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Alessandria
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Bruno Benuzzi
dal 1/2/2008 al 1/3/2008

Segnalato da

Studio Vigato



approfondimenti

Bruno Benuzzi



 
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1/2/2008

Bruno Benuzzi

Studio Vigato, Alessandria

Musica per camaleonti. L'artista presenta un breve excursus antologico che inizia da alcune opere dei primi anni '80: suadenti pellicole di colore dai perimetri frastagliati e superfici ondulate. In seguito le sue opere divengono un ibrido linguistico che alterna superfici porose e slavate pescando motivi nello scibile naturale.


comunicato stampa

Bruno Benuzzi nasce e trascorre l’infanzia in Sardegna per poi trasferirsi, nel ’62, da Alghero a Bologna dove studia e si forma culturalmente. Nella città felsinea fa il suo esordio nel ’77 (galleria 2000) e, a partire da allora, il suo curriculum artistico conta numerose mostre personali e collettive sia in Italia (Bologna, Milano, Torino, Roma, Aosta, Trieste, Bari) che all’estero (New York, Tokio, Basilea, Stoccarda, Colonia, Strasburgo) nonché i testi di prestigiosi critici.

Dal 1980 Benuzzi contribuisce (in sincrono con i protagonisti della Transavanguardia, del Magico primario, dell’Anacronismo e, appunto, dei Nuovi Nuovi il movimento a cui ha preso parte) al riaffermarsi del referente, vale a dire al recupero di un’attitudine artistica che non rifiutava il confronto con le immagini, con un iconico narrare. Un atteggiamento, questo, giudicato tabù dai sostenitori dell’azzeramento sensibile imputabile agl’imperativi minimalisti, analitici, concettuali, modernisti insomma, che avevano permeato il decennio precedente.

Per l’occasione Benuzzi presenta un breve excursus antologico che inizia proprio da alcune opere dei primi anni ’80: suadenti pellicole di colore facilmente riconoscibili per via dei perimetri frastagliati e per le superfici ondulate come nel caso di Dietro una cortina di croton (versicolor). Superfici vellutate ottenute grazie ad un’originale tecnica, a bassorilievo in alcune parti, inventata dall’artista stesso e costituita di smalto e farina setacciata tanto che - s’è persino scritto - le sue opere parevano lacerti tattili pronti a staccarsi dalle pareti, a volare via sospinti da una brezza cromatica che bandiva il ricorso a colori scuri (escrementizi per dirla con William Blake). Erano un po’ come i frammenti strappati di un paesaggio infinito che rispolverava un panteismo prossimo alla cosiddetta “scuola danubiana”, ossia Altdorfer e Cranach.

E’ curioso indagare, col passare del tempo, l’evolversi artistico di Benuzzi che, pressappoco a metà degli anni ’80, lancia un’impalpabile sfida tra la sua meticolosa tecnica (che finirà col sedimentarsi sul piano patinato di multiformi foto) e l’universo Cibachrome, così da creare un ibrido linguistico improntato dal mimetico alternarsi di superfici porose e slavate e testimone, al contempo, della predilezione del nostro artista per i motivi pescati, qui e là, nello scibile naturale (flora & fauna).

E’ dunque la volta degli anni ’90, anni che recano con sé alcune varianti - le scansioni bicolori, più o meno araldiche, dei fondi sono ottenute per slittamento progressivo degli smalti, resi vischiosi dalla farina, accolti ora da rigide basi lignee - nel cuore di una ricerca che rimane sostanzialmente coerente con i presupposti iniziali. Peschiamo dal mazzo Bionica caudalis, un’opera del 2000 anche se, in realtà, frutto maturo delle sperimentazioni praticate lungo tutto l’arco dello scorso decennio. Riconosciamo qui una sorta di Diana cacciatrice agghindata in stile peplum tanto che, davvero, la protagonista pare sgattaiolata via da una tela d’Alma Tadema senza per fortuna tirarsi appresso tutto il repertorio (parafernalia d’antiquariato) che circonda i personaggi, il paganesimo delle opere dell’artista olandese. Diversamente qui la figura femminile galleggia a mezz’aria protesa a spargere tutt’attorno, col proprio arco, saette che si rivelano un nugolo di sfreccianti rondini favorite nei loro volteggi da un vento cosmico.

Giungiamo infine ai giorni nostri, ai bucrani bovini - il primo è del ’96 - pressoché glassati da smalti per carrozzeria, gli stessi utilizzati negli States dalla cosiddetta Custom culture, che li rendono robotici come i serbatoi delle Harley-Davidson: sono poi arricchiti da un intrico di figure, botaniche e faunodipendenti, di matrice psichedelica dipinte con l’abituale tecnica. Il medesimo tipo di smalto metallizzato - tangerine candy - fornisce la base anche per Musica per camaleonti del 2007, un’opera dagli angoli smussati come le carte da gioco e dalla superficie perfettamente piana (già dai tardi anni ’80 Benuzzi recupera tale modello di superficie) che introduce un’allegra veduta cosmica. Sul lato sinistro, il destro è vuoto, ecco un ricco bouquet (rococò) di fiori dove, mimetizzati nel fogliame, trovano asilo due camaleonti smeraldini a cui fa compagnia un diavoletto pizzicato dal repertorio di Andrea da Firenze. Il demone color ocra, mani poggiate al mento, scruta sopra di sé il volo di tre pellicani. Al centro della scena staziona invece il pianeta Saturno a cui tiene bordone, a suo agio in piedi sugli anelli, un angelo musicante giunto da chissà dove per strombazzare la musica delle sfere.

Immagine: Croton Versicolor 1, 1500 x 1139

Inaugurazione sabato 2 febbraio, ore 18

Studio Vigato
via Ghilini 30, 15100 Alessandria

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