Galleria Maniero
Roma
via dell'Arancio, 79
06 68807116 FAX 06 68807116
WEB
Marco Verrelli
dal 27/9/2007 al 26/10/2007
lunedì/sabato 16-20

Segnalato da

Galleria Maniero



 
calendario eventi  :: 




27/9/2007

Marco Verrelli

Galleria Maniero, Roma

In capo al mondo. La mostra presenta un nuovo ciclo di dipinti che hanno per protagonisti i fari, architetture di frontiera fatalmente erette tra terra, mare e infinito in grado di celebrare la pienezza della solitudine, con il loro eroismo calmo, il fascino smisurato dell'inespresso. Testo critico di Marco Di Capua.


comunicato stampa

In capo al mondo

Mostra personale dell’artista romano che presenta un nuovo ciclo di dipinti. In capo al mondo è il titolo di questo gruppo di lavori che hanno per protagonisti i fari, architetture di frontiera fatalmente erette tra terra, mare e infinito. “Per Marco un faro si presenta come un fatto categorico. Totalizzante. Scultoreo. E’ in grado di abrogare alla fine anche l’umano, questa piccolezza così emotiva e transitoria, di celebrare la pienezza della solitudine, il suo eroismo calmo, il fascino smisurato dell’inespresso. Non ci sono altre case, o persone, niente. Ma soltanto rotazioni di pure forme nello spazio, moderne colonne con tanto di capitelli, sentinelle di pietra, irremovibili soldati con l’elmo: fronteggiano, anche timbricamente, gli elementi più mutevoli e vaghi della natura, l’atmosfera, il mare, questi mitici cieli in travaglio, così intensamente, profondamente blu”, osserva Marco Di Capua nella presentazione in catalogo.

A fari spenti
Marco Di Capua

“Voi e il mare; siete una cosa sola, per me, un unico oggetto, quello della mia parte in questa avventura. Anch’io guardo il mare. Voi dovete guardarlo come me, come io lo guardo, con tutte le mie forze, al vostro posto”. (Marguerite Duras, L’uomo atlantico).

Non chiudono occhio, la notte, i fari. Rappresentano la parte più insonne dell’architettura. Nel mondo degli edifici, sono un po’ come i vigilantes e i portieri di notte. Per il loro sistema ottico il buio è ossigeno. Di giorno prendono il sole e si fanno dire che sono belli, poetici, fascinosi. Quando il sole cala ti sparano addosso palle chiarissime giusto per dire stammi alla larga, qui ti fai male. E’ un insieme di lenti e di specchi che getta flash dalla torre e, lo sapevate?, ogni faro non solo ha un nome preciso ma anche una luce inconfondibile (il colore, la frequenza) per cui nella notte i capitani delle navi li beccano al volo: è quello lì, lo riconosco. Ogni luce di faro è diversa da tutte le altre, è come un’impronta digitale, l’impronta luminosa di una costruzione che dichiara le proprie generalità. Ripeto, lo sapevate? Io no. C’è da imparare sempre qualcosa. Arriva un pittore amico a casa tua, Marco Verrelli, ti fa vedere dei quadri bellissimi, esatti e sontuosi al tempo stesso, e ti dice: ora dipingo fari, mi piacciono un sacco, mi attrae irresistibilmente questo tipo di edificio così perfetto e stagliato. Dunque: fari. Allora, intanto, ti informi un po’, prendi qualche dato, e scopri ‘sta roba della luce unica, del raggio inconfondibile.

In effetti c’è qualcosa di fatale nei fari. Come soggetto, voglio dire. Cumuli di poesia, letteratura, cinema: lasciamo perdere. Benché di fronte al Faro di Alessandria restasse piuttosto indifferente l’Imperatore Adriano (così almeno sembra, leggendo la Yourcenar) un faro cambiò la prospettiva artistica di Hopper, il quale dopo aver dipinto, appunto, il Faro sulla collina cessò di cercare e di evolvere e fu semplicemente, solamente Hopper. Non so se mi spiego. La matrix dei fari di Verrelli è proprio quel faro lì, credo. Dipinto 80 anni fa giusti giusti. E’ quell’architettura novecentesca solida, semplice (per capirci: nessuna spettacolarizzazione metropolitana della torre-sigaro-missile come per Nouvel a Barcellona e Foster a Londra) con un che di stilizzazione metafisica da mondo ancora mezzo vuoto, da occidente pulito, respirabile. Tu e lei che passeggiate sulla scogliera, i maglioni di lana grossa, bianca, il vento, l’oceano, un cagnone felice che vi precede. Di che parlate? Di ciò che state leggendo, scrivendo, pensando l’uno dell’altra. Cose così. Pensateci: la scena è quella, mica un’altra. Solo che per Hopper quell’immagine scatenava tutta una sua personalissima fiction, per Marco un faro si presenta come un fatto categorico. Totalizzante. Scultoreo. E’ in grado di abrogare alla fine anche l’umano, questa piccolezza così emotiva e transitoria, di celebrare la pienezza della solitudine, il suo eroismo calmo, il fascino smisurato dell’inespresso. Quindi mi dispiace, niente tu e lei da queste parti. E qualsiasi cosa tu possa pensare di un oggetto così, bè, questo, amico, è il capolinea.

Non ci sono altre case, o persone, niente. Ma soltanto rotazioni di pure forme nello spazio, moderne colonne con tanto di capitelli, sentinelle di pietra, irremovibili soldati con l’elmo: fronteggiano, anche timbricamente (accidenti che rosso, accidenti che bianco, e che stacchi luce-ombra), gli elementi più mutevoli e vaghi della natura, l’atmosfera, il mare, questi mitici cieli in travaglio, così intensamente, profondamente blu. Verrelli guarda i suoi fari dal basso in alto come un tempo si guardavano gli dèi. E ne esalta la parte superiore, con devozione, ma anche come in quelle foto dove ti tagliano le gambe dalle ginocchia in giù perché tanto di piedi e polpacci chi se ne frega… Diresti che è sera. I fari si preparano, come se raccogliessero le forze. Al loro posto.

Inaugurazione 28 settembre 2007

Galleria Maniero
via dell'Arancio, 79 - Roma
Orario: lunedì/sabato dalle 16 alle 20 e su appuntamento
Ingresso libero

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