Libreria Odradek
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Black Room
dal 12/5/2006 al 18/5/2006
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Press Office Merzbau




 
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12/5/2006

Black Room

Libreria Odradek, Roma

La produzione di Olimpia Della Corte e' una sperimentazione di linguaggi che passa dalla scultura, all’installazione, alla performance, alla fotografia e al video. Lo scatto di Marco Falanga fissa il momento emblematico del percorso, capovolgendone l’ordine dei valori e annullando la subalternita' della fotografia.


comunicato stampa

Olimpia Della Corte e Marco Falanga

A cura di Paola Donato, Elena Paloscia, Loris Schermi

Merzbau Arte e Cultura presenta la sesta mostra nell'ambito di FotoGrafia Festival Internazionale di Roma. Sabato 13 maggio 2006 alle ore 18.00, inaugura, presso la Libreria Odradek la mostra di Olimpia Della Corte e Marco Falanga ''Black Room'' a cura di Paola Donato, Elena Paloscia, Loris Schermi.
L'esposizione e' presentata da un testo critico di Loris Schermi:

L’intera produzione di Olimpia Della Corte e' una continua sperimentazione di linguaggi interdisciplinari che passa dalla scultura, all’installazione, alla performance, alla fotografia e al video, spesso usati in contaminazione tra loro. Una ricerca, la sua, che la spinge ad indagare le dinamiche della percezione sensoriale, sia psichica che corporea, in rapporto con l’ambiente fisico e nelle sue sfaccettature sociali.

L’opera e' spesso luogo di esperienza, mezzo di raggiungimento di una nuova condizione. L’artista, profondamente viscerale e visionaria, materializza i nostri desideri e incubi piu' nascosti, ingigantendoli e ponendoceli materialmente di fronte, come avviene in opere quali Magnifica dove il territorio di svolgimento dell’azione e' una vagina gigante o nel ciclo degli Ibridi, sorta di insetti mostruosi. In Black Room l’azione si compie in una fase privata, nello studio fotografico, pronta ad essere contestualizzata in altri luoghi.

Gli scatti fotografici ne focalizzano gli elementi chiave in una sublimazione che ne amplifica il significato. Nella costruzione scenografica, Olimpia della Corte crea un ambiente che sembra sospendere nel tempo e nello spazio l’azione, studiandone accuratamente luce ed equilibrio compositivo. L’illuminazione della scena, curata nel minimo dettaglio come in un quadro di Caravaggio, e' rigorosamente naturale ed ottenuta senza l’ausilio di fonti artificiali. Ne deriva una fase di esecuzione lenta e calcolata e tempi di esposizione dilatati.

Lo scatto di Marco Falanga, fissa il momento emblematico del percorso, capovolgendone l’ordine dei valori e annullando di fatto la subalternita' della fotografia nei confronti della performance e trasformandola da mezzo di indagine e documentazione ad opera d’arte autonoma. Non e' reportage, scena e scatto fotografico vanno di pari passo in una simbiosi che produce piu' risultati e pone la performance e la fotografia sullo stesso piano. Il fulcro su cui rotea tutta la composizione e' il corpo, corpo come espressione di contenuti psichici e simbolo della condizione umana, nudo perche' libero da contaminazioni identificative. Entita' fisica, involucro contenitore del se' e strumento di comunicazione con l’ambiente circostante.

Microcosmo dell’Io da contrapporre al macrocosmo dell’universo. Quell’Io globale di cui parlava Pierre Restany che rappresenta l’ispirazione dell’uomo ad una mutazione/liberazione collettiva. Il processo lento e faticoso, assume i connotati di vera e propria esperienza psicofisica sul filo della schizofrenia. Intorno il nero, il non colore del buio che avvolge il primo momento della chiusura degli occhi. E' il colore dove fluttuano i sogni e dove ci si puo' perdere senza ritrovare la strada del ritorno. Il se'-corpo, deve lottare per trovare l’equilibrio e liberarsi in una sorta di nigredo, presupposto di una futura trasformazione.

Il processo e' doloroso come lo e' lo shock della nascita, dell’abbandono dell’utero materno al quale si rimane legati dal cordone ombelicale. Ma nelle immagini non c’e' violenza, non vediamo sangue. Il corpo-involucro si trova li' senza sapere come vi ci e' giunto. Un sottile sadomasochismo lo lega all’ambiente in una sensazione di costrizione e soffocamento che per qualche attimo si trasforma in piacere, in un velato desiderio di dolore che disorienta, complicando la logica delle corrispondenze. Gina Pane definiva il corpo come “l'idea stessa, mentre prima era solo un trasmettitore di idee. (…) Da qui si puo' entrare in altri spazi, ad esempio dall'arte alla vita, il corpo non e' piu' rappresentazione ma trasformazione...". Una trasformazione che non ci puo' essere senza sofferenza e che in qualche modo diventa metafora della nostra esistenza.

Libreria Odradek
via dei Banchi Vecchi, 57 - Roma

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