Museo di Santa Giulia
Brescia
via dei Musei, 81/b
030 2977833 FAX 030 2807022
WEB
Tre Mostre
dal 26/10/2006 al 8/4/2007
Lunedi' - giovedi' 9-19. Venerdi' e sabato 9-21. Domenica 9-20. 1 gennaio 2007 11-20. Chiuso 24, 25, 31 dicembre

Segnalato da

Studio Esseci




 
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26/10/2006

Tre Mostre

Museo di Santa Giulia, Brescia

Turner - La grande storia del paesaggio moderno in Europa. Composta di 285 opere, la mostra, a cura di Marco Goldin, per la prima volta in Italia tratteggia l'importante vicenda della nascita del paesaggio impressionista. Mondrian: Per Mondrian la pittura e' il risultato di tre componenti fondamentali: forma, linea e colore, e ha come sola finalita' la realizzazione della Bellezza. Bellezza non tanto come attributo della realta' ma come entita' spirituale in se stessa. Licini: 37 opere, comprese tra il 1913 e il 1929, che lo hanno visto preparare la sua pittura piu' nota delle Amalassunte e degli Angeli ribelli.


comunicato stampa

Turner e gli impressionisti

La Grande storia del Paesaggio Moderno in Europa

Composta di 285 opere e divisa in 5 ampie sezioni, la mostra, a cura di Marco Goldin, per la prima volta in Italia tratteggia l'importante vicenda della nascita del paesaggio impressionista. Facendolo pero' da un punto di vista molto piu' dilatato e cosi' storicamente fondato. Infatti, la prima sezione indichera', attraverso l'opera di Constable e Turner, le maggiori preesistenze in Europa, al di fuori della Francia, nei termini della piu' elevata qualita' quanto a una nuova interpretazione del paesaggio. Non e' inutile ricordare, tra l'altro, come Constable e Turner siano stati fondamentali, il primo in modo particolare per gli artisti di Barbizon e il secondo specialmente per Monet. Questo capitolo introduttivo sara' gia' l'affondo dentro una natura descritta e interpretata in modo assai diverso rispetto al XVIII secolo. Con Constable seguendo le vie di un realismo che si tramuta in lume nuovo sulle cose, e con Turner lungo i sentieri di quella dissoluzione della natura nella luce e nel colore che conteranno cosi' tanto appunto per Claude Monet.

La seconda sezione, intitolata Dall'Accademia ai primi sguardi sulla natura, intende illustrare l'evoluzione del paesaggio da fondale scenografico, luogo in cui accadono le storie della Mitologia e delle Sacre scritture, a genere in cui la natura, pur non assumendo mai quella rilevanza che, negli stessi anni, le era propria con l'opera di Constable e Turner, viene consapevolmente studiata dal vero da pittori come Granet, Constantin, Valenciennes e, naturalmente, Corot. Artisti tutti che, soprattutto nei loro soggiorni italiani, sembrano decisamente capovolgere il gusto della ricostruzione storica in favore di uno sguardo piu' limpido sulla natura, finalmente accarezzata e amata, percorsa da uno sguardo mai vuoto e inutile. Questa disposizione d'amore sara' il punto di partenza anche per i giovani pittori impressionisti quando, qualche decennio piu' tardi, si affacceranno sulla scena parigina.

Poi sara' l'impressionismo a guadagnare gradualmente il centro della scena. E, naturalmente, volendo spiegare cosa abbia rappresentato, per quel gruppo straordinario di pittori, il paesaggio, bisognera' partire da Barbizon. Nella terza sezione infatti, intitolata Da Barbizon al primo paesaggio impressionista, si avra' modo di misurare quale fu la vera, incredibile novita' introdotta da quei pittori, i cui esordi sono da ricondurre ai primissimi anni trenta, riconosciuti come gli artefici di una rottura che segna la fine dell'ascendente teorico ed estetico del paesaggio classico. La natura non e' piu' quella di un'Italia pittoresca e idealizzata, ma quella di una Francia scoperta gradualmente. Si inizia con l'esplorazione delle foreste attorno a Parigi, come Compie'gne, Montmorency e Louveciennes. Ma il luogo che, piu' di altri, rinvigori' il paesaggio contemporaneo francese tra gli anni trenta e gli anni cinquanta, fu la foresta di Fontainebleau con le sue frazioni, Barbizon, Marlotte e Chailly. Corot, Francais e Huet furono tra i primi a frequentare questi luoghi mitici, e vennero poi seguiti da Diaz de la Pena, Rousseau, Daubigny e Courbet, solo per dire degli artisti piu' celebri che hanno costituito un fondamentale ponte tra la pittura accademica di paesaggio in Francia e gli impressionisti. Ai loro esordi infatti Monet, Bazille, Sisley e Pissarro si ritrovano negli stessi anni a dipingere in questo luogo mitico, rielaborando la lezione dei maestri piu' anziani e sviluppando in particolare un'attenzione affatto nuova per il dato atmosferico e l'importanza della luce.

Intitolata Paesaggi dell'impressionismo, la quarta sezione abbraccia oltre 150 opere, dunque il cuore vero di tutta la mostra. Non piu' solo il paesaggio, ma i paesaggi. Un plurale che si rende necessario per raccontare la ricchezza e diversita' di visione che a partire dai primi anni settanta, e fino agli albori del nuovo secolo, tanti pittori della generazione impressionista hanno saputo tradurre nelle loro opere. In quasi quarant'anni di pittura, non solo matura e giunge a compimento il linguaggio impressionista piu' universalmente noto, ma di li' si evolvono in modo assolutamente perentorio singole figure di artisti che apportano ulteriori e piu' fecondi elementi di novita'. Se al primo momento dunque possiamo associare i nomi, tra gli altri, di Sisley, Pissarro, Guillaumin e Caillebotte, i veri giganti di questa irripetibile stagione sono Manet prima di tutti, e poi Gauguin, Monet, van Gogh e Ce'zanne. Artisti il cui ruolo dominante e' testimoniato in mostra da ampi gruppi di opere di qualita' assoluta.

L'impressionismo non nasce con un manifesto programmatico stilato in un momento preciso da un maitre a' penser. E la prima esposizione, presso lo studio fotografico di Nadar nell'aprile del 1874, e' solo il battesimo ufficiale di un movimento. I cui protagonisti in realta' si frequentavano gia' da diversi anni, stimolandosi a vicenda nella ricerca di un linguaggio diverso da quello proposto nei Salon, di un modo nuovo di guardare alla realta' e di farne esperienza. Questa sezione vuole dunque restituire il senso di tale confronto continuo che ha animato le esistenze degli impressionisti, del loro cimentarsi molto spesso su soggetti simili, nello stesso tempo o a distanza di anni, in perfetta solitudine o l'uno a fianco dell'altro. E sara' dunque anche inevitabile, e affascinante, verificare quanto l'apporto di un pittore sia leggibile nell'opera di un altro. Quanto cioe' l'impressionismo sia sostanzialmente un riandare continuo, ciascuno con la propria sensibilita', alla natura, tutta, che ci circonda, per coglierne fin dove possibile la fuggevole bellezza. O per trasferirvi, e' il caso emblematico di Monet, nel periodo ultimo di Giverny, il senso lacerato di una visione, e, per van Gogh, la corrispondenza con il suo piu' intimo sentire.

In una succedersi affascinante le opere saranno disposte per nuclei tematici. Dalle vedute di Parigi realizzate da molti tra gli impressionisti, Caillebotte in primis, al gruppo fondamentale centrato sulla campagna francese, dove tanti tra questi artisti danno il meglio di loro stessi. Quindi il tema dell'acqua, ovvero i fiumi di Francia, dalla Senna all'Oise, e poi i quadri dedicati al mare, da quelli celeberrimi di Manet, e dai molti che Monet vi dedico' soprattutto durante i soggiorni importanti in Normandia o in Costa Azzurra, fino all'esaltazione dell'accecante luce mediterranea nei quadri di Signac.

Sempre restando al tema delle citta', un ruolo centrale, anche per i quadri dipinti fuori Parigi, l'avra' ancora Monet, con le immagini di Londra, di Amsterdam e di Venezia, e ancora della cattedrale di Rouen che vivra' in un magnifico raffronto con una superba versione della chiesa di Moret dipinta da Sisley. Questo capitolo della mostra includera' anche i viaggi che gli impressionisti fecero. Allora le visioni olandesi e inglesi di Monet si alterneranno a quelle provenzali di Ce'zanne, sublimi lungo tutto il corso della sua vita. Senza dimenticare la Bretagna, primo eden abitato da Gauguin e Bernard, e il mitico Sud cercato e dipinto da Van Gogh dopo la scoperta della pittura impressionista fatta a Parigi.

Talvolta gli impressionisti non dipingono neppure nella chiarita' di un campo o sulla riva del fiume, ma si fermano alla brevita' del giardino di casa. A Il giardino e' intitolata infatti la quinta e ultima sezione dove sono presentati molti dei capolavori piu' alti di tutta la mostra. A cominciare per esempio da Un angolo del giardino a Rueil dipinto da Manet nel 1882, qualche mese prima della sua morte. La necessita' che Manet conserva fino all'ultimo di dipingere en plein air e' uno dei tratti comuni che lo legano ancora all'esperienza impressionista. Qui pero' la dimensione di dialogo intimo che egli rende avvertibile nella sua opera e' un'assoluta novita'. Quando infatti gli impressionisti dipingevano un giardino era per ambientarvi una scena di famiglia o per esaltare la propria abilita' nel rendere i giochi di chiaroscuro che la luce creava con la vegetazione. E' quanto si puo' vedere nel Parco a Yerres dipinto da Caillebotte. A una visione piu' aperta e meno scintillante di riverberi luminosi, si rifa' Pissarro che a distanza di vent'anni l'una dall'altra dipinge due opere, gli Orti a L'Hermitage, Pontoise del 1874 e gli Alberi in fiore. La casa dell'artista a E'ragny, in cui lo spazio del giardino e' riletto come luogo di vita, dove l'uomo appare con le fatiche del lavoro quotidiano.



Per molti degli impressionisti il giardino continuera' a esser letto come il luogo della fioritura, della vita felice che nasce. Questo tipo di soggetto non poteva che affascinare van Gogh al suo arrivo a Arles, nella primavera del 1888. Il Frutteto stretto dai cipressi e' infatti il tentativo felicemente riuscito di fermare sulla tela la bellezza effimera e gioiosa che la natura stava regalando ai suoi occhi. E anche se sono riconoscibili dei debiti nei confronti della cultura figurativa giapponese, e' altrettanto evidente che, proprio in queste opere, van Gogh torna quasi istintivamente a riallacciarsi al piu' puro stile impressionista. Con la formulazione commovente di una pittura della luce e dello spazio che e' tra gli esiti di piu' intima poesia leggibili nella sua opera.

Il tema del giardino e' pero' forse quello che per eccellenza va ricondotto all'opera di Monet e al tempo ultimo della sua vita a Giverny. La mostra infatti si conclude, lontanissima da dove era partita, gia' ben dentro il XX secolo. Eppure, d'altro canto, vicina a certi quadri di Turner che, ancor prima della meta' del secolo precedente, erano gia' dispersione dentro la tempesta del colore. Fosse essa di luce o neve.

Alcune visioni del giardino, dei glicini e delle ninfee di Monet, esposte nell'ultima sala della mostra, sigillano, nella decantazione della materia dipinta, un percorso fatto ormai di fiorite sottrazioni di luce. La natura e' diventata il respiro del cosmo, la voce di un infinito nata dallo stagno incantato di Giverny.

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Mondrian - Ottanta Capolavori

Ha i contorni della straordinarieta' questa mostra che raccoglie ottanta capolavori di Mondrian, in buona parte eccezionalmente concessi in prestito dal Gemeentemuseum dell’Aia. Eccezionalita' che deriva dall’assoluta qualita' delle opere esposte e dall’essere la prima esposizione italiana che illustra, nella sua distesa completezza di percorso storico, l’intera opera del grande pittore olandese. Con una prevalenza per il periodo precedente il celeberrimo cammino astratto di Mondrian, e che i due curatori, Marco Goldin e Fred Leeman, hanno volutamente desiderato porre in maggiore evidenza. Poiche' sconosciuto certamente alla maggioranza del pubblico, ma poco noto anche a coloro che, pur appassionati, non hanno avuto modo di visitare proprio il museo dell’Aia che ne custodisce la quasi totalita' degli esempi. Sara' quindi un’assoluta sorpresa, e crediamo colma di emozione, la visita alla mostra di Mondrian, soprattutto per questa parte figurativa che occupa quasi un quindicennio, prima di giungere, al principio del secondo decennio del secolo XX, a quel punto stringente di passaggio che, attraverso il tema dell’albero, congiunge mano a mano la descrizione della natura all’astrazione sempre piu' geometrizzante. Con un percorso non dissimile rispetto alla mostra contemporanea sul paesaggio, cui per questo non casuale motivo essa opportunamente si affianca nel territorio novecentesco.

Quando si parla di Mondrian si e' appunto soliti pensare alle sue figure geometriche: strisce nere che intersecano piani bianchi, linee che delimitano quadrati rossi, gialli e blu. Ed e' stata questa la modalita' stilistica che ha connotato la sua pittura negli anni venti. Da quel momento in poi, Mondrian e' stato considerato uno degli artisti moderni piu' innovativi e ha suscitato l’apprezzamento di artisti, architetti, musicisti e critici, che gli hanno riconosciuto una rigorosa coerenza e la capacita' di arrivare a delle soluzioni radicali sia nella vita che nell’arte. Per Mondrian la pittura e' il risultato di tre componenti fondamentali: forma, linea e colore, e ha come sola finalita' la realizzazione della Bellezza. Bellezza non tanto come attributo della realta' ma come entita' spirituale in se stessa.

Concetti centrali della mostra sono: “evoluzione" e “intuizione". La selezione di opere si basa soprattutto sulla questione se un’opera sia stata esposta mentre l’artista era ancora vivo. Se ne potrebbe quindi dedurre che si trattasse di opere da Mondrian considerate importanti sia per il proprio sviluppo artistico, sia per l’immagine pubblica che desiderava dare di se'. Il risultato e' una serie di lavori sorprendente non solo per l’evoluzione disciplinata che evidenzia, ma anche per il rigore dello stile. Mondrian sembra tentare sempre nuovi punti di vista e quando questi, nel tempo, non lo convincono piu' e' capace di eliminarli senza troppi ripensamenti. Il concetto di “evoluzione", a lui cosi' caro, risulta non tanto dal passaggio disciplinato da una fase all’altra ma piuttosto da una costante eliminazione, e persino distruzione, delle soluzioni precedenti. In questo processo Mondrian attinge alla propria intuizione; intuizione che gli era necessaria poiche' gli garantiva, nelle proprie scelte, un legame spirituale con la Bellezza. Come ha scritto in una lettera: “Quando si e' alla ricerca di qualcosa non si sa mai bene prima come cercarlo."

L’esposizione parte dai suoi esordi come paesaggista, nel filone del realismo tradizionale olandese della Scuola dell’Aia, anche se con una pittura di atmosfera gia' personale. In seguito, gradualmente, Mondrian ha ridotto i suoi paesaggi sempre piu' a colori e forme, e ha sviluppato una predilezione per il crepuscolo, momento in cui sono i contorni, e non tanto gli oggetti, ad avere piu' significato. All’inizio del XX secolo, si e' avvicinato ai principi della teosofia che professava l’esistenza di un’unita' tra le religioni, e che aveva come finalita' l’armonia tra interiorita' e mondo esterno. In questa prospettiva, l’opera d’arte potrebbe rappresentare il passaggio a piani piu' sottili di realta', e guidare “in un percorso che si eleva dalla materia", come diceva Mondrian stesso.

Il luminismo - versione olandese del fauvismo - gli indico' il modo per svincolare il colore dai suoi riferimenti naturali in una serie splendida di alberi, e reitera in modo ripetitivo uno dei suoi motivi preferiti: la personificazione - verticale - del simbolo della vita, che lotta per resistere al caos - orizzontale - della morte. E' evidente che la strada percorsa da Mondrian, verso una geometrizzazione delle forme, era essenzialmente diversa dalla ricerca cubista, che pure l’aveva influenzato a Parigi, negli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale. Mondrian non considero' mai l’arte come un esercizio puramente visivo o formale e il suo modo di pensare - mai del tutto svincolato dal retaggio culturale e religioso olandese - gli rese impossibile separare la forma dal suo significato spirituale e persino morale.

Costretto a rimanere in Olanda durante la guerra, fu qui che porto' a pieno compimento la sua ricerca verso l’astrazione in una serie stupefacente di lavori. Di alcuni di essi rimarco' la concretezza appendendoli come rombi. Ma persino in questi quadri-scacchiera cosi' radicali, e' evidente il suo desiderio irresistibile di affidarsi a variazioni intuitive e minime rispetto ai principi-base che regolano la sua pittura. Alla fine della sua carriera, quando la sua opera neoplastica era considerata una delle manifestazioni piu' radicali dell’arte astratta, egli continuava ad asserire di essere sempre stato un realista. Le forme astratte, che aveva iniziato a usare alla fine della sua vita, le considerava reali e capaci di rappresentare la Bellezza in una forma ancora piu' concreta di quella presente in natura.

La peculiarita' di Mondrian non fu solo la sua capacita' di realizzare una sempre maggior purezza meditata della linea pittorica, portando questo processo alle sue conseguenze piu' estreme. La sua grandezza fu anche il suo continuo rinnovarsi, accettando di distruggere i principi precedenti, malgrado questo potesse significare rimettere in discussione la funzione da lui attribuita alla linea. “Credo che l’elemento distruttivo sia per lo piu' trascurato nell’arte", cosi' afferma pochi giorni prima di morire, il 1' febbraio 1944 nella sua casa di New York. L’artista settantaduenne non era soddisfatto del quadro che aveva sul cavalletto: “C’e' ancora troppo da togliere in questo quadro".

Sebbene le sue composizioni “neo-plastiche" diano a prima vista un’impressione di severita', di costruzione matematica, e' vero il contrario. Se guardiamo attentamente la sua pittura vediamo linee nere con variazioni sottili dello spessore, campiture grigie, diverse per luminosita', colori primari stesi con una varieta' attenta di pennellate orizzontali e verticali. L’unico orientamento nel comporre linee, piani, colori gli veniva dalla sua intuizione. Alcuni suoi lavori non finiti evidenziano, dai tratti a carboncino, il suo tentativo di raggiungere l’armonia compositiva. Eseguiva degli schizzi fino a quando non sentiva di aver raggiunto un risultato soddisfacente. La separazione artificiosa, che spesso si e' soliti fare tra emozione e ragione, e' smentita dall’arte di Mondrian.

Quest’uomo, che considerava le striscie di vegetazione che separano le stradine di Park Avenue un’intrusione deplorevole della natura nel paesaggio urbano, amava Disneyland e amava ballare al suono di ritmi jazz provenienti dal suo grammofono.

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Licini 1913 - 1929

Ripercorrendo in Santa Giulia anche la scena artistica del Novecento italiano, non poteva mancare, proprio nell’anno della presentazione di Mondrian, un’esposizione dedicata a Osvaldo Licini (1894-1958), artista unico, che tocca vertici indiscussi dell’arte italiana. Unico perche' unica e' la sua ricerca: solitaria, appartata, dopo il suo ritiro, negli anni venti, nel piccolo paese di Monte Vidon Corrado. Una ricerca pittorica che trasforma lo schema compositivo, il valore del segno e del colore e li coniuga con soluzioni figurative e spaziali inusuali, ricche di valenze simboliche. Partito dalla realta' oggettiva - il paesaggio e le colline tanto amate - Licini, nelle figure e nei paesaggi degli anni venti, alleggerisce via via il segno in una scarnificazione delle forme che lo porta, negli anni trenta, all’astrattismo.

Dell’artista marchigiano, uno dei grandi “isolati" della nostra pittura del Novecento, saranno in mostra, scelte dai curatori Fabrizio D’Amico e Marco Goldin, trentasette opere, comprese tra il 1913 e il 1929, che lo hanno visto preparare la sua pittura piu' nota delle Amalassunte e degli Angeli ribelli con un laboratorio “figurativo" che, ripercorrendo i generi consueti della natura morta, del paesaggio e del ritratto, pone le premesse a quel modo visionario e sognante che caratterizzera' le sue immagini distese dal secondo dopoguerra sino alla morte. La mostra ripercorre, con opere provenienti soprattutto dalla collezione Licini di Livorno e dalla Pinacoteca comunale di Ascoli, la sua ricerca: dal clima “secessionista" degli esordi bolognesi e del periodo fiorentino di tangenza al futurismo, al tempo parigino fino al suo grande quarto decennio, quando la sua adesione all’astrattismo preannuncia l’immaginario fantastico degli anni tardi. E la mostra si chiude appunto, dopo un’ampia indagine condotta sui dipinti “figurativi", proprio su tre olii che anticipano il configurarsi dei grandi temi del dopoguerra, la cui prima scaturigine e' da ravvisare proprio nell’oscillazione feconda fra linguaggi diversi esperita da Licini nel primo tempo di formazione.

Immagine: Turner, Tramonto sul lago, 1840 circa, Tate, Londra

Ufficio stampa
Studio Esseci di Sergio Campagnolo
Via San Mattia, 16 35121 Padova Tel 049 663499 Fax 049 655098 info@studioesseci.net

Inaugurazione Mercoledi' 27 ottobre 2006 dalle ore 10,30 alle ore 18,00 a Brescia

Museo di Santa Giulia
via dei Musei 81/b - Brescia

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