Museo del Corso
Roma
via del Corso, 320
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I Macchiaioli
dal 15/5/2000 al 24/9/2000

Segnalato da

Studio Esseci




 
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15/5/2000

I Macchiaioli

Museo del Corso, Roma

André Chastel li definì "I cugini maggiori degli Impressionisti", una affermazione che appare oggi riduttiva, come evidenzia la grande mostra che ai Macchiaioli dedica l’Ente Cassa di Risparmio di Roma nella sua sede espositiva del Museo del Corso.


comunicato stampa

André Chastel li definì "I cugini maggiori degli Impressionisti", una affermazione che appare oggi riduttiva, come evidenzia la grande mostra che ai Macchiaioli dedica, dal 16 maggio al 24 settembre, l’Ente Cassa di Risparmio di Roma nella sua sede espositiva del Museo del Corso.

Per questo grande ritorno romano dei Macchiaioli (l’ultima, organica esposizione loro dedicata risale alla metà del secolo scorso), Alessandro Marabottini e Vittorio Quercioli, hanno scelto di focalizzare l’attenzione sugli anni Sessanta dell’Ottocento, un decennio che rappresenta il vertice della "pittura di Macchia", il suo momento più unitario e insieme organicamente creativo.

A rappresentare il momento più alto del movimento, saranno più di ottanta opere, tutte di grande qualità, concesse da istituzioni pubbliche e da collezioni private, scelte con il preciso intento di dare effettivamente conto dell’importanza e della qualità di quanto prodotto dagli artisti che operavano a Firenze e in Toscana negli anni tra il 1855 e il 1867, ovvero il periodo immediatamente antecedente e seguente l’Unità d’Italia.

Firenze, a metà Ottocento, era il punto di convergenza di artisti che, provenendo da diverse parti d’Italia, sceglievano il tollerante Granducato per risiedervi. Il "romanticismo storico", che pur rappresentava una novità rispetto alla tradizione accademica, venne violentemente scosso dagli echi della Esposizione Universale del 1855 ed in particolare dalla Scuola di Barbison e dai paesaggi ispirati direttamente dal vero.

Ma la grande novità venne dall’esperienza di Telemaco Signorini che nella seconda metà degli anni Cinquanta esegue una serie di vedute in cui il contrasto fra le luci e le ombre viene esasperato, come lui stesso più tardi teorizzò, una pittura di macchia che, mentre sottolinea fortemente le masse e i profili delle cose, ne sintetizza le forme dell’opposizione fra la luce, tendente al massimo al chiaro, e l’ombra, tendente essenzialmente al nero.
L’apparente somiglianza con i bozzetti del periodo barocco, portano la critica più allineata a stigmatizzare le opere dei "macchiaioli" come "non finite", allontanando anche i possibili acquirenti.

La guerra del ’59, che vide molti degli artisti partire volontari, divenne soggetto preferito delle opere partecipanti al concorso che, all’indomani dell’Unità, venne promosso da Bettino Ricasoli. Al realismo delle opere ispirate alle vicende storiche faceva da contrappunto il lirismo, derivato da modelli d’oltralpe, dei paesaggi e delle vedute di Nino Costa, giunto in quegli anni da Roma a Firenze.

La macchia di Signorini, la lezione di Costa e la tematica del concorso Ricasoli, vinto da Giovanni Fattori, costituirono altrettanti impulsi sui quali si plasmarono i Macchiaioli. Il loro lavoro in comune all’aperto sui motivi della campagna, la loro ricerca sul rapporto fra colore e luce, i quadretti dipinti insieme e messi a confronto portarono ben presto a trasformare la macchia chiaroscurale di Telemaco Signorini nella macchia tonale, sintetica e luminosa, che è l’essenza della nuova pittura.

Nel decennio ‘60-’70, il gruppo affina il proprio linguaggio. E’ possibile isolare momenti straordinari di aggregazione, come quello di Signorini e Cabianca a Portovenere, di Signorini, Banti, Cabianca, Borrani e Abbati nei dintorni di Firenze, di Borrani e Sernesi sull’Appenino Pistoiese, di Lega, Signorini, Abbati e Borrani a Piagentina, di Fattori a Livorno e poi a Castiglioncello con Sernesi, Abbati e Borrani. Si è cercato di schematizzare queste varie vicende degli anni ’60, parlando, forse a torto, di una scuola di Piagentina, o di una scuola di Castiglioncello; in realtà non si trattò di vere e proprie scuole, ma di luoghi di incontro, di momenti.

Ad accomunarli erano anche gli ideali politici: radicali, garibaldini e mazziniani, avevano lottato per l’unità nazionale, ma uscivano sconfitti dalla soluzione monarchica e dal governo di destra di Bettino Ricasoli.

E forse questa loro sconfitta politica e un conseguente rifiuto del paese li portò, più o meno coscientemente, a confinarsi in una pittura extra cittadina, a esaltare la vita della campagna, a non intendere le nuove realtà industriali, a esaltare la modesta moralità borghese e l’operosa attività contadina e pastorale, ignorando e disapprovando lo spirito imprenditoriale e le trasformazioni urbane e sociali.

Cosicché dalle loro opere viene a noi l’immagine delicata e poetica della quieta vita in villa, del laborioso mondo agricolo, e della bella natura toscana; mentre molto raramente, come è il caso di un paio di quadri "sociali" di Signorini, o istintivamente drammatici di Fattori, traspaiono asprezze e problemi della vita contemporanea.

I macchiaioli, ignorati in vita dal gusto ufficiale e dal pubblico, ebbero un generoso protettore in uno degli ingegni critici più vivaci nel campo storico artistico di tutto il nostro Ottocento: Diego Martelli. Li aiutò, ospitandoli anche nella sua tenuta di Castiglioncello, tentando anche, senza successo, di mettere in rapporto impressionisti e macchiaioli, due scuole che gli sembravano guardare con occhi nuovi la natura nella sua qualità luminosa.

Alla fine del settimo decennio è possibile avvertire una sorta di mutazione nella vicenda macchiaiola; due dei suoi protagonisti sono ormai morti: Sernesi nella guerra del ’66, Abbati per idrofobia nel ’68; Lega lascia Piagentina e si avvia a nuove soluzioni stilistiche; Borrani comincia ad accentuare le tendenze verso la pittura di cronaca sempre più descrittiva; Signorini si accosta a un realismo di gusto internazionale; Banti sviluppa una pittura sentimentale non lontana da certa arte inglese contemporanea; Fattori va arricchendo in modo sempre più personale la sua drammatica e panica visione della realtà; altri giovani pittori, come i Tommasi, Cannicci, i Gioli cominciano a muoversi nel solco dei fondatori del movimento macchiaiolo, imitandone e volgarizzandone il linguaggio.

"I MACCHIAIOLI (1860-70)" Roma, Museo del Corso (via del Corso, 320). Orari: tutti i giorni 10.00/20.00; chiuso il lunedì. Biglietti: intero lire 12 mila, ridotto di legge lire 8 mila; ridotto speciale lire 9 mila. Mostra promossa dall’Ente Cassa di Risparmio di Roma, organizzata dalla Edizioni De Luca, curata da Alessandro Marabottini e da Vittorio Quercioli. Catalogo Edizioni De Luca, in mostra lire 50 mila.

Informazioni e prenotazioni: tel. 06.6786209.

VERNICE PER LA STAMPA: lunedì 15 maggio, dalle ore 11 alle 15.

Ufficio Stampa:
Studio ESSECI - Sergio Campagnolo. Tel.049.663499 fax 049.655098

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