L'intervento realizzato per Fondazione Volume! prevede il semplice innesto di un velo di 2547 foglie raccolte una per una, provenienti da un albero di pero, piantato a Livorno nel 1999, colpite da un parassita che distrugge lentamente la pigmentazione esterna risparmiandone soltanto la nervatura legnosa.
L’”intervento” di Cavallini, realizzato per Fondazione Volume! prevede il semplice innesto di un velo di 2547 foglie raccolte una per una e maniacalmente e pazientemente attaccate l’una all’altra dall’artista. Il velo finale ottenuto è largo 150 cm e alto 225 cm, il suo peso è solamente di 80 grammi. L’opera ottenuta, flebile ed effimera, nonostante il lunghissimo periodo necessario a realizzarla, è composta da foglie che provengono da un albero di pero, piantato a Livorno nel 1999, colpite da un parassita che distrugge lentamente la pigmentazione esterna risparmiandone soltanto la nervatura legnosa. Le foglie sono state raccolte tra il 2003 e il 2006, ed attaccate una all'altra senza bisogno di ulteriori strutture di sostegno. La documentazione e la metodologia realizzativa dell’opera sono, a mio avviso, inscindibili dall’opera. Vera e propria reliquia moderna, il lavoro effimero di Cavallini, vive assolutamente di questo assembramento manuale e maniacale, che ne fanno una sorta di tempo esposto… tuttavia l’opera è trasparente, il pero era ammalato e le foglie trasferiscono la loro esilità ad un tappeto finale esso stesso leggerissimo e trasparente, morente, in un certo senso morto, vivo solo come opera.
Nato a Livorno nel 1974, Federico Cavallini si è laureato in Storia dell'arte medioevale alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa, ma vive e lavora tra Roma e Livorno. Le strutture effimere che realizza hanno radici nell’arte contemporanea concettuale e contestuale e nell’arte povera, ma nella loro poetica strettamente pittorica sono perfino classici; integrandosi dentro ad una sorta di moderno memento mori, Cavallini possiede una leggerezza pittorica, e una liricità precipua.
Questo lavoro fragile, effimero destinato ad una veloce consunzione, non è solo una sorta di vera e propria reliquia, sebbene tuttavia reliquia terrena e che parla del terreno, ma un operazione pittorica molto sottile: la memoria qui sedimenta come un pensiero forte e lo sguardo scorre “attraverso” l’opera, sulle foglie e dentro le foglie, ossia nella trasparenza, risalendo appunto fino al lavoro di assembramento e fino alla malattia dell’albero, lento come scorre su un quadro di Seurat, in cui viene in mente Seurat che sceglie i colori e studia le reazioni; lo sguardo traversa il tappeto guardando anche la chiesa che appare dentro e dietro. Il lavoro diviene per un istante la memoria della natura e della campagna, una natura che respira, si ammala, e passa le stagioni, e per essa, dentro essa, della vita pittorica dell’opera. Il caduco in Cavallini è in contrasto con la ricchezza dello spirito e dell’arte classica, ma non con la pittura e coi contenuti profondi, è la “povertà” del mondo terreno, effimero e trasparente, caduco e invadente, una vera e propria “reliquia moderna”, si diceva, ma è anche la memoria che si trasporta nel segno, lenta la visione, lento il lavoro, lenta, ricca e caduca la vita.
Chiesa Santo Stefano Rotondo
via Santo Stefano Rotondo, 7 - Roma
Orario: Mart - sab: 9.30 - 12.30; 15.00 - 17.00; Dom: 9.30 - 12.30; Lunedì chiuso
Ingresso Libero