Lift Gallery
Roma
via Pasquale Tola, 42
06 7820576
WEB
Chiara Mu
dal 5/11/2008 al 8/11/2008
eccetto le ore notturne

Segnalato da

Pino Rosati



approfondimenti

Chiara Mu
Luisa Valeriani



 
calendario eventi  :: 




5/11/2008

Chiara Mu

Lift Gallery, Roma

Per una volta. "Il progetto di Chiara Mu e' la messa in scena di un conflitto tra due dispositivi di movimento, l'uno accogliente ma astraente, denaturalizzante, e l'altro senziente, autocoscienza incarnata". (Luisa Valeriani)


comunicato stampa

Roald Dahl è l’autore di una favola, La fabbrica di cioccolato (Charlie and the Chocolate Factory, 1964), cui diede anche un sequel, Il grande ascensore di cristallo (1973). L’ascensore del titolo, trait d’union col primo libro, è un ascensore eccezionale, perché consente di andare non solo nella direzione obbligata del sali-scendi, ma in ogni possibile direzione, al punto che nel sequel l’ascensore si mette addirittura a vagare nel cosmo. Il grande successo internazionale della storia è però dovuto al cinema, che per ben due volte ha messo in scena le avventure di Willy Wonka e della sua fabbrica magica, mostrando attraverso una indimenticabile visionarietà pop-surreale (specie nella versione Fabbrica di cioccolato di Tim Burton, 2005) come solo le persone capaci di aprirsi a sensibilità e processi logici non sequenziali, e a rapporti umani non egocentrici, possano conseguire una qualche salvezza. Così nel film, quando gli altri concorrenti sono stati ormai distrutti dal loro stesso uso avido e cieco delle meraviglie della fabbrica, Willie Wonka porta Charlie, il bambino che ha superato le prove per la sua disponibilità all’accoglienza, e il nonno suo accompagnatore, legato alla fabbrica da una dimensione affettiva di memoria personale (vi aveva lavorato un tempo come operaio) in un ascensore di cristallo.

La scena dell’ascensore è visivamente affascinante, e l’osservazione/tag del film (“Niente è impossibile, Charlie. Niente”) vi diventa particolarmente pregnante: l’ascensore infatti è dotato di una consolle di comandi, quasi un joystick, che consente a Willy Wonka di spostarsi dove crede, di lato, in obliquo, in orizzontale, in verticale, in tondo. La liberazione dagli schemi mentali prefissati, necessaria per godere davvero della cioccolata, e in senso lato per acquisire una dimensione di vita umanamente realizzata, si materializza in un ascensore che conduce dove ti guidano i tuoi desideri, oltre ogni legge fisica, ogni morale prestabilita, ogni sistema prefissato di valori.

La Lift Gallery ha incorporato, nella sua attività, il messaggio della favola: usare fantasia, immaginazione, creatività d’artista, per suggerire criteri nuovi e diversi di relazionalità, trasformando un normale ascensore condominiale in un dispositivo per viaggi “altri”, aperti ad ogni dimensione e direzione. Viaggi mentali che trasformano chi li fa, e introducono possibilità di socializzazione diverse nelle comunità spesso problematiche dei condominii. L’umanizzazione dei rapporti sociali, sembra dire la Lift Gallery, passa attraverso un uso “altro” dei mezzi a nostra disposizione, che migliorino anzitutto l’habitat della microcomunità. Partire dal vicino, dal sé e da ciò che lo circonda, per cambiare il mondo: solo aprendosi al diverso, incorporandolo e rilanciandolo con immaginazione liberata, è possibile abitare la fabbrica di cioccolato.

In tale progettualità liberatoria e propositiva della galleria, ben si inserisce l’intervento attuale di Chiara Mu nell’ascensore del condominio di Via Tola 42: l’intento che lo informa è infatti quello di convertire l’obbligatorietà dello spostamento su un asse verticale in un movimento “altro”. All’interno della cabina Chiara ha sistemato un’altalena, che non consente certo di raggiungere gli astronauti, ma permette di introdurre un moto ondulatorio nella linearità, uno spostamento orizzontale nella verticalità. L’altalena è il dispositivo con cui poter tradurre i desideri in movimento, proprio come l’ascensore di vetro per Willy.

Spostarsi non verso un dove, linearmente, verso una meta preordinata, ma semplicemente gustare il movimento, sentire il proprio corpo reagire all’attrito dell’aria, pendolarmente. Il movimento del pendolo come antidoto al saliscendi, come sua critica.
Analizziamo allora entrambi i termini del confronto concettuale evocato da Chiara Mu: l’ascensore e l’altalena. E vedremo di capire meglio il suo lavoro: che senso ha un’altalena, e un’altalena nella cabina di un ascensore?

L’ascensore è nato come scorciatoia nel tempo, accelerazione del ritmo, e abolizione della continuità spaziale, assicurata all’esterno dalla fettuccia continua delle scale. L’ascensore abolisce lo spazio, trasformandolo in tempo: entri, azioni il pulsante, e sei in alto; entri, chiudi con la porta ogni contatto col mondo, e sei in basso.
L’altalena è invece una persistenza della memoria, un antidoto allo scorrere inesorabile del tempo. E’ ritmo, è ricordo di un’emozione. Rimanda all’infanzia, al piacere assaporato quasi al limite del divieto, nell’attimo in cui si resta sospesi in alto e il movimento oscillatorio sembra sul punto di impazzire, come un vorticoso pendolo di Foucault che forzi i binari dell’asse di oscillazione; oppure rimanda al calore del contatto con la mano amica che assecondava il movimento da dietro, rassicurante; oppure rimanda alla gioia che si esprimeva in gridolini, quando da soli si riusciva spingendosi con le gambe a raggiungere una pulsazione veloce, con brividi nell’ascesa verso l’alto e nel rientro all’indietro.

Aiutati o no che si fosse, quell’esperienza era un’esperienza attivamente e concretamente corporea. Se non erano le proprie gambe a esercitare la spinta, il corpo era comunque il protagonista assoluto dell’evento. Non era lo spazio ad essere occupato, attraversato o aggredito: era l’aria, un’entità fisica. L’aria che confliggeva, accarezzava, trastullava il volto, invitava gli occhi a chiudersi, rinfrescava i vestiti, gonfiava le gonne o le camicie, agiva su di te e tu reagivi a lei. Un corpo, il tuo, nel contatto da brivido con un altro corpo, l’aria. Questo era l’altalena, prima di ogni Luna-park: originaria esperienza del proprio corpo in movimento. Movimento come contatto, non come scorciatoia. Non abolizione astratta dello spazio, ma sensualità potenziata dalla risonanza. Non scorciatoia del tempo, ma assaporamento del ritmo, dell’andirivieni addirittura ossessivo, carnale. La parola inglese per altalena, see-saw, tematizza una situazione caratterizzata da cambiamenti rapidi e ripetuti da una condizione all’altra. Tematizza l’atto sessuale, anche. Non è certo un caso che i pittori dei sensi, a cominciare dalle galanterie rococò di un Watteau, abbiano spesso raffigurato altalene; l’Altalena di Fragonard (1766, coll. Wallace, Londra) esprime in scorcio ardito l’erotismo libertino, e quella di Renoir, oltre un secolo dopo (1876, museo d’Orsay, Parigi), incarnerà la poetica impressionista come attimo fuggente che ci fa sentire vivi, qui ed ora.

Dunque l’altalena è corpo, contro la compressione astratta dello spazio-tempo rappresentata dall’ascensore: due dispositivi opposti, per storia e per funzione.

Quella dell’ascensore è esperienza che può essere plurale, socializzante, perché non mette in gioco i corpi, ma si limita ad ospitarli. L’esperienza dell’altalena è invece singolare, e può essere condivisa solo nel confronto emozionale: è esperienza vocazionale, neo-tribale, da “comunità inoperosa”, come direbbe Jean Luc Nancy.

Il progetto di Chiara Mu è dunque la messa in scena di un conflitto tra due dispositivi di movimento, l’uno accogliente ma astraente, denaturalizzante, e l’altro senziente, autocoscienza incarnata. L’uno è perciò critica dell’altro, svelamento del suo funzionare, discorso su modi di essere e su stili di vita. Alla fretta del Moderno, all’uomo ad una dimensione, unidirezionale, nel senso datogli da Herbert Marcuse, l’altalena contrappone il ritardo, la sospensione, la memoria, la fantasia, come dispositivi che trasformano in esperienza altra ogni spazio che li ospiti. Solo tenendo insieme i due momenti possiamo abitare il mondo come una fabbrica di cioccolato.
Luisa Valeriani

''Istruzioni per l'uso'', performance a cura di Simona Amendola
(a ripetizione fino a fine serata)
Testo critico di Luisa Valeriani

Vernissage: 6 novembre 2008 ore 18.30

Lift Gallery
via Pasquale Tola, 42 - Roma
Orario: libero (eccetto le ore notturne)
Biglietti: free admittance

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