Galleria 18
Bologna
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Vincenzo Politino
dal 1/12/2006 al 1/1/2007

Segnalato da

Erika Zini




 
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1/12/2006

Vincenzo Politino

Galleria 18, Bologna

"Fin da quando dipingeva antichi ulivi rigogliosi, abbarbicati alla terra arsa dell'estate in Sicilia, Politino manifestava un fortissimo desiderio di spazi, di luci, di azzurri, di verdi stringenti e tuttavia placati dentro la vastita' inestinguibile dei confini." (Marco Goldin)


comunicato stampa

Personale

Fin da quando dipingeva antichi ulivi rigogliosi, abbarbicati alla terra arsa dell'estate in Sicilia, Politino manifestava un fortissimo desiderio di spazi, di luci, di azzurri, di verdi stringenti e tuttavia placati dentro la vastita' inestinguibile dei confini. C'era, in quelle immagini, un senso di devozione alla terra, come riandare alla culla, alla sorgente, alla ragione prima dell'esistenza, al suo stesso motivo. Si poteva dire una pittura dell'anima, ma della storia dell'anima. Come se tutto quell'armamentario di natura fosse stato il culmine di una memoria prenatale, fiorita nel momento della nascita, e cosi' forte da non aver piu' abbandonato gli occhi del pittore. Perche' altro non era che un fiorire perenne di ulivi, nuvole sfrangiate e scheggiate, statue sul limitare di un giardino che non era un giardino gozzoniano, ma il rigoglioso verdeggiare senza malinconia del grande cortile dell'infanzia. Cosi' e' sembrato che tutto il lavoro di Politino, fino a questa meta' di decennio, fosse in misura particolare lo struggimento per una terra abbandonata, e poi ricercarne i segni, i confini smarriti nell'aria, l'azzurro tonante sopra la campagna di Avola, il pietrisco, i muretti a segnare le distanze. Qualcosa di intoc­cabile dentro il ricordo, perche' la Sicilia solo andandoci, solo percorrendola, solo vivendola si puo' capire cosa significhi. Dunque la pittura e' stata per un lungo tratto di strada soprattutto nostalgia, eppure mai an­gosciata e invece musicale, piena di grazia, viva nei suoi colori.

Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quel suo quaderno - poteva essere piu' o meno la fine degli anni ottanta - nel quale avrebbe potuto scrivere : " Vivo qui da molto tempo, poco per volta il ritorno mi e' sempre piu' difficile. La lontananza mi sembra accresca l'amore e l'amore capita si esprima meglio nella sof­ferenza degli spazi. No, non intendo qualcosa di doloroso, la mia pittura per il momento non ne e' capace. E' solo il senso della distanza, di tutto questo cielo che c'e' tra il mio io di adesso e quello di prima. Non voglio piu' vedere, ma solo ricordare. Vedere sarebbe oggi una contemporaneita' col passato e il tempo sta invece avvolto in un diverso mantello, e da questo voglio farmi fasciare. Cosi', dipingo da questo studio la natura di Sicilia, piu' come un battito, un rintocco che come una visione. Oppure un vedere prolungato, che non e' mai finito dal momento in cui e' cominciato. Forse per questo non sento il bisogno di ritornare, di rimettermi in cam­mino per scendere al mare dalle strade del paese o inoltrarmi invece nella campagna arsa del principio del­l'estate. Certo, non posso immaginare la bellezza senza sapere che quella terra esiste, che su quella terra sono passati gli dei, gli eroi.

Ho creduto talvolta che tutta quella bellezza mi mettesse perfino soggezione, e per questo avevo il bisogno di concepirla come un'assenza, o ancor meglio una distanza. Nello studio di una citta' lontana mi sentivo pro­tetto, riparato, in qualche modo al sicuro. Ho scelto dunque si coltivare ancora e sempre il paesaggio di Sicilia come un'illusione, uno schianto attutito, la misura perfetta del ricordo".

Ma a un certo punto, proprio quando questa memoria siciliana poteva anche dare il senso di una certa stan­chezza, nelle stanze dove Politino dipinge hanno cominciato a comparire quadri un po' eccentrici, sui quali pareva agire un sentimento nuovo della natura, come se un vento non prepotente, ma neppure lieve, fosse trascorso sui campi prima inzuccherati di quelle nuvole di cotone. Quadri che inizialmente si vedevano come un incidente nel percorso, magari nascosti sotto a molti altri perche' non confondessero le idee. Ma poi era forte il desiderio di far loro risalire la china, per vederli non come irregolarita' nel cammino e invece quale nuova strada maestra.

Si sa cosa succede in questi casi: il pittore e' timoroso di far torto a collezionisti e gallerie, di fare improvvisa­mente apparire un volto nuovo, e chissa' se ugualmente apprezzato. Allora, di solito, si percorre un doppio binario, finche' non ci si senta cosi' sicuri da imboccarne uno soltanto. Questo e' accaduto a Politino, a partire dalla meta' degli anni novanta. Dapprima in silenzio, quasi con un senso di fastidio per immagini che sorge­vano diverse, forse non richieste, ma poi, certamente dal 1997, con la determinazione delle imprese che si sentono ormai definitivamente proprie. E allora il lavoro e' fluito via senza piu' remore, nella consapevolezza che il paesaggio non era piu' coscienza dell'infanzia ma era diventato splendente, umidissimo risultato di una vera maturita'.

Dunque sono cambiati gli angoli, la visuale s'e' assottigliata, la natura ha perso la sua intonazione lievemente barocca che l'aveva fin qui caratterizzata. E' come se d'incanto il pittore avesse sentito il bisogno di una parola piu' secca, perche' la bellezza potesse diventare, infine, inestinguibile. Come se egli avesse deciso di concentrarsi sulla durata di un tempo sorto non piu' dalla visione, ma anche, e forse soprattutto, dallo stringersi delle ragioni del cuore. La natura ha cessato di essere invenzione e si e' fatta straziato pulsare degli occhi. Il vedere e' diventato subito esperienza.

Se solo avessi avuto il tempo di cercare, avrei trovato quell'altro suo quaderno - dovrebbe essere piu' o meno di questi giorni - nel quale la conclusione potrebbe suonare circa cosi': " Chissa' perche', giunto a questo mo­mento della vita, non c'e' stata piu' la possibilita' di andare al passato come a una fonte benedetta, e ho dovuto rischiare ricominciando tutto dal principio, come non avessi mai dipinto niente prima. Che sensazione strana, essere senza storia, senza infanzia, senza un padre e una madre, senza le foto ricordo da potere, se non vedere, almeno, appunto, ricordare, e invece prendere in mano tutto questo verde spalmato sui fogli, spar­gerlo a piene mani senza paura e dipingere prati, declivi, colline, laghi cosparsi di bianche foglie sorgenti. E poi prendere un po' di giallo, metterlo sulla carta per dei girasoli contorti, straziati, che a me paiono dolcissimi, il segno stesso della vita. Ecco, se c'e' una cosa che adesso mi sembra, e' che ho incontrato la vita dal suo lato piu' vero, quello che se ti prende un colpo di vento non c'e' nessuna finzione che ti puo' riparare. Ho pen­sato di dipingere la natura cosi, senza riposo, senza protezione, come un silenzio che crepita e gorgoglia". (Marco Goldin)

Vernissage: sabato 02 dicembre 06 ore 18.30

Galleria d'Arte 18
Via San Felice,18 - Bologna
Ingresso libero

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