Le Ali di Dio. Attraverso video, fotografie e sculture, l'artista franco-algerino indaga temi di grande attualita'. Usando un linguaggio scarno e diretto, Abdessemed racconta una realta' fatta di violenza e da' voce ai disagi provocati dalle differenze di genere, di religione o di provenienza sociale e geografica, mostrando una societa' contemporanea fatta di prevaricazione e aggressivita'. Costruisce messe in scena di ferocia rimandando alla cultura del terrore e della paura propria di ogni guerra. A cura di Francesco Bonami.
A cura di Francesco Bonami
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta Le Ali di Dio, la prima mostra
personale in Italia dell’artista franco-algerino Adel Abdessemed (Costantine, 1971).
La mostra, a cura di Francesco Bonami, prende forma attraverso video, fotografie e
installazioni dai contenuti potenti e dalla carica eversiva.
Dall’inizio della sua carriera, l’artista si è infatti guadagnato l’etichetta di enfant terrible, per
le sue opere talvolta scioccanti ad alto contenuto di controversia, spesso su temi nevralgici
quali sesso, religione e politica.
Usando un linguaggio scarno e diretto, Abdessemed racconta una realtà fatta di violenza e
dà voce ai disagi provocati dalle differenze di genere, di religione, di provenienza sociale e
geografica, mostrando una società contemporanea fatta di prevaricazione e aggressività.
Costruisce messe in scena di ferocia, opere di forte impatto visivo ed emozionale,
rimandando ad una cultura del terrore e della paura propria di ogni guerra.
Il protagonista del video Trust Me, 2007 è il cantante David Moss che impersona un
vampiro mentre intona differenti inni nazionali. Sempre Moss in Hot Blood, 2008 indossa
un naso da pagliaccio e canta: “I am a terrorist, you are, you I, am I am I a terrorist?”.
Argomenti centrali del suo lavoro sono l’integrazione, il razzismo, la sessualità e il
superamento dei forti tabù imposti dalle religioni che egli interpreta in modo trasversale,
attraverso tutti i mezzi espressivi, dal video alla fotografia, dal disegno alla pittura, dalla
performance all’installazione. Sveste una giovane donna musulmana, versa il latte su un
viso di pelle nera, registra esperienze di libertà amorose in pubblico.
La ferocia dell’animale o la violenza che l’uomo riversa sull’animale sono temi molto
presenti nel suo lavoro. Abdessemed porta e fotografa sulle strade di Parigi animali
selvaggi provenienti dal Nord Africa, talvolta pericolosi, come cinghiali (Sept Frères,
2006), un serpente (Zéro Tolérance, 2006), un leone (Séparation, 2006).
Mentre nella video-installazione Don’t Trust me, 2008, sei video riprendono altrettanti
animali colpiti a morte, documentando le pratiche ancora diffuse nei macelli della
campagna messicana.
Pur rappresentando una forma di impegno politico, di resistenza ai limiti, l’opera di Adel
Abdessemed riporta a rappresentazioni suggestive e intense della vita reale, trasmette
l’instabilità propria del terrore, creando una forte tensione tra l’estetica delle immagini e la
violenza delle idee che queste sottendono, come in Practice Zero Tolerance
(renversée), 2008 in cui compare il calco in terracotta della carcassa di un’auto,
carbonizzata e riversa su un fianco.
Progetto di mostra
La mostra si concentra su un nucleo di opere recenti che indagano i concetti di identità,
potere e terrore nella società contemporanea. Tramite una pluralità di media, dal video alla
fotografia alla scultura, Abdessemed osserva il rapporto tra l’immagine e la realtà, una
realtà che è fatta di violenza e prepotenza, di affermazione di una verità sopra un’altra, di
prevaricazione di un’identità sopra un’altra. L’appartenenza a una nazione, a una fede, a
un’ideologia sono analizzati come mezzi per l’esercizio di una violenza globale. Così nel
video Trust Me, 2007, Abdessemed riprende il cantante David Moss che, nelle vesti di un
vampiro, intona un canto lamentoso che mescola in un unico motivo differenti inni
nazionali, da quello russo a quello tedesco a quello statunitense fino all’Internazionale
Comunista. Lo stesso Moss, stavolta con un naso da pagliaccio, è protagonista di Hot
Blood, 2008, in cui la frase cantata evoca lo spettro contemporaneo più diffuso: “I am a
terrorist, you are, you I, am I am I a terrorist?”. Il confine fra sé e l’altro, che viene segnato
su linee di identità nazionale o religiosa, produce l’altro come nemico e dà origine al senso
di una minaccia diffusa.
L’idea di paura abita molte delle immagini in mostra: se il terrorismo è oggi la forma di
guerra più presente nell’immaginario collettivo, la paura è lo strumento stesso della
violenza, un’arma che agisce più sulle coscienze che sui corpi. E se il terrore è l’icona
della condizione contemporanea, l’orrore sembra essere la cifra delle immagini che ci
circondano, che ci arrivano tramite i media dai lontani e vicini teatri di guerra. Una serie di
fotografie documenta interventi realizzati nella strada di fronte al proprio studio parigino, in
rue Lemercier, dove Abdessemed ha portato dal Nord Africa animali selvaggi, talvolta
pericolosi, come cinghiali (Sept Frères, 2006), un serpente (Zéro Tolérance, 2006), un
leone (Séparation, 2006). L’opera evoca l’idea dello sradicamento, della sofferenza
causata dall’abbandonare il proprio habitat, sia esso naturale o culturale, ma anche mette
in scena la paura che lo straniero sente e allo stesso tempo provoca. Il parallelo uomo-
animale è un tema ricorrente di questi lavori, una metafora che ritorna nella video-
installazione Don’t Trust me, 2008: sei video ritraggono altrettanti animali che vengono
colpiti in testa da un martello. Benché l’informazione esterna all’opera renda chiaro che la
scena, girata in un mattatoio messicano, si limiti a documentare una pratica consueta e
banale, la macellazione degli animali ai fini del commercio e del consumo di carne, la
violenza diretta e apparentemente immotivata dei video è sconvolgente. Tramite questa
opera l’artista mette alla prova la nostra consuetudine alle immagini dell’orrore, della
violenza, della morte.
Con una logica simile altre opere in mostra si ispirano a figure ricorrenti dell’immaginario
mediatico del terrore. Practice Zero Tolerance (renversée), 2008 è il calco in terracotta
della carcassa di un’auto, carbonizzata e riversa su un fianco: l’opera richiama i disordini
della banlieue parigina, la guerriglia urbana, la distruzione degli oggetti e dei corpi che è il
risultato di politiche repressive così come del rifiuto all’integrazione e alla convivenza
pacifica. La politica della tolleranza zero è in primo luogo una pratica, la scelta, che
compiamo quotidianamente, tra un atto di distruzione e, invece, uno di creazione. In
questo consiste anche la responsabilità dell’arte, secondo Adel Abdessemed.
Per realizzare la serie delle foto di strada Abdessemed ha affittato il marciapiede di fronte
al proprio studio di Parigi, in rue Lemercier. Le foto documentano quelli che l’artista
chiama atti, a sottolineare il carattere politico di questi interventi, piuttosto che quello
teatrale che spesso si associa al termine performance.
Mes amis, prima opera della serie, ritrae Julie, moglie e collaboratrice di Abdessemed,
che passeggia abbracciata a uno scheletro umano a grandezza naturale, offrendo una
sbirciata ironica sul classico connubio amore e morte. In Kamel è il mercante di
Abdessemed, Kamel Mennour, ad essere colto in un atto di raggiro ai danni dell’artista,
depredato e tradito dal gallerista/borseggiatore. La madre dell’artista, Nafissa, è invece
evocata come figura di totale supporto, e di abbandono fiducioso, per quanto inquietante
data l’età del figlio, che viene portato in braccio per la strada. La moglie Julie ritorna in
Anything can happen when an animal is your cameraman nei panni di una sposa che
riceve l’anello da un gorilla. Questo è chiaramente un uomo travestito, ma nel gioco del
mascherarsi, così come nella figura dell’animale geneticamente più vicino all’umano,
emerge un tema caro all’artista, quello del labile confine uomo/animale.
L’animale come metafora viene direttamente indagato nel gruppo di atti in cui l’artista, con
l’ausilio di esperti domatori, ha portato sul suo marciapiede una serie di animali provenienti
dal Nord Africa. I cinghiali, il serpente, il cavallo brado e il leone sono catapultati in un
contesto altro e ostile, quello della città contemporanea, e raffigurano le ambiguità dello
status di apolide, di soggetto che, pur essendo quello debole, vulnerabile,
paradossalmente è colui che incute timore per la sua estraneità.
Adel Abdessemed nasce nel 1971 a Costantine in Algeria dove nel 1992 si verifica il colpo
di stato militare. Nel 1994, lascia il suo paese e si trasferisce in Francia. Oggi vive e lavora
a New York.
Immagine: Zéro Tolérance (Tolleranza zero), 2006. C-Print, 50.8 x 66.7 x 5.7 cm
Catalogo: prodotto dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Testi di Francesco Bonami, Edi Muka, Douglas Gordon
Ufficio Stampa:
Angiola Maria Gili 011 3797610 angiola.gili@fondsrr.org
Silvio Salvo 011 3797632 silvio.salvo@fondsrr.org
Inaugurazione 11 febbraio 2009 dalle 19.00 alle 21.00
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
via Modane, 16 Torino
Orario:
Da martedì a domenica dalle 12 alle 20.
Giovedì dalle 12 alle 23. Lunedì chiuso.
Biglietti:
Intero € 5 , Gruppi € 4, Ridotto € 3