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Mario Giovanetti
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Paolo Volta



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Mario Giovanetti



 
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5/5/2005

Mario Giovanetti

Galleria del Carbone, Ferrara

Escursioni nel sogno. Per l'artista pittura e scultura sono un unico modo d'espressione, il dritto e il rovescio di un mondo popolato da esseri che esistono solo nell'immaginazione: un mondo fatto di paesaggi inchiodati nel legno.


comunicato stampa

Escursioni nel sogno

Un giorno Mario Giovanetti pensò di rinchiudere la fuggevolezza del tempo in grossi contenitori metallici. L’operazione fu portata a termine non senza difficoltà, ma tutto si risolse nel migliore dei modi tanto da sfociare in una sorta di performance-installazione che si tenne a Palazzo dei Diamanti. Fu una sera d’estate di venticinque anni fa e l’evento prese il nome di “Contart”. Il tempo, registrato da Giovanetti mediante rilievi bidimensionali, o impresso secondo una semplificazione radicale vicina all’astrattismo, fu dunque argomento di giorni e di notti da vivere nel cortile del nobile complesso ferrarese. Allora l’artista considerava essenziale quel gesto che, se non svuotato e ridotto a semplice convenzione retorica, può dar valore e significato a tutto ciò che lo affascina e colpiva emotivamente, gesto che ancora oggi lo anima.

Inesausto trasvolatore di aree fantastiche, Giovanetti ha sempre pensato che l’azzardo chimerico comincia nel momento in cui la realtà si prende un attimo di respiro, nel momento in cui tutto sembra sospeso tra sistole e diastole dell’essere. In una nota registrata durante un viaggio in Africa viene egli ricorda la magia di talune situazioni, in particolare il fascinoso momento, brevissimo, in cui il giorno volge al termine: “per alcuni secondi, forse ancor meno, un silenzio mistico avvolge la terra ed anche gli animali tacciono, mentre la luce scende oltre l’arco celeste”. La luce calava al di là di un orizzonte dove una scia di colore intenso era come un ultimo lampo prima della notte.

Fu un’esperienza che segnò in modo profondo l’animo dell’artista: anche il tempo dell’Africa fu racchiuso in un grande contenitore prima che ogni ricordo cadesse in prescrizione. Ne nacque un lungo resoconto, segni e arabeschi, tavole e tavole per delineare un percorso fatto di stupore, di riti e di misteri. Quel viaggio lontano si tradusse nell’implacabile desiderio di fare, di una magica realtà, una reinvenzione del vero con inserti adattati come fermagli del tempo.

Conosciamo Giovanetti da molti anni e se la memoria non ci tradisce, se il ricordo rimane in linea con le sue abitudini, lo rivediamo lavorare fino al calare del sole, dipingere o scolpire, prendere appunti o rincorrere l’eco di un crepuscolo. Lo immaginiamo prepararsi all’ora dei sogni e, con l’approssimarsi delle ombre, lo vediamo assaporare la pittura come un sortilegio da registare al ralenty. Ripassiamo le sue scritture, e con esse lunghe parentesi di vita. Eccoci così agli esordi, ai tratti che si associano ad esperienze naturalistiche, quindi ai rituali esercizi legati all’iconicità e alla scoperta della materia, il legno, la pietra, il ferro. Poi, seguendo indici post-cubisti, nonché note che si riallacciano alla frontalità di un Consagra, il segno si fa riflesso della scultura anche se il colore continua a rivestire importanza determinante.

Proprio sui pigmenti si basa oggi molta della sua espressività. Altri sogni, altre congiunture linguistiche, ancora voci di un indefinito che si sviluppa tra i limiti dell’irreale e dell’astrazione secondo una volontà più fantastica che strettamente descrittiva. A lungo pittura e scultura sono state un unico modo d’espressione, il dritto e il rovescio di un mondo popolato da esseri che esistono solo nell’immaginazione: un mondo fatto di paesaggi inchiodati nel legno, un mondo dove è facile ripassare i sogni stringendo una scheggia di ferro o abbracciando con lo sguardo ciò che resta di una pianticella portata dall’Africa.

L’operare artistico non è costituito di sola consapevolezza e per quanto possa essere operante la tensione ed il vaglio critico, spinte ed intense sottese si infiltrano arricchendo ed allargando gli orizzonti interpretativi che inglobano anche brandelli di significante quotidiano.
Parlo di aspetti che sono costanti nelle opere d’arte degne di questo nome e che hanno riscontri in opere lontane nel tempo e che tuttavia ne costituiscono traccia e testimonianza.
La riduzione della pittura in parole è peraltro sempre manchevole anche per focalizzare i lavori meno recenti e recentissimi di Mario Giovanetti che vanta nel suo curriculum decenni di proficua attività ed estesi riconoscimenti.

Infatti, il suo interesse per l’arte è caratterizzato da una “vocazione” adulta attraverso la scorciatoia del collezionismo che lo ha affinato facendogli scoprire le innumerevoli potenzialità cromatiche insite nella materia, materia che possiede fra le molte qualità una sua intima “intelligenza”, ricchissima di modalità ed esperienze –come la tarsia ad esempio- che nuove sintesi formali possono agevolmente offrire aspetti e letture altre. Da qui anche la dimensione fantastica chiamata ad organizzare un mondo coloristico davvero particolare con recuperi che si spingono in una affascinante infinita affabulazione, un percorso che si snoda attraverso cicli compatti come si evince da questa significativa rassegna titolata: “Escursioni nel sogno”.
Sono variazioni su un ipotetico tema, dove Mario Giovanetti si palesa ancora sedotto dalla ricerca ed attratto in periodi alterni sia dal figurativo, sia dall’astrazione, trovando il necessario collante nella preziosità dell’esecuzione che sempre si ripropone con rinnovata forza, quasi con malcelata misurata malinconia per il bello, dove non è assente il forte desiderio di essere attraverso le opere.

Volendo si possono considerare “astrazioni” queste fatiche recenti che non sono vacue e mai meramente decorative, esprimenti piuttosto una severa indagine di presenza che si impone coinvolgendo sentimenti, fantasia e stati d’animo che testimoniano attraverso un peculiare linguaggio un personale percorso estetico.
Volendo ancora, è avvertibile una certa edonistica sensualità pittorica, una sorta di manierismo ideologico che si sublima in esibizioni di bravura, trasfigurazioni da dove emergono attraversamenti affidati per lo più al collage che sottolinea uno studiato ed attento contrappunto materico: leggere graniture neutre si staccano evidenziandosi da un supporto pittorico ricco e soffuso di velature policrome.

Logica consequenzialità vuole che l’appropriazione e l’equilibrio delle diverse tecniche siano affrontate sinergicamente ed artatamente. Il risultato è evidente perchè convoglia in una unica opera che vuole esprimere il proprio tempo fattori ed aspetti diversi dando vita ad un “racconto” contemporaneo.
Sempre volendo, si potrebbe dare inizio a discorsi altri come l’individuazione in queste opere di un sistema di segni oppure insistere sulle persistenze e sui residui di pratiche di superfice, ma è bene chiudere qui il possibile intervento esplicativo sui lavori di uno stimato amico.

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