Il Mito di Marsia. In mostra lavori recenti che si muovono agilmente tra diversi materiali come il marmo, il bronzo o l'alabastro.
Il Mito di Marsia
Capita all’artista di invaghirsi di un libro, di farne il testo appassionato
di tutta una vita, di alimentarvisi come ad un’unica inesauribile sorgente.
Capita all’artista di partire da un logos (una favola, un racconto) e di
incatenarvi il proprio immaginario, costringendosi a infinite feconde
variazioni sul tema. E’ capitato, ormai da diversi anni e da piu' mostre, a
Ignazio Campagna, scultore avvezzo da sempre a lavorare il duro marmo,
transustanziando la materia in spirito (e' il miracolo romantico della
creazione artistica), epigono ormai del nobile mestiere colto del picasa'ss
viggiutese. Cio' che tuttavia colpisce in questi recenti lavori intorno a
Marsia e' la capacita' dell’artista di muoversi agilmente tra diversi
materiali, trasformando l’immagine in terracotta, in marmo, in bronzo, in
alabastro.
Siamo in presenza di un’operazione metamorfica sulla materia,
prima ancora che sul tema, con un’operazione meta-artistica nella quale il
fare riproduce e moltiplica il significato. A contatto con l’immaginario
ovidiano, la creativita' di Campagna ha cominciato a muoversi in piu'
direzioni e, pur rimanendo nell’alveo della figurazione, a moltiplicare i
punti di vista e gli approcci. Ecco perche' siamo in presenza di una piccola
mostra (di una “raccolta" nel senso etimologico) che, se all’apparenza si
concentra sul fuoco monotematico della metafora-Marsia, in realta', a una
lettura appena meno superficiale, disperde metonimicamente significati e
significanti, aprendo una semiosi indefinita. Il referente, la realta', si
trasforma nell’atto stesso della produzione dell’artista: passando da un’
opera all’altra nulla e' piu' come sembrava essere, quasi che il tema si lasci
fissare solo attraverso il paradosso di uno sguardo mobile, impossibilitato
a chiudere il cerchio del significato.
E non si sottovalutino (rischio che
con gli scultori e' facile correre) gli inchiostri, i piccoli oli, gli
acquerelli: questi non sono semplici studi preliminari, ne' momenti di un
percorso diacronico, scale che si possono gettare dopo la salita. Essi sono
prospettive che insieme compongono l’opera, come le 246 storie di Ovidio
sono un’unica storia, mai narrabile con una sola parola o osservabile con un
unico sguardo. E alla medesima conclusione siamo ricondotti se gettiamo un’
occhiata ai cartellini delle opere: i satiri sono abbandonati, deposti,
dissolti, feriti, fatti prigionieri, sofferenti; danzano, si risvegliano, si
trasformano. Fino a quello “stacco dell’Io" che nella sua sofferta e insieme
armonica figurazione lancia un ponte fra la bella marmorea classicita' e le
frammentazioni dell’identita' dell’Io con cui e' alle prese l’arte
contemporanea. E' in questo universo delle metamorfosi, dove nessuna forma e'
rigida, dove vengono violate le barriere tra naturalita' animalesca, umanita'
e divino, che Campagna cerca di cogliere il ritratto dell’uomo.
Viene in
mente il sublime Pascal, con quel suo pensiero sull’impossibile medieta' dell
’uomo, che mentre si tende verso il divino (e' il Marsia di Dante) non puo'
che sprofondare sempre piu' nella sua animalita'. “Satyri reminiscitur, (ci)
si ricorda del Satiro", scrive Virgilio. E il Satiro e' simia hominis,
immagine antropologica, deformata dalla metamorfosi. E qui torniamo a Dante:
la condanna di Marsia e' evidente simbolo di un’arte che vuole elevarsi al
Parnaso del divino con le sole forze umane. E' un richiamo a ricondurre l’
arte entro dei limiti, impedendole di debordare e di competere con gli
strumenti dell’artista divino. E' una raccomandazione perfettamente inutile,
al di fuori del contesto teologico di Dante: alla macchina delle
metamorfosi, una volta che si e' avviata, non e' possibile mettere le briglie.
Le trasformazioni percorrono tutto lo spettro dell’essere.
Panta rei, nella
produzione artistica. Ed e' lo scorrere eracliteo a ricondurci, come
promesso, all’acqua del fiume. Nella “favola" di Ovidio, le lacrime versate
sul povero Marsia formano “Phrygiae liquidissimus amnis". L’acqua, aequor:
ecco il tema intorno al quale ruota l’arte di Campagna. E ancora una volta
il tema non e' solo un pretesto. E' l’acqua che ammorbidisce le forme e leviga
le superfici del marmo, e' l’acqua che rende ondivaghe e liquefa quasi le
figure. Alle forme rudi e spigolose, cariche di pathos chiaroscurale,
succedono - e sto parlando soprattutto delle produzioni marmoree - superfici
dolcissime, in cui la materia diventa “liquidissima". E' l’acqua, insomma, l’
arche' dalla cui sorgente e' scaturito l’appassionato percorso di Ignazio
intorno a Marsia. Ed e' ancora intorno alla possibilita' di render fluida la
materia che il lavoro di Campagna continua a scorrere. Dott.Ermanno Morosi
Inaugurazione: sabato 2 dicembre 2006 ore 17.30
Officina dell’Arte
via Martiri di Belfiore 1 - Rho (MI)
Orari: Festivi e feriali 16.00-19.00
Ingresso libero