Palazzo Lanfranchi
Pisa
lungarno Galilei, 9
050 910210 FAX 050 20161
WEB
My opinion
dal 4/10/2001 al 5/11/2001
050 910510

Segnalato da

Rosi Fontana, Fondazione Teseco




 
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4/10/2001

My opinion

Palazzo Lanfranchi, Pisa

Si inaugura alle ore 18,30 a Palazzo Lanfranchi di Pisa la mostra 'my opinion', a cura di Francesca Pasini, promossa dalla Fondazione Teseco per l’Arte e dal Comune di Pisa, in collaborazione con la Provincia di Pisa. La mostra 'my opinion', concepita circa un anno fa, vuole proporre una ricerca - in atto nelle giovani generazioni - che tiene di conto sia dei fatti culturali che di eventi personali e affettivi, proponendo un’opinione che unisce il privato al politico, la forma artistica alla sostanza delle reazioni che la vita impone.


comunicato stampa

Si inaugura alle ore 18,30 a Palazzo Lanfranchi di Pisa la mostra 'my opinion', a cura di Francesca Pasini, promossa dalla Fondazione Teseco per l’Arte e dal Comune di Pisa, in collaborazione con la Provincia di Pisa.
La mostra 'my opinion', concepita circa un anno fa, vuole proporre una ricerca - in atto nelle giovani generazioni - che tiene di conto sia dei fatti culturali che di eventi personali e affettivi, proponendo un’opinione che unisce il privato al politico, la forma artistica alla sostanza delle reazioni che la vita impone. Dopo la drammatica aggressione agli Usa tra queste immagini si è creata una coincidenza simbolica e imprevista. Scrive Francesca Pasini in catalogo: “A posteriori vedo nelle opere in mostra una percezione (premonizione?) che si intreccia agli eventi, anche se sono state progettate mesi prima. Perché gli artisti percepiscono in anticipo quello che succede alla loro generazione? O perchè l’esercizio di esprimere la propria opinione non si può sospendere nemmeno quando non si sa come fare a essere etici, integri, anticonformisti, ma spaventati?”

Una coincidenza che non può sfuggire nei lavori di Giovanna Di Costa che ha disegnato dei bersagli da proiettare con una sequenza di diapositive: chi gli passa davanti si trova nella duplice situazione di essere preso di mira e di portare addosso il proprio bersaglio. L’artista li abbina alla paura dei conflitti quotidiani e delle guerre umanitarie, paura diffusa ma al tempo stesso nevrosi personale: neppure al chiuso l’ossessione della sicurezza si allenta.

Ottonella Mocellin, nel suo video “Separarsi è una pena così grande che vorrei dire addio fino a domani”, in cui racconta un’esperienza vissuta, ha voluto invece parlare dell’elaborazione del lutto, che fa parte della società, dell’individuo, della cultura, anche se non se ne parla mai.

Sabrina Mezzaqui punta occhi e cuore sui tempi fragili del quotidiano. Nel suo lavoro la fragilità diventa però una forza imprevista, che con decisione e slancio non maschera il vuoto da cui viene, anzi ne fa un luogo di creazione e autonomia.

Cesare Viel su un aquilone scrive “la mia politica” e con lo stesso titolo chiama un libro-album pensato in colloquio con Emily Dickinson, con le immagini dei suoi lavori, dei suoi pensieri, delle sue reazioniu al G8 e all ’attacco dell’11 settembre contro le Torri Gemelle e il Pentagono.

Nell’opera di Eva Marisaldi i movimenti della terra “rotazione - rivoluzione” prendono forma di due tamburelli ricoperti di velluto rosso-bordò, e pertanto non risuonano, sono ridotti al silenzio. Nella stanza però la musica c’è. La partecipazione della musica e il silenzio dei tamburelli fanno subito venire in mente le contraddizioni di questi giorni. Eva dice: “é’ il segno di quanto poco mi sento influente, ma non per questo sono assente.”

Marcello Maloberti ha visto un negozio di barbiere arabo e nelle facce di alcuni uomini che si facevano tagliare i capelli ha “visto” il suo dialogo con la diversità e la sua opinione. Li ha ritratti in mezzo al negozio, avvolti da una mantellina rossa. Tutto si condensa nello sguardo, quello di Marcello, quello degli uomini fotografati, quello di chi li guarda. C’è una specie di dolcezza attonita, quasi incredula, come se avessero percepito il desiderio, sincero, di Marcello di vederli e avessero scelto di assecondarlo, ma contemporaneamente si avverte un dubbio, sembra quasi di sentirli dire, “perché mai gli piace così tanto fotografarci con questa mantella rossa?”.

Mario Airò al dominio della ragione nella lettura scientifica tradizionale contropropone un universo popolato dalle stelle e dai sentimenti di uomini e donne. Nel suo “Satellite of love” (due circonferenze di luce si toccano restando sospese nella stanza) umano e astrale incrociano le proprie orbite sulla base di un sentimento e non di un calcolo razionale.

Sabrina Torelli lavora sull’interferenza tra fisicità tangibile e percezione di una forma non ancora esplicita. Ecco, “Collassi”: Sabrina è al centro dello schermo, le persone della sua famiglia la stringono, la spingono, un movimento che vuole indicare il significato fisico e psicologico del fare pressione: “lo spazio vitale è legato alla pressione che c’é attorno e che si amplifica all’interno di noi. A volte assume un significato negativo, ma in alcune patologie la pressione è l’unica cosa che riarmonizza l’equilibrio”.

Fausto Gilberti punta il dito sulla "volontà di non sapere" che attraversa molte violenze quotidiane. La struttura narrativa è quella del fumetto, ma la scelta compositiva è quella del quadro bianco e nero. E con un quadro-scultura affronta uno dei temi più brucianti: la pedofilia. “Cari bambini” è un lungo e alto scaffale, contiene 1600 cassette Vhs vuote, sul dorso sono trascritti i nomi di bambini e bambine e i simboli con i quali nel computer si esprimono i sentimenti. La corrosività della satira e un grande controllo visivo rende possibile l’immagine di uno dei problemi più inaccessibile all’emozione.

Laura Matei.“Io e te”: sulla faccia di un cubo di plexiglass una coppia: lei arrotola un gomitolo, lui porge le braccia tendendo la matassa; sulla faccia opposta: lui si impicca. Poi con fili neri e rossi ricama attraverso i fori ed emerge il contorno del disegno. I fili passando da una faccia all’ altra del plexiglass creano all’interno del cubo un impasto. La coppia è in crisi: non si può nascondere nulla, neppure le complicazioni più interne, i nodi più aggrovigliati. Però Laura nel giorno dell’inaugurazione indossa un ricamo, “io mi sento più brava di lui”, nel dichiarare questo sentire indica l’uscita da un’idea subalterna della complementarità e l’aperturta di un confronto diverso col maschile.

Yumi Karasumaru è giapponese, ma vive a Bologna da oltre 10 anni, e spesso presenta la sovrapposizione fotografica del suo volto a gadget e icone giapponesi o occidentali, un modo per non dimenticare l’origine, senza però rinunciare a farsi contaminare dall’incontro con chi proviene da altre esperienze.

Mostra promossa da: Fondazione Teseco per l’Arte e Comune di Pisa, in collaborazione con la Provincia di Pisa

A cura di: Francesca Pasini Inaugurazione: 5 ottobre, ore 18,30



Orario: 11 - 19, chiuso il lunedì

Pisa - Palazzo Lanfranchi, Lungarno Galilei, 9

Informazioni: 050- 910510 050 - 987511

Ingresso: libero

Ufficio stampa: Rosi Fontana, tel 050-9711343 fax 050-9711317

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