sua produzione più recente. I lavori esposti traggono ispirazione dal mondo degli ideogrammi orientali e dei simboli antropomorfi di culture ancestrali. E’ un invito a riflettere sui significati universali e primigeni dei segni. La contamineranno Isabel Messina, Rossella Papacchini e Miriam Achilli con un’installazione sul tema della potenza rigenerante del mare e Stefano Santangelo che propone oggetti minimali di derivazione orientale.

Testi critici di Barbara Galati, Graziella Modica e Gonzalo Zolle.
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TRACCE
Poetica di un codice

Osservando l’opera di Donata, s’irrompe in un universo di forme e simboli, che, attraverso uno sguardo profano, sembrano appartenere o al mondo degli ideogrammi orientali o a geroglifici che ci riportano lontano nel tempo sino alla preistoria. L’esempio del Kanji, l’ideogramma cinese, è uno dei più rilevanti e diventa una possibile riprova della concettualità del segno anche in assenza d’ogni conoscenza dello stesso, in base ad una sua più o meno innata “consanguineità” con la nostra sfera emotiva; tali figure ci appaiono più o meno note, ma per entrare in empatia con l’opera non è necessario compiere un viaggio spazio-temporale così lontano, o trovare derivazioni celebri, ma basta semplicemente osservare, reimpossessarsi di quei segni che in realtà appartengono da sempre all’uomo, “Nomina rerum res sunt ”.
Davanti ad un’opera di Donata ci si chiede: Qual è il suo significato? Che cosa può esserci scritto? Quale arcana lingua ha utilizzato?
Il fatto che tali immagini suscitino tante interrogazioni, porta l’artista a procedere instancabilmente nelle sue sciarade, ad inventare continuamente nuovi linguaggi, nuovi media, portandoci per mano nel territorio in cui l’arte sconfina nella scrittura, lì dove si realizza l’incontro tra linguaggio parlato e linguaggio iconico. La contrapposizione poetica avviene tra il codice che determina i significati “codificati”, ovvero le idee astratte della cosa, e il significante, ossia la concretezza linguistica del nome della cosa, assieme alle qualità fisiche di essa. Questa sorta d’ibridazione tra linguaggio figurato e immagine scritta diviene fondamentale per la sua opera, immettendola nella memorizzazione dei suoi segni, ovvero instaura un rapporto tra la sfera dei significanti e quella dei significati, creando così un logo-linguaggio, un suo personalissimo codice. Nella recente produzione la parola-immagine diviene per l’artista il modo più immediato e maggiormente efficace per comunicare con “ Chi osserva” o meglio “ascolta” le sue immagini; colui che, esigendosi il significato dei grafismi che marcano l’opera, non può fare altro che procedere con il lavoro di decodificazione.
Quest’enigmatico linguaggio, in vero, a noi più vicino di quanto si possa pensare, rappresenta un appartato lessico, dapprima un iconico sussurro che nel flusso dell’opera sviluppa una gestualità incondizionata, a volte così irruente da tradursi in grido lacerante ma privo di suono. I tratti, animati dalla gestualità dell’artista, prendono forma e nel contempo capacità semantica. Tali simboli appartengono sì ad un arcaico vissuto, tuttavia anche ad una sfera privata in cui possiamo entrare solo attraverso un lavoro di decifrazione.
L’artista sembra proceda attraverso una codicologia di segni, un lessico antropologico, che appartiene ad una sfera universale, in realtà crea un sistema semantico che cela le più segrete confessioni di chi “scrive”, come qualcosa che somiglia ad un intimo diario da scoprire e leggere. Attraverso tale ordine, rivela tutto il suo universo interiore popolato da ricorrenti configurazioni che appartengono al suo vissuto.
Ritroviamo in questa mostra arcaiche rappresentazioni dei soggetti a lei più cari: l’albero, l’uomo, gli ideogrammi, quelli che potrebbero essere definiti i suoi “mantra”, dall’artista sottoposti da sempre a continue trasfigurazioni.
Nelle opere il supporto viene lacerato da sciabolate di colore che, trasformandosi in imponenti arbusti, invadono lo spazio pittorico; i rami si allungano, si assottigliano in matasse di fili sino a divenire una scorrevole grafia che racconta una storia privata, ma oramai rivelata e resa pubblica.
Barbara Galati
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Intimità gestuale, espressionismo e ragione

Un fattore peculiare della pittura di D. I. si pone come fatto paradossale; essa infatti, nella sua apparente semplicità, possiede il dono di stimolare alla riflessione, con i suoi gesti rapidi ed istantanei ma che conducono lo spettatore ad una meditazione sul fare pittorico.
Ad uno sguardo superficiale dell’opera di D. I. l’inevitabile richiamo è - per quel che attiene alla genesi della sua stessa pittura - alla seconda avanguardia. La radice del gesto intuitivo che l’artista ci presenta con purezza e semplicità nasce proprio dall’arte espressionista americana del secondo dopoguerra; tuttavia si peccherebbe di superficialità nel ridurre essa ad un mera deduzione dalla fonte di ispirazione. Osservando gli omini in serie, gli ideogrammi o gli alberi schematizzati che si antropomorfizzano, ci troviamo sì di fronte ad una “pittura d’azione” dal gesto spontaneo, e tuttavia è di un gesto razionalizzato, semplificato, mille volte ripetuto ed interiorizzato che dobbiamo parlare, gesto che rinuncia ad essere casuale per convertirsi in pura espressione di stati d’animo.
Una pittura puramente dì espressione setacciata dalla ragione con l’intento di esplorare la complessità dei significati che il linguaggio figurativo stende di volta in volta sulla tela o sulla carta di cocco tinteggiata. Una congiunzione quasi genetica, se lanciamo uno sguardo alla biografia dell’artista, nella quale due grandi filoni caratterizzanti l’arte occidentale si fondono: da un lato l’espressività nordica e dall’altro la razionalizzazione dell’espressività (attraverso l’imitazione della natura e l’approfondimento mentale del linguaggio figurativo) incontrano uno spazio artistico comune e vengono impiegati con coerenza per decifrare un messaggio.
Queste riflessioni ci inducono inevitabilmente ad un errore più volte commesso: la creazione forzata di un confine di frontiera tra Nord e Sud, o meglio, tra Oriente ed Occidente. La nostra percezione dell’errore si rende evidente di fronte all’opera di D. I. Si potrebbe pensare infatti che gli ideogrammi orientali a poco servano per illustrare un dibattito sulla teoria dell’arte all’ “europea”, ma potremmo anche sostenere il contrario: gli ideogrammi sono utili per risolvere il paradosso anzidetto, e lo sono perché realizzano in sé la sintesi del controllo assoluto tra espressività immediata del gesto e linguaggio mentale della parola, perfettamente razionalizzata, ove un piccolo cambiamento, quasi impercettibile ad uno sguardo disattento, cambia definitivamente il significato semantico finale.
Troviamo qualcosa di analogo nella pittura di D. I. Nei suoi cittadini che camminano vediamo il gesto ripetersi mille volte e lo vediamo variare coscientemente mentre si ripercuote, come nella pittura italiana rinascimentale di tradizione albertiana, nei motti dell’anima e nella narratività del discorso pittorico.
La ricerca continua di piccoli gesti che riassumano la molteplice diversità di comportamento o situazioni impone all’artista la tirannia dell’osservazione e del controllo dell’opera artistica che diviene manufatto.
Graziella Modica e Gonzalo Zolle

Inaugurazione sabato 12 febbraio 2005 alle 19:00;
alle ore 22:00 vibrazione musicale del maestro Antonio La Viola e video-installazione-sonora di Mister x.

Coordinatore
Paolo Fortugno

Officina delle arti, Via Bussi n°24 (traversa di Corso Italia) Viterbo.
Apertura: dal giovedì alla domenica, fino a sabato 26 febbraio 2005.
Orario: 17:00-20:00.

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