Caffe' Imperiale
Catanzaro
Corso Mazzini
WEB
Face to face
dal 6/5/2005 al 22/5/2005
WEB
Segnalato da

Mario Lo Prete




 
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6/5/2005

Face to face

Caffe' Imperiale, Catanzaro

Face to face. Le opere di Maurizio Cariati e Mario Lo Prete mostrano l'identita' umana con ricerche meditate e stratificate. Le loro opposte peregrinazioni trovano il punto di contatto nell'indagine e nella comprensione dei reciproci linguaggi e dal loro confronto.


comunicato stampa

Faccia a faccia

Volti sempre rivolti ad altri volti, i nostri, svolti dall’ esistenza, avvolti dal mistero della coscienza, còlti nell’ attimo in cui si mostra l’ interiorità, senza girarci troppo intorno, per una volta, almeno una.

Le opere di Maurizio Cariati e Mario Lo Prete ci mostrano l’effige dell’identità umana con ricerche meditate e stratificate, come del resto ci arriva sempre la verità quando apriamo gli occhi per vederla. In questo caso l’ incontro tra due pittori si instaura con un tema di eccellenza: il ritratto, le loro opposte peregrinazioni trovano il punto di contatto nella raffinatezza dell’ indagine, non nei contenuti, indice questo di positiva autonomia, ma la cosa più importante è che comprendono entrambi i reciproci idiomi, li apprezzano vicendevolmente, dal loro confronto nasce quindi un solare dialogo tra superamento e attualità della pittura. E’ dunque una mostra ricca di suggestioni, dai molti rimandi e prospettive, allestita per scelta nello storico Caffè Imperiale di Catanzaro, luogo della fuggevolezza del quotidiano ma anche terreno di illimitate discussioni culturali nei secoli, luogo dove per l’ occasione sarà rimosso ogni specchio. Perché con questo dialogo si discute proprio dello specchio che è la pittura.

In Cariati la radicalità monotematica del volto è infatti fondante per lo studio di una geografia tridimensionale dell’ evento pittorico. I suoi ritratti, spesso immaginari, comunque sempre interpretati, sono pretesto per una stringatezza di termini che non lascia permeare il compiacimento della forma, una voluta liberazione dai dati di tradizione appare il centro delle sue riflessioni. L’ affiorare di un omaggiante movimento memore delle de-figurazioni di Francis Bacon prende sempre più le distanze da un fare pittura convenzionale, il cenno del suo sofferto esistenzialismo non sarebbe realizzato con fermezza altrimenti, ed ecco nelle sue opere l’ apparire delle protuberanze, le masse in tensione, dall’ interno all’ esterno, appunto un esprimere, mai un imprimere. I suoi ritratti ci ricordano il reale vissuto di un uomo chiamato tragicamente The Elephant Man, i suoi dipinti chiedono di vivere nell’esilio di una pittura che è ancora il mezzo più ineffabile di rappresentazione delle immagini. Ma i tratti sciabolati da pennellate rapsodiche, l’ urlo ricorrente divenuto ormai un solo segno, la sintesi crescente del suo magma coloristico, la presenza austera della iuta non nascosta, ci conducono ad una pittura in cui la rappresentazione lascia sempre più il posto alla presentazione di un assunto tecnico-poetico, morale nel suo agire in re-invenzione dell’essere e apparire. Se di figure possiamo ancora parlare, esse sono sempre colpite da dentro nell’ istante in cui la maschera interiore prende il sopravvento su quella esteriore, le inquietudini divengono nelle sue soluzioni affascinanti; Edvard Munch è molto lontano oggi, ma si potrebbe ipotizzare che udirebbe bene la voce di questi dipinti.

Le stesure opache di queste tele acide, dipinte con tempere, acrilici, scorrono veloci, devono essere risultato dell’ inesprimibile, un indugio di troppo e le opere perderebbero immediatamente freschezza, in tale contesto anche le forme abbozzate, plastiche, non devono avere rigori geometrici, emergono come dune di fango da una terra madre, o da sabbie mobili. Ecco perché nella sua sintesi la pittura diviene sempre più traccia e non campitura, animo veritiero e non suadenza di superficie.

Specularmente, emozionato dagli iperrealisti americani Chuck Close, Don Eddy, Richard Estes etc., in Lo Prete nasce una rinnovata meditazione sul ritratto inteso non solo nella fredda stupefacente tecnica allusiva ad una falsa realtà vissuta dalla modernità, proprio perché mimetica, imitativa, sgombra di psicologismi emotivi, in lui al contrario affiora un disagio sociale, un sibilo dell’ animo, un silenzio immobile proprio in quei rappers che hanno trovato nell’ orror vacui delle parole l’unico moto di sfogo, di sperata liberazione allato di una aperta condanna. Gli effigiati da Lo Prete sono appunto i fautori di quella contemporanea e riconosciuta cultura suburbana statunitense, in omaggio ai suoi propri referenti lontani mezzo secolo, si, ma forse veicoli di un disagio globale, interrazziale, generazionale, video-audio-foto trasmesso in tempo reale, immanente, in un flusso privo di pause. In quel suo bloccare l’immagine, mediata dalla pittura, si propaga un’onda carica di grida soffocate, di fisionomie tirate come corde, per una breve eternità mute. Lo spirito dei ritratti di Lo Prete è appunto caricato nella pausa di una declamazione febbrile, l’immagine è spesso presa dalla carta patinata delle riviste musicali, rielaborata e contraddetta nella selezione, laddove i soggetti non si innamorano della propria immagine divenendo perciò essi stessi vittime narcisiste di ciò che contestano, bensì laddove ci ricordano, con le loro espressioni disturbate, radici di schiavitù e un ruolo che va appunto proprio contro la cristallizzazione dei sistemi schiaccianti, visi quasi sempre accecati da una luce estranea che li porta a raggrinzire e storcere i lineamenti.

Questi temi però, nel profondo, ci fanno più propriamente apprezzare il suo bel mestiere di pittore. Gli impasti morbidi e ben torniti, l’ ombra velata di una rete di recinzione proiettata sulla pelle, i piani di campiture a raggiera delle dita di una mano che coprono interamente i connotati della faccia, i passaggi sapienti delle Terre di Siena bruciata stese fino a struggersi sugli incarnati trasfigurati dalle cromie accese di abbigliamenti forzatamente giovanilistici, tutto questo è sempre in lui non secondariamente pretesto per una sinfonia cromatica, tra gli equilibri del pieno e del vuoto, quest’ ultimo spesso parallelo, preponderante e non casuale protagonista.
Gianluca Murasecchi

Caffe' Imperiale
Corso Mazzini - Catanzaro

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