La narrazione si snoda come una sequenza di momenti, in un discorso amoroso e autoreferenziale. Le scritte latine che etichettano i lavori esposti, creano distacco, mentre al centro della sala alcuni contenitori trasparenti che nascondono forme fetali evocano i barattoli delle vecchie drogherie.
L'Agonia del Gusto
A cura di Viviana Siviero
Un informe preciso e definito, che vagheggia come un pensiero
indistinto ai margini di una forma appena percettibile, che si rende
visibile nella freddezza liscia di uno dei materiali più antichi e
malleabili al mondo. Arianna Carossa, incontra la ceramica dopo una
lunga esperienza nel campo della ricerca pittorica sperimentale: nel
passaggio fra bidimensionalità e tridimensionalità, l'informe
conformato muta aspetto, ma non significante. Si fa maggiormente
astratto ed ambiguo, perde i dettagli, gli occhi, la bocca, ma resta
ludico e debordante come certi personaggi letterari della Nothomb.
I colori, innocenti e domestici, invitano al gioco, non mancando però
di tradire un riferimento doloroso, rivolto a ciò che temiamo perché
sconosciuto.
Ogni lavoro sembra conservare un nucleo latente fortemente energetico,
che sembra implodere continuamente e rimbalzare contro le pareti molle
dell'informe, nuovamente verso il cuore d'origine. Informe formato,
giocattoli politicamente scorretti che raffigurano teneri animaletti
morti dal cuore palpitante: Arianna Carossa ha saputo dare vita ad un
mondo di Oz carico di contraddizioni, come una moderna Diane Arbus si
contorna di freak, parto della sua immaginazione, che concretizzano
paure e speranze contemporanea. I contorni sono netti eppure
svaporati, gonfi come biscotti nel latte caldo: le tre dimensioni
vengono bagnate nell'ingobbio e lucidate, poi musealizzate all'interno
di una sorta di bacheca/cornice baroccheggiante, per aumentare il
senso di autoreferenzialià dell'oggetto, ed innescare quel circolo
vizioso stantio che rimanda alla masturbazione come concetto generale.
Le scritte latine, che etichettano ciò che si mostra, più che
spiegare, creano un ulteriore distacco, che ricorda il rituale funereo
in cui tutto ha la perfezione dell'artificiale che nasconde la
decomposizione irreparabile. Al centro della sala, alcuni contenitori
trasparenti, evocano i barattoli delle vecchie drogherie, ma invece di
contenere dolciumi, mostrano nascondono forme fetali, più appropriate
ad un polveroso gabinetto anatomico, nato per studiare le anomalie.
Nonostante il retrogusto mortifero che ogni lavoro emana, la
narrazione si snoda come una sequenza di momenti, in un discorso
amoroso ed autoreferenziale, condotto fra l'artista/Narciso e la
propria immagine. Qualunque cosa sia “altro da se”, può soltanto
ambire al ruolo di spettatore. Le opere di Arianna Carossa vanno
considerate con il beneficio del discorso verbale, ascoltate nel loro
essere contemporaneamente liscio, duro, resistentissimo e fragile.
Ripetono che l'arte è un luogo dove tutto può accadere, un mezzo
necessario all'uomo, conscia della sua natura rappresentativa ma che
conserva la responsabilità di rendere visibile l'invisibile
utilizzando mezzi sottili che – per usare una metafora - non saranno
mai né fondamenta, né architravi ma solo e soltanto un'unica pietra:
la chiave di volta.
Viviana Siviero: Chi è Arianna Carossa?
Arianna Carossa: Sono una persona con la
tendenza a costruire.
V.S.: Ci puoi spiegare le motivazioni del titolo?
A.C.: Non c'è nulla di più mortifero del
gusto, sempre pronto ad
essere sostituito. Nell'arte il gusto è sempre in agonia.
V.S.: Che cosa
significa secondo te oggi essere artisti? Qual'è il ruolo dell'artista
e quale invece dovrebbe essere?
A.C.: Per me l'arte è un sistema oggettivo e
come tale si esplica sempre nel
vero. L'arte è il vero, il giusto, non il bello. L'artista serve
a se stesso, ma soprattutto a chi desidera sentire la vertigine del
vuoto; questo è ciò che mi auguro perlomeno. Il museo aurizza il
prodotto posto nel proprio interno, dunque come tale dovrebbe
assolvere la funzione di un buon forno nelle mani di un buon cuoco….mi
spiego meglio, far si che il profumo dell'arrosto si sparga in uno
spazio più ampio che invogli all'assaggio, insomma carne e non solo
fumo, che sia all'altezza dell'aroma.
V.S.: Al centro del tuo lavoro c'è un'dea di morte che si esprime
attraverso una distorsione quasi surrealista della materia...?
A.C.: Per me si tratta di informe con-forma. Rappresentare la
morte significa rappresentare il limite e dunque noi stessi.
Dionisiaco e apollineo, come è possibile
vivere in un'unica dimensione? In quello che faccio c'è la mia
identità marchiata e io sono questo: un mucchio di roba
informe ma allo stesso tempo formato, nonchè conformato.
V.S.: Qual'è la cosa più brutta del mondo…?
A.C.: La cosa più bella è giocare insieme. La
più brutta non farlo. La reciprocità mi rende felice.
V.S.: Cosa ti fa
ridere?
A.C.: Contraddirmi.
V.S.: Le tue opere si ispirano
alla vita. A chi sono debitrici?
A.C.: Mi vedo come la palla di neve di Bergson, man mano che scende
diventa enorme. Questa è l'esperienza per me. Ma in tutto questo
esiste un insight: fare un buco nella sabbia, significa nel contempo,
costruire una montagna di sabbia accanto al buco; il lavoro e la
creatività sono direttamente proporzionali alla conoscenza di se
stessi, che costituisce il buco. La montagna di sabbia è l'opera, che
viene così a rappresentare la parte visibile e fisica dell'essenza
personale, dell'interiorità. Se esiste la fossa delle Marinane è
perché c'è l'Everest e viceversa…
V.S.: Ci puoi parlare della Madonna del Lenzuolo?
A.C.: La Madonna del Lenzuolo è una figura leggendaria e leggiadra
(iconograficamente si manifesta svolazzante di stoffe in ogni dove sia
richiesta la sua presenza).
Il suo Lenzuolo è un candido panno bianco di piquet che la leggenda
vuole acqusitato a Madrid, poco prima del fatal incidente che la
costrinse a gettarsi dall'aereo che la stava riportando nei suoi
luoghi d'origine (ancora non si è scoperto quali siano con esattezza).
Quel puro panno divenne una sorta di tesoro dei tesori, di Santo
Graal, funzionando a mo' di paracadute per colei che divenne poi la
giovane santa. Chiaramente la Madonna Vergine del Lenzuolo, che morì
comunque schiantandosi a terra sui Pirenei, divenne subito una figura
mitica per le popolazioni indigene, prima ancora di essere beatificata
era considerata da tutti la Dea suprema del Letto Sfatto, delle
persone che d'estate vengono punte dagli insetti molesti e
naturalmente di chi viaggia in aereo senza precauzioni sessuali.
La Madonna del Lenzuolo ci protegge e posa la sua mano benevola sopra
i nostri cuoricini puri come agnelli.
V.S. Insomma
Arianna, hai paura di volare…
A.C. Ma lo faccio comunque, dai un'occhiata al mio c.v….
Info curatrice:
Viviana Siviero
Via Rive 28/2 - Boissano (SV)
e-mail: viviana.siviero@espoarte.net
Inaugurazione: giovedi' 3 maggio 2007 alle 18
Galleria Studio 44
Vico Colalanza 12/r - Genova
Orari: da mercoledì a domenica 16-19
Ingresso gratuito