Zelle Arte Contemporanea
Palermo
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Due eventi
dal 19/12/2008 al 9/1/2009
lu-sab 17-20

Segnalato da

Zelle Arte Contemporanea




 
calendario eventi  :: 




19/12/2008

Due eventi

Zelle Arte Contemporanea, Palermo

La furia del mondo.La personale di Cosimo Piediscalzi presenta opere dove le textures cromatiche sono limitate ad alcuni dettagli ed assumono una forza espressiva inedita. Inoltre primo appuntamento con 'La casa dei poveri', un progetto che indaga la complessita' dell'approccio al mezzo filmico, a cavallo tra video arte, cinema d'animazione, documentarismo, linguaggi tradizionali e inclinazioni sperimentali.


comunicato stampa

La furia del mondo
text: Davide W. Pairone

Il mondo visibile è mutevole. Inafferrabile nei suoi movimenti ora sinuosi ora epilettici, nelle sue sfumature, nei suoi contorni. Ecco perché Cosimo Piediscalzi, portatore sano del virus postmoderno, rinuncia a parlare del mondo che vede ma non a decifrare il mondo che sente. Lo sguardo infatti tradisce, mentre la sensibilità coglie sfumature al di là delle apparenze e può domare (o esaltare) la furia del mondo.

In verità quando pochi anni fa Piediscalzi ha ripreso in mano colori, matite (e colla, e pennarelli a spirito, trucioli, smalti, acrilici, pastelli e chissà quante altre brico/diavolerie) ha tentato la via politica della denuncia e dell'ironia. L'abilità compositiva messa al servizio dell'anima bella e indignata si muove inizialmente nel campo della caricatura, le derive grottesche e fumettistiche neutralizzate dall'equilibrio dinamico dei colori, raptus immediato dello sguardo. Ma i lavori esposti oggi a Palermo seguono un'ispirazione diversa, più matura e raffinata. Disegno e colore come sempre solidali, ma ora le textures cromatiche sono limitate ad alcuni dettagli delle composizioni ed assumono forza espressiva inedita, mentre prima erano perlopiù motivi ornamentali e decorativi. Ad esempio nei due Autoritratti a letto il colore riempie di vita coperte e lenzuola ma non i volti delle figure.

I tessuti e le stoffe si muovono come se fossero animati, fioriscono e vegetano come in simbiosi con il Piediscalzi ritratto, proteggendolo dal grigio mondo esterno che rischia di contaminare la poetica dell'artista. Egli trova allora rifugio nei cappucci delle felpe che modulano la verve misantropica dell'artista, come se fosse ormai possibile erigere barricate e contestare i modelli sociali solo dalla dimensione intima e privata del proprio abbigliamento, anzi dal nodo decisivo del proprio letto. Un giaciglio che è l'ultima barriera tra il fuori e il dentro, che evoca la malattia e la convalescenza, la sofferenza accennata nelle espressioni dei volti. Piediscalzi eccelle infatti nella ritrattistica, nel sacro lampo degli sguardi che annichiliscono lo spettatore perché carichi di mistico e sovrumano distacco, nella sontuosità bizantina delle barbe arricciate e dei capelli. Ritratti e autoritratti sembrano dedicati ad una casta sacerdotale prossima alla santità, come nell'ex voto dedicato a Leeza Hooper o anche quando gli occhi di Peppino si sottraggono allo spettatore in una sorta di martirio della sensibilità.

L'ironica e sconclusionata hybris mediterranea di Piediscalzi ha subito un duro colpo quando l'artista si è trasferito dalla natia Sicilia, giungendo nel freddo nord padano e assorbendo un mood riflessivo, ombroso, quasi mitteleuropeo. Un'espressionismo minimo, dunque, ulteriormente lim(it)ato nell'Autoritratto asociale con cappuccio: la distanza fra lo sfondo e la figura è massima, perché l'isolamento dell'artista è privo di colore, mentre il caos cromatico alle sue spalle minaccia di invaderne l'intimità. L'Autoritratto (pronto per uscire) invece mostra l'assurdità proliferante della moda, con un maglione geneticamente modificato e biomorfo che prende il sopravvento sull'uomo, lo avvolge in spasmi grotteschi, lo deforma nelle anatomie.

Il confine fra dentro e fuori è sempre più sottile, soprattutto quando si tratta di uscire di casa, di esporsi al caos irrazionale della società. Piediscalzi si barrica dentro queste armature di stoffa (che siano sciarpe, maglioni, berretti o cappucci) per salvaguardare i confini del proprio corpo e della propria sensibilità. Ma anche questo è un vicolo cieco: nell'Autoritratto Anseren la trama della maglia sembra proliferare come un virus visto al microscopio, come cellule (t)umorali impazzite che hanno assorbito la malattia dal mondo inquinato. L'unico modo allora di affrontare la dimensione dell'altro da sé è armarsi di una grossa mazza chiodata, anche quando l'esterno appare come una rassicurante distesa di giallo/sole.

I am not like you, continua a ripetere Piediscalzi, segnando la distanza fra l'eccezione artistica e la quotidianità banale. Eppure proprio la quotidianità emerge con forza e serenità nella recente serie di nature morte. I contrasti sono finalmente smorzati da una sensibilità inedita che coglie l'oggetto nella sua neutralità assoluta. Il demone forse non è nell'assurdità del mondo ma nello sguardo aspro dell'artista che, domato ma non sconfitto, coglie la poesia nella normalità estrema eppure metafisica di una tazzina di caffé. Gli oggetti non spaventano più, semmai affascinano nella loro imperturbabile, astratta indifferenza. Non è un caso quindi se i colori non sono più psico-acidi ma delicatamente velati e allo stesso tempo materici. Proprio la materia, l'enigma della semplice Cosa di fronte allo sguardo permette lo sviluppo di una nuova sensibilità, leggera e compiuta ma mai pacificata. Perché il mondo, al di là della pura rappresentazione, è un eterno guanto di sfida. Un guanto magmatico e colorato, oppure pallido e misterioso, proprio come lo disegnerebbe Cosimo Piediscalzi.

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LA CASA DEI POVERI. VIDEO SCREENING

Un progetto volto ad indagare la complessità dell'approccio al mezzo filmico, indagando i mille dissestati percorsi a cavallo tra video arte, cinema d'animazione, documentarismo, linguaggi tradizionali e inclinazioni sperimentali. Un ciclo di proiezioni negli spazi di Zelle Arte Contemporanea all'interno del settecentesco Palazzo Patricolo.

"La casa dei poveri" fu il titolo che Marco Ferreri desiderò per la sua ultima pellicola firmata nel 1996 (a detta dello stesso Ferreri al cinema andavano soprattutto loro, i poveri), un crudele e sincero omaggio al cinema, un magico contenitore di aneddoti capaci di ricostruire una storia. Il film è "Nitrato d'argento". Ed è con questo testamento che Ferreri mostra quanto il mezzo filmico sia protesi egoica, quanto sociale. Basti ricordare alcuni frammenti. La fermezza con la quale Vittorio De Sica si impegna a far piangere a qualunque costo il bambino Enzo Stajola in "Ladri di biciclette", o il volto di Ingrid Bergman in "Stromboli" proiettato sugli avventori di una pizzeria, o ancora, quel ragazzo che assistendo alla proiezione di un film di Rossellini esclama "Il cinema non è arte, è una funzione, come cacare e mangiare…".

Pochi esempi sottolineano quanto l'immaginario cinematografico abbia, in maniera inequivocabile, fornito sostentamento ai territori confinanti e quanto l'esigenza di diversificare le nicchie produttive sia un espediente di comodo. Così la nostra "casa dei poveri" è un corollario di immagini capaci più che di narrare, di sedimentare, travalicando storie, regie, interpretazioni. Una "perfezione cristallina" al di fuori della quale tutto diventa paesaggio, invenzione scenografica che non lascia sottintendere nessun fuori, visibilità percettiva al limite tra il non più vita e il non ancora morte, capace di restituirci una sorta di staticità funerea, un banco di prova sul quale testare frammenti di realtà possibili, sottraendo o sostituendo elementi, situazioni, personaggi, allontanandoli da noi in maniera irrazionale così che appaiano distanti da ciò che ci appartiene e inevitabilmente fa parte del nostro mondo, ma che per un istante sembra appartenere soltanto allo schermo. Tipicamente sublime quindi, nell'esaltare tutto ciò che intercorre tra la propria finitezza e la dismisura degli universi raccontati, nel mettere in scena la morbosa fascinazione per ciò che sfora dal perimetro di un monitor.

Effettistica (post)romantica in grado di (ri)produrre un radicato senso d'appartenenza. Cascami visuali da teenager movie, dove i tempi narrati coincidono con quelli vissuti così da creare in laboratorio porzioni di memoria, ricordi fittizi che ci sorprendono inebetiti. Così nel bieco tentativo di sostituirsi alla vita, la narrazione si palesa come parabola della pura illusione di movimento, finendo per declamare una terribile e sublime dichiarazione d'impotenza di fronte all'inarrestabile flusso di immagini prodotte dallo scorrere della vita.

Impotenza che la TV è in grado di sublimare, totem casalingo capace di veicolare dettagliati immaginari ritagliati su fluorescenti chroma-key, esplorando il luogo di formazione dell'immagine come fosse il luogo di formazione della vita in una sorta di tragica rappresentazione parodistica. *
Palesemente, non è un'analisi dei territori, dalla televisione, al cinema, alla video-arte, né di come tutto ciò venga canalizzato, l'analisi coinvolge la genesi, il reticolo astratto sottostante le storie. La capacità di ispessire il tessuto connettivo caricandolo di rimandi, soluzioni, dettagli. **

Chiarificatore, seppur impegnativo, il tentare di sezionare singole inquadrature in infinitesime porzioni di spazio (o di flusso temporale) in cui vorremmo cogliere i segni della nostra presenza, una prova tangibile, sensibile della nostra esistenza, della nostra appartenenza alle vicende narrate. Ed è il dettaglio a fungere da collante, citando Billy Wider "Il piccolo dettaglio che fa sembrare vero", quello capace di stimolare il senso d'adeguamento a situazioni esclusivamente filmiche, un dettaglio che non è da identificare nel virtuosismo della ricostruzione, bensì nella costruzione del progetto. Dinamiche capaci di definire illusoria l'autonomia di mezzi e d'intenti, ponendosi puntualmente votate ad un andazzo circolare, fuggendo, con più o meno consapevolezza da direzioni univoche ed elitarie.

*E' un concept-show come "Stryx" (1978) diretto dal compianto Enzo Trapani a distinguersi per la capacità di generare e testare universi impossibili, inglobando e scardinando le classiche dinamiche televisive per poi risputarle in un musical a cavallo tra eros e satanismo favolistico.

**Esemplare in questo senso, "La notte" (1960) di Michelangelo Antonioni, dove la splendida fotografia di Gianni Di Venanzo esalta le mani di un'ineccepibile Monica Vitti, sorprendendole nel muoversi spastico chiudendo una bottiglia, nel dispensare una carezza, nell'inerpicarsi verso mille direttrici giocando con le dita come tanti Mikado, un gioco distratto, sommesso. Elegante catalizzatore e illuminato corredo di scena.

VIRGILIO VILLORESI / J /
MESSA IN SCENA E ANIMAZIONE/ Carlo Cossignani. Virgilio Villoresi
SCENEGGIATURA/ Luca Ghedini
SCENARIO/ Vivì Ponti. Viriglio Villoresi
COLONNA SONORA/ Andrea Martignoni
PIANOFORTE/ Paola Samoggia
J/ Giacomo Fava
REGIA/ Virgilio Villoresi

1 Step/ Opening 20 Dicembre 2008 h. 19

Zelle Arte Contemporanea
via Matteo Bonello, 19 - Palermo
Orari: dal lunedì al sabato dalle h.17.00 alle h.20.00
Ingresso libero

IN ARCHIVIO [59]
Daniele Franzella
dal 4/6/2013 al 29/6/2013

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