Galleria Bianca Maria Rizzi
Milano
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Marta Sesana
dal 26/2/2008 al 7/4/2008

Segnalato da

Galleria Bianca Maria Rizzi



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Marta Sesana



 
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26/2/2008

Marta Sesana

Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano

Monadi. "Nelle opere dell'artista si coniugano procedimenti letterari che sono alla base del nostro stesso modo di essere. L'utopia si accompagna alla distopia, laddove non si sa se soffermarsi sul divertimento visivo che delinea mondi di fantasia oppure sull'indesiderabilita' di cio' che ci viene restituito." (Stefano Castelli)


comunicato stampa

La dialettica tra tradizione e innovazione è l’oggetto di un’acuta riflessione del grande critico Donald Kuspiti. Il suo conservatorismo artistico lo fa propendere per la tradizione, fondata secondo lui su basi solide, mentre l’innovazione reggerebbe sulle sabbie mobili dell’arrembante dimenticanza di ciò che è venuto prima.
Non solo le persone si incontrano e vengono verso di noi secondo moti casuali di opportunità e di coincidenze. La stessa logica vige nell’incontro (avvenuto o mancato) con le opere d’arte, soggetti dotati di vita autonoma che vanno e vengono lungo direttrici casuali. E per caso ho incontrato i dipinti di Marta Sesana, vedendoli appesi senza accuratezza alle pareti di una casa che mi sono trovato a visitare.
Il lampo dell’innovazione ci giunge casualmente, quindi; e, essendo come critico su posizioni opposte a quelle di Kuspit, non aspettavo altro che farmi illuminare dal bagliore di quei quadri.
Ma va detto, per amor di verità, che quella della Sesana è un’innovazione che probabilmente piacerebbe anche a Kuspit; infatti essa non pretende di sostituirsi a ciò che le preesisteva, ma si pone come alternativa, come strada totalmente inedita.

Le nostre identità sono ormai rapprese. Le componenti dell’io formano incrostazioni che impediscono di muoversi verso alternative possibili o anche solo di vederle. L’identità non corrisponde all’io, e anzi l’io non è più riscontrabile né pensabile. L’identità è imposta dall’esterno, ma con un processo tragico: la società non dice all’individuo quale identità assumere, ma gli fa credere di averla scelta spontaneamente.
I personaggi della Sesana riflettono questo processo di involuzione dell’individuo e della società stessa. L’impagabile lucidità e sarcasmo con cui essa designa i tipi sociali d’oggi produce una fotografia straordinariamente nitida dell’esistente. Come nella tradizione della grande letteraturaii, anche qui si procede per paradosso. La gradevolezza di superficie rende desiderabile l’indesiderabile, adeguato il mostruoso, godibile il tragico.
Nessuna letteralità vige nel caleidoscopio sociale dell’artista; ma nemmeno nessuna metafora. Nessuna narrazione ci dice cosa pensare, in un’ambiguità che per una volta non è interessata impoliticità, ma, finalmente, pudore. La consapevolezza assoluta da cui è toccata quest’artista non ci viene imposta con piglio da predicatore. Chi vorrà potrà compiere un ragionamento con lei, un tassello del discorso pubblico che l’arte e la cultura sarebbero chiamate a compiere.

Ognuno di noi è obbligato ad autoimporsi un ruolo, come si diceva: ecco che sula tela sfilano personaggi paradigmatici, fantasmi identitari tra i più noti a tutti noi.
Il meccanismo di autoimposizione di un ruolo segue un unico faro: quello della distinzione a tutti i costi. Tutti pensano di aver diritto ad affermarsi, a ricoprire un ruolo che li distingua e li realizzi: è per questo che la Sesana dipinge quelli che un tempo si definivano i notabili della società. La maestra, il guerriero e il politico rappresentano in realtà il “designer”, l’”aspirante artista”, il “creativo” e tutti gli altri orribili termini che designano orribili professioni inventate da chi pensa che sia un diritto distinguersi. Essi sono d’altronde i ruoli tipici di una povera società come la nostra, la società del “tutti artisti”.
Ma analizziamo da vicino le figure che la Sesana ci regala. La Maestra dovrebbe suonare familiare a molti di noi. Si osservi la spilla a forma di fiore, velleitario segno di eleganza a buon mercato. Dietro quel fiore si nasconde un grugno ostile verso gli alunni e verso la propria professione. Non si farà fatica a riconoscervi le maestre incompetenti e incattivite che molti di noi purtroppo hanno avuto. Che dire del Guerriero? Il potere militare e la volontà di sopraffazione quotidiana raramente sono stati rappresentati con tanta sagacia e sintesi. La Candidata rappresenta invece il potere politico, tronfio e seducente, che ammicca per simulare la sua raggiungibilità.
Non si può non notare come la coppia Guerriero-Politica ricordi da vicino l’accoppiata Dame-Generali di Enrico Baj. Le accomuna lo spirito anarchico che anche la Sesana possiede, e che mancava tra gli artisti italiani da troppo tempo, forse addirittura dai tempi dell’artista milanese.
Il Fanatico rappresenta al meglio un tipo di persona che non è difficile incontrare (anzi si direbbe che è difficile non incontrare): lo sbruffone, magari sottoforma di centauro a cavallo di una moto che scalpita al semaforo. La sua voglia è quella di farsi notare, di distinguersi, di essere un notabile, appunto. Quando però a notare queste persone è Marta Sesana, esse vanno incontro a uno smascheramento quanto mai onesto, che non manca di rispetto ma mette a nudo.
E c’è solo da sperare che il pennello tagliente di Marta si decida a raffigurare quel microcosmo di “persone distinte” che è il mondo dell’arte: si può immaginare con grande godimento come raffigurerebbe il critico, l’artista e il gallerista.

Va allora dedotto che la Sesana giudica negativamente i personaggi che raffigura? La loro autodannazione è irreversibile? In realtà lo sguardo della pittrice è pieno anche di pietà, se non di empatia, per i tipi sociali che ritrae. Se la volontà di sopraffazione è disprezzata da Marta quando pensa i suoi soggetti come idealtipi, essa prova sincera compassione per loro in quanto individui. La commedia di sé che essi mettono in atto assume tratti farseschi e buffi, e diventa chiaro come l’ostentazione derivi da insicurezza, traumi e frustrazione, oltre che dall’innato e comprensibile bisogno di definirsi in campo identitario.
E’ questo lo spirito che determina e giustifica l’uso di uno stile tanto godibile per trattare temi così seri. Il primo elemento di leggerezza è il colore, che abbaglia tramite accostamenti elaborati di colori semplici e diretti. Vengono poi le forme, la rotondità delle linee che è un richiamo all’inconscio, dove risiede la rotondità materna, amniotica. Una morbosa morbidezza, si direbbe, se è vero che le “cellule” che compongono i corpi sono come incrostazioni di traumi rimossi, che arrivano ad intaccare persino la fisionomia. Eppure –come si vede, si procede per contrasti potenzialmente infiniti- l’effetto di tridimensionalità rimane estremamente godibile: sembra di trovarsi davanti figure composte di pongo, elemento a sua volta pregno di ricordi infantili.
Dall’inconscio viene anche il sentore di scatologicità che sale dai quadri, anche se non ci sono elementi scabrosi in sé. Eppure, non attiene forse al dominio dell’osceno la sensazione di tattilità, così come il fatto che l’interiorità si rovesci all’esterno come una seconda pelle? Ecco, è forse qui l’innovazione più grande: coniugare cinismo, anarchia e sensibilità. Quela sensibilità che Marta dimostra non riuscendo a dimenticare i tratti interiori anche quando delinea quelli esteriori.

Nell’arte della Sesana si coniugano, con istintiva maestria, procedimenti letterari che sono alla base del nostro stesso modo di essere. L’utopia si accompagna alla distopia, laddove non si sa se soffermarsi sul divertimento visivo che delinea mondi di fantasia oppure sull’indesiderabilità di ciò che ci viene restituito. L’ucronia va a braccetto con il futuro anteriore, dato che a un primo sguardo non si sa se siano scenari provenienti da un tempo altro e immaginario oppure se siamo di fronte a ciò che accadrà davvero tra qualche tempo.
Grazie a tale maestria la Sesana riesce a creare una pittura non riconducibile a nessun’altra, rimasticando e trasformando completamente i classici di inizio Novecento e i grandi pittori internazionali d’oggi (e non posso nascondere il sollievo provato nel vedere un’artista che si ispira a modelli alti, magari a quelli provenienti dagli Usa e dal Regno Unito, e non guarda rasoterra a Nuove Figurazioni Italiane e consimili).

Siamo davanti a un’artista che promette di creare mondi definitivamente autonomi e riconoscibili, come ad esempio hanno fatto non molto tempo fa Glenn Brown e Dana Schutz. L’insulto più grande che potete farle è soffermarvi solo sul lato gradevole dei suoi dipinti. Anche perché sarebbe pericoloso: la rimozione e la frustrazione sono un boomerang micidiale. (di Stefano Castelli)

Inaugurazione mercoledi 27 febbraio 2008 dalle 18 alle 20

Galleria Bianca Maria Rizzi
via Molino delle Armi, 3 Milano
Ingresso libero

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