Museo Pericle Fazzini
Assisi (PG)
piazza Garibaldi, 1/c (Palazzo del Perdono)
075 8044586 FAX 075 8044586
WEB
Doppia Personale
dal 15/2/2008 al 12/4/2008
10/13 - 16/19 (lun chiuso)

Segnalato da

Michele De Luca




 
calendario eventi  :: 




15/2/2008

Doppia Personale

Museo Pericle Fazzini, Assisi (PG)

La mostra accoglie 56 opere di Alberto Gerardi eseguite tra il 1916 e il 1960, tra sculture e disegni, ed intende offrire una prima, sintetica riproposizione del lavoro dello scultore. 15 opere grafiche rievocano, invece, l'importante presenza di Giuseppe Viviani nel panorama della storia artistica del '900 italiano.


comunicato stampa

a cura di Rosalba Zuccaro

Alberto Gerardi
opere dal 1916 al 1960
“io penso che di ferro son fatte le stelle”

Sabato 16 febbraio 2008, alle ore 17, nelle Sale espositive del Museo Fazzini, si inaugura la mostra antologica di Alberto Gerardi.
La mostra, a cura di Rosalba Zuccaro, accoglie 56 opere tra sculture e disegni e intende offrire una prima, sintetica riproposizione del lavoro dello scultore, nella molteplicità delle tecniche adoperate e delle tipologie di oggetti realizzati.
Infatti, dopo la monografia del 1964 di Corrado Maltese, dopo la retrospettiva della Quadriennale del 1965 che comprendeva diciassette suoi lavori, dopo la manifestazione Arte moderna in Italia 1915-35, svoltasi a Firenze nel 1967, che proponeva, per le cure di Carlo Ludovico Ragghianti, quattordici sue opere, tranne la voce specifica a lui dedicata nel Dizionario Biografico degli Italiani nel 1999, scarse e sporadiche sono state le rassegne collettive che si sono perlopiù limitate a presentare suoi disegni o oggetti di arte applicata. Si è ritenuto, perciò, opportuno di fornire un panorama articolato della sua attività per rompere il silenzio su di un maestro quasi dimenticato, un maestro nella trattazione plastica dei metalli e nella ricerca sul disegno.

“Sono nato a Roma da famiglia umbra nel 1889. Ho avuto una preparazione artigiana. So che è molto nota la mia attività in ferro battuto e non è il caso allora che io ne parli se non per affermare anche in questa occasione che ritengo il ferro materia utile e preziosa per la plastica pura. / Alla scuola artigiana dalla quale provengo debbo la conoscenza delle tecniche e la scrupolosa aderenza a ogni materia, cosa che credo sia alla base di ogni stile. / L’arte del disegno mi ha appassionato sempre; via via ho sperimentato i mezzi più adeguati alla mia ricerca. Così ho praticato e pratico la punta d’argento e la penna. / Intendo il disegno come osservazione di valori tonali dai quali scaturiscono le forme. / Cere, disegni e ogni mia fatica varranno a prepararmi a statue scolpite nel ferro”.
È questa la breve nota autobiografica redatta da Alberto Gerardi in occasione della mostra allestita nella II Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma, inaugurata nel febbraio 1935 al Palazzo delle Esposizioni. Come registra il catalogo, la personale comprendeva tre sculture, cinque disegni a penna e sette disegni a punta d’argento. Lo scritto, scarno e asciutto, chiaro e diretto, rispecchia alcuni aspetti del carattere dell’artista, schivo ma consapevole delle sue qualità, e contiene riflessioni significative per la comprensione della sostanza della sua ricerca.

Proprio sul fondamento della sua “preparazione artigiana”, scrive Rosalba Zuccaio, Gerardi imposta il nesso imprescindibile tra “la conoscenza delle tecniche e la scrupolosa aderenza a ogni materia”, un assunto basilare per ogni declinazione stilistica, in sintonia, tra l’altro, con il pensiero e l’attività di Duilio Cambellotti che era stato suo maestro presso il Museo Artistico Industriale di Roma. Dichiarata la passione per il disegno, egli esalta la sperimentazione dei vari mezzi per individuare quelli adeguati alle proprie intenzionalità, concentrate sulla “osservazione di valori tonali dai quali scaturiscono le forme”. Ed infine, dopo aver definito il ferro “materia utile e preziosa per la plastica pura”, Gerardi ritiene che le acquisizioni dei diversi procedimenti operativi e ogni fatica “varranno a prepararmi a statue scolpite nel ferro”.
Questi concetti e la terminologia usata sono veicoli importanti per ripercorrere sinteticamente il lento svolgersi di un immaginario creativo saldamente ancorato a soggetti della realtà fenomenica, soprattutto figure umane e animali, osservati con acuta sensibilità e restituiti in forme intrise di interna tensione, di forte concentrazione e di sorprendenti modulazioni chiaroscurali nell’impianto plastico-architettonico.

È, quello di Gerardi, un linguaggio essenziale, autentico, guidato da un pensiero vigile e severo, che non si concede ad abbandoni estetizzanti, a compiacimenti tecnicistici, a sofisticate arbitrarietà e che volge lo studio di memorie antiche da una passiva assunzione ad una moderna interpretazione attraverso una straordinaria abilità manuale e ricettiva e attraverso una fertile facoltà intuitiva, “operando con la modestia d’un santo anacoreta” come scrive Luigi Bartolini in occasione della presentazione alla VII Quadriennale nel 1955 notando, tra l’altro, che egli porta all’antica tradizione “valori nuovi [...] talmente originali che possono anche passare inosservati, o non essere valutati al giusto segno se non dai poeti”.
Numerosi sono, nell’arco della sua attività, i disegni che attestano i suoi studi da Arnolfo di Cambio, Giovanni Pisano, Giotto, Leonardo o che evidenziano il suo interesse per Pisanello, Dürer, Rembrandt, ecc. Su una forte componente storica che affonda, talora, anche su civiltà remote, come quella egizia, egli innesta una accorta, quasi segreta esperienza del presente. Al di là di possibili, tenui e marginali, riferimenti a compagni di strada, egli, esente da retoriche novecentiste, da freddi, accademici citazionismi e da compiacenti arcaismi, volge il prestigio fabrile nell’azione della battitura con il martello a strumento rigoroso di forma con l’intenzione di emozionare la superficie di luce e, come nota Maltese, con il desiderio di concentrarsi sulla “ ricerca di come dissolvere la materia nella luce”.

Alberto Gerardi era nato nel 1889 a Roma dove è morto nel 1965.
Allievo di Duilio Cambellotti, con il quale poi collaborerà nel villino Pallottelli a via Nomentana a Roma, inizia la sua attività espositiva nel 1921 con la Mostra di arte sacra al Palazzo reale di Venezia. Seguiranno, nello stesso anno, la I Biennale Romana e, in seguito, la Biennale Internazionale delle Arti Decorative di Monza (1923, 1925, 1927, 1930), la Triennale di Milano (1933) dove ottiene il gran premio della giuria internazionale, la Quadriennale di Roma (1931, 1935, 1939, 1948, 1951, 1955, 1965), la Biennale di Venezia (1936, 1942, 1948, 1950, 1956).
La sua prima personale è alla Galleria Pesaro di Milano (1923). Esporrà in seguito alla Galleria il Milione di Milano (1949).
Tra le opere su commissione sono da ricordare la Custodia della Sacra Roccia dell’Agonia nella Basilica del Getsemani a Gerusalemme, la Portella d’oro del ciborio del santuario del Divino Amore e il Crocifisso d’argento voluto dal Centro Liturgico Internazionale per donarlo nel 1959 a papa Giovanni XXIII.
La mostra è accompagnata da un catalogo delle Edizioni De Luca, sesto della collana “Laboratorio” che, dal 2006, indaga tra le pieghe del lavoro di Pericle Fazzini attraverso i suoi maestri, i suoi allievi, le sue amicizie.

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Giuseppe Viviani
QUINDICI OPERE GRAFICHE

Sabato 16 febbraio, alle ore 17, in concomitanza con l’inaugurazione della mostra “Alberto Gerardi. Opere dal 1919 al 1960”, si apre negli spazi del Book Shop del Museo Pericle Fazzini di Assisi, diretto da Giuseppe Appella, la piccola ma elegante mostra “Giuseppe Viviani. Quindici opere grafiche”che, con rari e preziosi esemplari, rievoca l’importante presenza del grande artista nel panorama della storia artistica del Novecento italiano. Pittore e incisore, Viviani (Agnano di Pisa nel 1898 - Pisa 1965), formatosi autonomamente, in ambiente tardomacchiaiolo,definì alla metà degli anni Trenta una propria figurazione dagli umori popolareschi e arcaicizzanti, attraversata da una sottile vena metafisica e sentimentale, e caratterizzata dal gusto per una pittura di fatti, oggetti e personaggi della cronaca quotidiana; con le sue opere pittoriche ed ancor più con le sue incisioni diede vita ad una sorta di imagérie popolare che rifletteva fatti ed episodi della colorata vita del litorale pisano, calati in un’atmosfera fiabesca e con riferimenti alla pittura metafisica.

Soprattutto nell’incisione l’artista toscano raggiunse risultati eccezionali, tra i maggiori del Novecento italiano (accanto a Morandi e a Luigi Bartolini), trasformando in originali immagini la sua personale visione del mondo, con una particolare predilezione per la vita della sua terra che conosceva profondamente; visse infatti lungamente a Marina di Pisa e alla sua morte, seguendo le sue ultime volontà, le lastre originali delle sue opere furono gettate in mare al largo della piccola località sulla costa tirrenica. Viviani raggiunse la fama soltanto nel secondo dopoguerra: era il 1948 quando gli fu assegnata la cattedra di incisione presso l’Accademia di Belle arti di Firenze, cattedra che era stata ricoperta da Giovanni Fattori. Iniziò così per lui un periodo di grandi successi, con la partecipazione a importanti mostre e concorsi internazionali di incisione, che lo videro più volte vincitore; nel 1960 la città di Pisa gli dedicò una grande mostra che ripercorreva tutta la sua opera e lo gratificò come “cittadino benemerito”.

La vita di Viviani non fu affatto facile: perse il padre all’età di due anni e dovette trasferirsi insieme alla mamma presso il nonno, un ortopedico che fabbricava arti finti, oggetti che devono essersi impressi nella memoria della sua infanzia, tanto che poi li inserì in molte sue opere; fino agli anni Quaranta svolse numerosi lavori, senza mai però abbandonare la sua attività artistica. Con l’assegnazione della cattedra all’Accademia di Firenze, ormai cinquantenne, ebbe finalmente il successo che meritava e le sue incisioni (di cui viene offerta al Museo Fazzini una stringata quanto rappresentativa selezione) raggiunsero quotazioni altissime, assicurandogli quella tranquillità economica che gli permise finalmente di dedicarsi esclusivamente alla produzione artistica e alla sua seconda grande passione, la caccia; non a caso mute di segugi si trovano spesso ritratte nelle sue acqueforti, nelle sue xilografie oppure nelle deliziose e variopinte litografie, in cui Marco Valsecchi ebbe a rinvenire “un procedere più sintetico dell’immagine, una campitura più vivace degli spazi entro il contorno nero e spesso della linea”. Viviani – sono ancora parole di Valsecchi - “non ha stravolto le regole della tecnica esecutiva. Le ha, anzi, assunte nella loro più spoglia evidenza con la stessa umiltà di un vecchio artigiano. Osservandole, affiorano alla nostra memoria le etichette delle nostre raccolte infantili, le calcomanie coi soldatini di carta e i proverbi illustrati, le copertine dei quaderni scolastici”.

L’arte di Viviani è improntata ad una visione malinconica e decadente della vita, ma allo stesso tempo ad un grande amore per la vita stessa. Con un segno lineare ed essenziale ed una raffinata perizia tecnica, l’artista si è mosso tra un ingenuo immaginario popolaresco e la meditata ricerca di immagini della memoria, ricreando un mondo venato di profonda emotività e percorso da aperture metafisiche ricche di allusioni, suggestioni e significati; come scrisse di lui Jean Cocteau, nel 1961, “Giuseppe Viviani èst un maitre de ce réalisme irréel qui sera un jour le signe de notre époque”. L’opera grafica di Viviani, è, per riconoscimento universale, uno dei maggiori esempi contemporanei di poesia espressa compiutamente con l’incisione; in lui una sapienza tecnica eccezionale, rispettosa delle proprietà e delle “leggi” di questo nobile genere artistico, convive e si esalta con una libertà inventiva e con una inesauribile scoperta di soluzioni stilistiche, raggiungendo traguardi straordinari nella creazione di racconti, fantasie ed emozioni.

Immagine Alberto Gerardi - Ritratto di Roberto Melli, 1948, gesso

Ufficio Stampa
De Luca Comunicazioni, Roma
Tel. e fax 06/44237540 – Cell. 333/8264292
E-mail: m.deluca33@virgilio.it

Inaugurazione Sabato 16 febbraio 2008, alle ore 17

Museo Pericle Fazzini
Palazzo del Capitano del Perdono
Piazza Garibaldi, 1/c – 06081 Assisi
Orario: 10/13 – 16/19 (lunedi chiuso)
Ingresso (al Museo e alla mostra: euro 5, ridotto euro 3

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Franco Gentilini
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