Galleria Forni
Milano
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Giovanni Sesia
dal 9/1/2008 al 8/2/2008
martedi' - sabato 10-13 e 16-19.30

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Galleria Forni




 
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9/1/2008

Giovanni Sesia

Galleria Forni, Milano

Antiche memorie. Tra vecchi archivi e mercatini Sesia raccoglie lastre e fotografie nel tentativo di riportare alla luce particolari di vite passate. In bilico fra fotografia e dipinto, l'immagine di fondo viene reinventata e la materia pittorica si unisce a quella fotografica sottostante.


comunicato stampa

Sicut transit gloria mundi, dicevano gli antichi, già ossessionati dall’implacabile azione del tempo, che corrode e consuma ogni cosa, fino a lasciarne soltanto una traccia impercettibile, lontana e nascosta agli sguardi dei più. Un insieme di rovine ciò che era un’importante città, un elenco di nomi le gesta di grandi personaggi, e le esistenze della gente comune semplicemente cancellate e dimenticate. Passate dai ricordi delle persone vicine ad un lento ma inesorabile oblio.

La storia, infatti, ha sempre parlato dei grandi, con narrazioni, resoconti e monumenti, senza poi dimenticare la ritrattistica ufficiale che immortalava in statue e dipinti le fattezze di re e generali, perpetrando così la loro immagine nei secoli. Amara consolazione forse ma pur sempre un elemento che ne permettesse una forma di sopravvivenza. Niente di tutto questo poteva accadere al popolo, lontano dalla condizione di potersi permettere un ritratto e forse anche troppo occupato a lavorare. La pittura ha certamente aiutato nel corso dei secoli a documentare la vita e gli uomini, ma solo con l’avvento della fotografia si è avuta la possibilità su larga scala di ritrarre e fermare attimi di vita. Su lastre e dagherrotipi hanno fatto quindi la loro comparsa uomini e donne di ogni classe, immortalati nel loro vestito migliore contro fondali dipinti, a volte un po’ spauriti e imbarazzati davanti all’obbiettivo. E poi foto di gruppi, radunati per varie ricorrenze come matrimoni, feste o riunioni di famiglia. Tutto questo è prova del desiderio e della necessità che ha l’uomo di raccontare e fissare con delle immagini la propria esistenza, in modo che non possa scolorire e cancellarsi dalla memoria: un diario della propria vita e una testimonianza del proprio passaggio sulla terra da lasciare a nipoti e pronipoti, insieme un dono e un monito per le future generazioni.

Purtroppo anche queste fotografie vanno spesso incontro ad un mesto destino, passate di mano in mano vengono poi dimenticate in soffitte e cantine.
Il lavoro di Sesia si colloca qui, in lotta contro il tempo, nella volontà di riscoprire e divulgare queste antiche testimonianze.
Tra vecchi archivi e mercatini di brocantage, Giovanni cerca e raccoglie lastre e fotografie nel tentativo di riportare alla luce particolari di vite passate, volti dei quali non si conosce forse il nome, ma dettagli importanti sulla loro esistenza.
Attraverso quei fotogrammi si è in grado di ricostruire addirittura l’intero svolgersi del destino di un uomo vissuto più di un secolo fa. E’ il caso del ritrovamento di un numero cospicuo di lastre appartenenti tutti allo stesso individuo, che ha fotografato per tutta la vita ciò che gli accadeva. Come quasi ogni fotografo lui appare sporadicamente nelle immagini, ma continua a ritrarre la sua famiglia, i bambini che crescono, le vacanze estive e le ricorrenze festive. Il tutto con grande regolarità e costanza così da sembrare di avere davvero tutta la sua vita davanti agli occhi.

La raccolta di immagini di Sesia coinvolge anche temi più duri e drammatici, dai ritratti di pazienti di manicomi, ai quali ha dedicato un ciclo molto intenso, alle foto dei morti, tradizione viva fino agli inizi del secolo scorso.
Nella scelta di queste immagini di grande forza ed intensità traspare non soltanto il desiderio di recupero del tempo passato, quanto un vero e proprio interesse per la condizione umana; per la sofferenza alla quale è stata ed è ancora sottoposta e di contro una denuncia dell’indifferenza della società e dell’ambiente circostante. Il manicomio rappresenta forse il paradigma delle persone dimenticate, rinchiuse in quella mura e soggette a terribili trattamenti. Quelle piccole foto che oggi vediamo, grazie al lavoro di Giovanni, sembrano essere l’unica prova del loro passaggio in quelle strutture, una sorta di inventario per volti: una foto segnava, infatti, l’ingresso di ogni nuovo malato nel manicomio, non vi erano nomi o elementi che ci dicessero qualcosa su quella persona, solo una foto ed un numero.

Più che agli alienati della Salpetrière, ritratti da Gericault, forse più per un interesse psichiatrico che umano, quei volti immortalati da Sesia, riportano alla mente i “folli” abbandonati al loro destino, su navi alla deriva, dipinti da Bosch, che in quel loro canto inconsapevole sottolineano ancor più la loro sofferta condizione.
Riutilizzare oggi quelle immagini è un po’ “rendere giustizia” alla loro vita nel tentativo di far riflettere sulla sorte di uomini e donne, forse lontani da noi nel tempo ma non nella loro umanità.
Caso ancora più estremo è quello delle foto dei morti, congiunzione estrema tra la vita e la morte, ed espressione della strenua volontà di trattenere il defunto tra i vivi.
Vi era la credenza, infatti, che la foto facesse in modo che il morto rimanesse vicino ai suoi cari e forse questo ci fa capire quanto per i nostri avi la morte non fosse altro che parte della vita, pensiero oggi profondamente distante dal sentire della maggior parte della gente, che spesso rifugge ogni sua anche distante presenza.
In questo rapporto con la vita e con la morte, Sesia si riallaccia al tema delle vanitas secentesche, anche se al posto di candele spente o teschi, troviamo personaggi provenienti dal passato ed una serie di oggetti di uso comune sempre appartenenti ad un’epoca lontana.

Fanno così la loro comparsa materassi sgualciti, vecchie sedie spesso avvolte da camicie bianche o lenzuola che sembrano ridisegnarne i contorni attraverso i loro panneggi. Queste sedie vuote, ricoperte da teli bianchi, quasi dei sudari, sembrano in attesa di qualcuno che non verrà mai. Accanto a povere ceste e sgabelli vediamo anche vecchie macchine da scrivere o addirittura motociclette, anch’esse provenienti da una vita altra, soggetti melanconici che accompagnano chi guarda in un viaggio a ritroso attraverso antiche memorie.
In alcune opere troviamo anche pennelli e tavolozze, quasi una dichiarazione di poetica e d’intenti: la volontà attraverso la pittura di riportare in vita il passato e dal punto di vista tecnico l’unione tra fotografia e pittura.
Difficile è, infatti, definire il lavoro di Giovanni Sesia, in bilico tra la fotografia e il dipinto, lui stesso si sente più pittore che fotografo, e l’immagine riportata sulla tavola non è altro per lui che un punto di partenza per un’opera finale che sfugge ad ogni facile etichettatura. Non si tratta, infatti, di una semplice foto ritoccata e dipinta, l’immagine di fondo, viene completamente ricreata e reinventata e la materia pittorica si unisce alla fotografia sottostante divenendo quasi una cosa sola.

A questo si aggiungono scritte e simboli che percorrono in modo nervoso tutta la superficie della tavola, non è importante ciò che dicono queste parole, a volte tratte da testi noti, altre da pensieri dello stesso autore, ma la sensazione che trasmette quel segno grafico, che sembra ribadire a gran voce ciò che racconta l’immagine sottostante. Chi guarda è irrimediabilmente attratto da quella grafia nervosa ed istintiva, prova anche a decifrarla, riuscendo forse a leggere qua e là stralci di frasi e discorsi, ma il senso di quel testo appare lontano.
Sono come le parole di un’antica lingua, i cui suoni ci appaiono a tratti familiari, ma i significati ci sfuggono, perché persi tra il frastuono degli anni trascorsi; o forse sono le parole pronunciate dalla persona ritratta, gridate nel tempo, che lascia filtrare solo qualche frammento. Negli anni anche i discorsi sbiadiscono e la comunicazione diviene difficile, spesso a singhiozzo; dobbiamo, allora, lasciarci guidare da ciò che quel volto sembra voler raccontare.
Una storia sincera e profonda, che ci ricorda la nostra precarietà in un mondo, forse a volte spietato, ma dove ritroviamo anche esempi di grande umanità.

Barbara Frigerio

Giovanni Sesia è nato a Magenta, Milano, il 3/8/1955, è un artista particolare che si pone a metà fra pittura e fotografia, rielaborando lastre e scatti con tratti ad olio. L'origine va ricercata nel ritrovamento di pellicole e lastre antiche che vengono ristampate su tavola e poi ritoccate con colori ad olio, polveri di ferro e rame e ricoperte da una fitta scrittura, che diventa anch'essa segno pittorico. Tra i suoi più recenti cicli di opere è degna di nota una serie nata dal ritrovamento di pellicole e lastre appartenenti all’archivio di un istituto psichiatrico lombardo che ritraggono volti dagli anni Trenta agli anni Cinquanta. «Una volta, infatti, i manicomi dipendevano dal ministero della giustizia e i suoi malati erano considerati alla stregua di carcerati, per questo venivano segnalati con fotografie» “Sesia riscatta gli sguardi dimenticati dall'indifferenza, dall'anonimato la memoria di questi individui.

Ciò che l'artista vede è che nella loro scomparsa è in gioco la sua stessa perdita, nel terribile oblio che, come un velo, avvolge l'esistenza in ogni istante e che, denso come lo strato di polvere che copre oggetti e fotografie del passato, si compie nella spietatezza di un tempo scandito dagli orologi.
L'azione gestuale di Sesia sulle fotografie s'imprime come segno d'intensa partecipazione, ad un volto, ad un abito sgualcito, ad una piega casuale, effimera come la vita, ad un oggetto stratificato di memoria. La sua azione sull'immagine è la sofferta consapevolezza di poter svelare il mistero del tempo solo rivelando nuovamente il passato, salvandolo dal rischio d'essere definitivamente "archiviato"; come per le foto dei "matti", resi nella sua opera testimoni dell'unica vera follia: quella del tempo, che trascina via il presente del nostro vivere.”

Inaugurazione 10 gennaio ore 18

Galleria Forni
via Fatebenefratelli 13 Milano
orario: 10/13 - 16/19,30. Chiuso domenica e lunedì

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