Performance di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini; ciò che l'evento performativo dei due artisti mette in risalto è 'la processualità del fare come conoscenza', il carattere cioè pragmatico che l'arte ha assunto nel nostro tempo e il suo feedback nella relazione con lo spettatore.
In un testo del 1966 il teorico dell'happening Allan Kaprow si chiede che cosa
separi un atto artistico dalla vita e aggiunge, come reazione a questa domanda,
che non soltanto vita e arte si mescolano ma le loro stesse identità sono
incerte e i loro confini difficili da definire. E' proprio l'esistenza di queste
ambiguità che rivela l'autenticità dell'esperienza. Quello che Kaprow spera di
conoscere attraverso l'arte è il senso della vita da cui l'estetica trae la sua
origine d'essere. Il suo sentimento poetico è costantemente rivolto
all'osservazione e all'interpretazione degli atti quotidiani nelle cui pieghe si
celano la forma, le soglie e la durata dell'esperienza stessa. Le riflessioni
dell'artista americano rivelano in modo emblematico la sua fede intellettuale
nella funzione comunicativa dell'arte e nel suo duplice valore di accadimento
artistico ed esistenziale. I temi affrontati da Kaprow sono stati più volte
ripresi dalla ricerca creativa delle ultime generazioni che lavorano seguendo le
forme della sperimentazione.
Un esempio è la performance Il gioco della verità che Ottonella Mocellin e
Nicola Pellegrini presentano nello spazio della Fondazione Adriano Olivetti. Ciò
che l'evento performativo dei due artisti infatti mette in risalto è proprio 'la
processualità del fare come conoscenza', il carattere cioè pragmatico che l'arte
ha assunto nel nostro tempo e il suo feedback nella relazione con lo spettatore.
La performance si inserisce in un ciclo di lavori centrati sull'idea del gioco
(dalle fotografie intitolate L'altro mondo, On the road, If it's different it's
different!, sino al video Hurt so Good) che in queste opere diventa metafora
delle dinamiche esistenti nel rapporto di coppia. Il gioco, come sappiamo, è
un'attività ludica di apprendimento e di relazione esercitata soprattutto nella
prima fase della vita; qui essa viene riproposta nella gara a due in cui a
braccia distese si cerca di colpire il dorso della mano dell'altro. Durante
l'azione, visibile e udibile solo dalla strada, gli artisti scrivono sulla
vetrina una serie di domande e il gioco va avanti sino a quando la finestra non
sarà ricoperta di parole. Queste varianti intensificano l'aspetto rituale dei
gesti che esprimono una integrità formale compiuta anche se provvisoria. Alle
domande che i due artisti si rivolgono - riguardanti l'amore e il senso che esso
ha all'interno della loro relazione personale - seguono delle risposte che
tuttavia non offrono soluzioni definitive "quasi a sottolineare, affermano
Ottonella e Nicola, l'impossibilità di raggiungere una qualsiasi verità ". I
segni linguistici trascritti sul vetro, insieme agli oggetti usati per la
performance e la registrazione video dell'evento, sono indizi tangibili che
qualcosa è accaduto. Ma non solo. Essi sono anche le spie di gesti, intenzioni e
formulazioni linguistiche che rimandano ad altri vissuti e ad altre condizioni
esistenziali. Lo spettatore partecipa a una distanza minima ma significativa,
separato dal luogo in cui si consuma l'esperienza estetica da un muro
trasparente di parole che traccia il confine tra spazio pubblico e spazio
privato. Eppure si tratta di una separazione apparente perché la performance è
più di un semplice oggetto artistico, è un processo di complesse interazioni
che, attraversando il luogo dell'evento, riporta lo spettatore alla condizione
del ricordo e dell'appartenenza. (Maria Rosa Sossai, aprile 2001)
mercoledì 18 aprile 2001
inizio performance ore 20.00
La mostra sarà aperta fino al 4 maggio con i seguenti orari:
dal lunedì al venerdì (esclusi i festivi) mattina 10.00/13.00, pomeriggio
14.30/18.00