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Juliet Anno 20 Numero 105 dic 2001/gen 2002



Operazione a cuore aperto

Emanuela De Cecco



Art magazine
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Stefano Arienti, Diorami 1997. In Subway a cura di R. Pinto metropolitana milanese

Liliana Moro, installazione Galleria Emi Fontana, 2001

Luca Vitone, Wide City, mostra al Progetto Giovani di Milano 1999

Zingonia nasce alla meta' degli anni Sessanta per volere del finanziere Remo Zingone come citta' utopica per i lavoratori, modello della modernita' scesa in terra dove ben cinquantamila persone avrebbero dovuto trovare supporto lavoro, alloggio e divertimento dislocati nella stessa area. Zingonia, Italia, Brasilia nei sogni, profondo nord di fatto, e' stata promossa da chi l'ha costruita come approdo capace di dare concretezza al desiderio del proletariato che sognava di diventare classe media e integrarsi definitivamente nel sistema industriale in crescita dell'Italia felice del cosiddetto boom economico. Zingonia che non resiste all'Austerity, abbandonata dal suo deus ex machina all'inizio degli anni Settanta prima che fosse troppo tardi (per lui), Zingonia che non compare sulla carta geografica, che si estende sul territorio di cinque comuni, da segno del progresso diventa deposito e oggi vive una seconda vita con i problemi di sempre ma con una situazione diversa rispetto al progetto di partenza. Alcuni dei gioielli di allora sono fatiscenti: il Grand Hotel cade a pezzi e, tra le macerie, s'intravedono i decor dell'interno, la sensazione è che sia passato un secolo. È cambiato tutto, compresa la popolazione: dopo l'ondata di migrazione interna degli anni Sessanta, a partire dagli anni Ottanta Zingonia è uno dei primi approdi per gli extracomunitari della zona. La comunità senegalese qui ha già una storia, via via arrivano altri immigrati, ci sono ancora dei fantasmi. Fabbriche e fabbrichette procedono a pieni giri, trovare lavoro qui non è un problema. Zingonia di oggi si presenta come molti un quartiere popolare, un posto anomimo, genericamente periferico, la cui identità attuale lascia affiorare le tracce nostalgiche del passato, la grande fontana con l'obelisco spaziale di rappresentanza stringe il cuore, le torri sono cadenti ma abitate e tutte in piedi, di nuovo c'è il campo da calcio dell'Atalanta e le camere iperbariche.
In questo microcosmo si concentrano e si stratificano la storia italiana, una storia più ampia di speranze moderne e la realtà attuale più invisibile a occhio nudo poiché è composta da relazioni e convivenze complesse tra residenti e popolazioni immigrate, diverse lingue, diverse culture. Qui ha preso corpo il progetto Arte e integrazione multiculturale. Con la storia recente sullo sfondo e i piedi saldi nel presente, Stefano Arienti, Gennaro Castellano, Liliana Moro e Luca Vitone hanno gestito per circa un anno dei laboratori con i cittadini immigrati residenti che nella fase centrale hanno avuto sede in un capannone industriale di Zingonia.
Non è facile tracciare un primo, provvisorio, bilancio di un progetto dove la dimensione dell'esperienza ha giocato un ruolo fondamentale e dove è stata avviata una macchina che speriamo riesca a innescare altri ingranaggi, sono convinta che in futuro saranno necessarie ulteriori riflessioni. Il risultato evidente di quanto è accaduto sono i lavori realizzati dagli artisti coinvolti, ma prima di arrivare lì sento la necessità di dire che il primo passo per orientarmi è stato dare voce ai protagonisti, mettere insieme i tasselli, incrociare visioni dello stesso soggetto da più punti di vista, procedere ascoltando.
Ecco che, dopo qualche mese da detective, vorrei sottolineare alcuni aspetti del lavoro svolto.
La prima osservazione riguarda l'interazione delle forze in campo. Se il sistema dell'arte funziona come un campo di forze dove i protagonisti sono dei vettori, la configurazione che emerge dal progetto di Zingonia ha caratteristiche particolari anche in questi termini. La rete che si è sviluppata attorno all'idea di partenza di Gennaro Castellano, ha visto aggregarsi diversi soggetti nella possibilità che ognuno portasse un contributo in vista di un obiettivo comune. La vicinanza delle istituzioni, la collaborazione a procedere lungo un percorso aperto di cui all'inizio erano chiari i presupposti ma in nessun modo definiti i risultati, da parte dell'amministrazione locale, è segno di una condizione non consueta. Sempre di più la committenza che a sua volta deve rispondere verso terzi, il cliente nel caso di uno sponsor privato, il cittadino nel caso di un committente pubblico, tende a esercitare una forma di controllo sui risultati, a ridurre i fattori di rischio, a lavorare perché la comunicazione sia facile e immediatamente comprensibile. L'attenzione al processo non è molto di moda. Anche la propaganda si è evoluta e oggi s'insinua in forme sempre più sottili, sempre meno si è disposti ad accettare di giocare al buio e a fidarsi di ciò che non si conosce non perché sia un'incognita voluta, ma semplicemente perché non si può avere la cognizione di quale possa essere il risultato di un'esperienza. In questo caso il buio di partenza aveva come controparte la qualità del lavoro svolto fino a ora dagli artisti coinvolti e la pertinenza dei progetti, ma certo non è facile che una valutazione condivisa dagli addetti ai lavori diventi una garanzia per chi non ha frequentazione diretta con l'arte. Far accettare questo dettaglio, un dettaglio si fa per dire, visto che questo passaggio è "la differenza", è stato il compito delicatissimo che ha svolto Antonella Annecchiarico, Direttrice generale dei lavori del Comune di Ciserano. Questo passaggio ha avuto un peso rilevante nella riuscita del progetto e lo ha anche in termini più ampi poiché il dialogo con il Sindaco si è svolto su un piano dove i punti di vista in gioco sono i punti di vista sui quali si gioca il cuore del dibattito delle relazioni tra l'esigenza di chi ha responsabilità politiche che da un lato deve affrontare e rispondere a una serie di elementi concreti, dall'altro crede nell'importanza di dare dei segnali sul piano culturale, arte inclusa. Il punto delicato è proprio questo e da qui si arriva a un altro nodo centrale dove le domande si moltiplicano anche perché se da un lato è evidente come sempre di più la comunicazione diretta con l'arte. Far accettare questo dettaglio, un dettaglio si fa per dire, visto che questo passaggio è "la differenza", è stato il compito delicatissimo che ha svolto Antonella Annecchiarico, Direttrice generale dei lavori del Comune di Ciserano. Questo passaggio ha avuto un peso rilevante nella riuscita del progetto e lo ha anche in termini più ampi poiché il dialogo con il Sindaco si è svolto su un piano dove i punti di vista in gioco sono i punti di vista sui quali si gioca il cuore del dibattito delle relazioni tra l'esigenza di chi ha responsabilità politiche che da un lato deve affrontare e rispondere a una serie di elementi concreti, dall'altro crede nell'importanza di dare dei segnali sul piano culturale, arte inclusa. Il punto delicato è proprio questo e da qui si arriva a un altro nodo centrale dove le domande si moltiplicano anche perché se da un lato è evidente come sempre di più la comunicazione, il dialogo, la dimensione culturale giochino un peso fondamentale anche in ambiti altri e per loro natura destinati a confrontarsi con problematiche più concrete, penso all'economia, alla scienza, alla politica, dall'altra è il piano della concretezza che è mutato e mi sembra altrettanto chiaro che l'immaginario abbia acquisito oggi un legame stretto con la realtà difficilmente contestabile.
La situazione si complica quando scatta l'emergenza e il procedere lento di chi ragiona secondo tali parametri suscita diffidenza poiché ha tempi troppo lunghi, richiede un surplus di attenzione che in certe situazioni non ci si può permettere. Un paragone che può avere qualche attinenza è il rapporto tra la medicina tradizionale e la medicina naturale. Sono sempre di più le persone che ricorrono a quest'ultima e siamo tutti sempre più consapevoli che le medicine curano ma possono anche può produrre danni. Se però insorge un'infiammazione acuta, sono spesso le stesse persone a dimenticarsi tale consapevolezza e a si lanciarsi con altrettanta determinazione tra le braccia più rassicuranti della chimica.
Ecco allora che il segnale importante che riceviamo da questo progetto è - ammesso che il corpo da curare sia il territorio - il mantenimento di un atteggiamento vicino alla medicina naturale, il mantenimento da parte di tutte le forze in campo della fiducia nel processo senza cadere nella trappola di volere tutto e subito spinti dal voler conseguire un risultato risparmiando il tempo necessario per fare crescere quanto seminato. Tale passaggio, che ripeto può apparire marginale, è in realtà ancora una volta espressione di una differenza forte anche in relazione al sistema dell'arte che oggi appare, analogamente a molti altri ambiti, sempre più interessato a portare a casa un risultato e dunque sempre più costretto dalle proprie stesse regole a procedere in modo autoreferenziale rischiando, nell'ansia di non perdere tempo, di svuotarsi di senso.
Un'altra riflessione riguarda un punto centrale del dibattito sull'arte di oggi vale a dire l'esigenza di mantenere aperto il confronto tra l'arte e il pubblico. Tale attitudine è sentita al punto tale che sono molti i segnali che ci portano a leggere uno spostamento per esempio della politica dei grandi musei sul piano dell'intrattenimento. Aumenta il tempo libero, perlomeno nelle società del capitalismo avanzato, aumenta la richiesta d'intrattenimento che ha regole e tempi ben precisi: la legge del tutto e subito, del divertimento e dell'immediatezza provenienti dal linguaggio pubblicitario sono il metro con cui si capisce quali siano i segni che hanno la potenzialità di entrare in circolo senza disturbare troppo la coscienza del visitatore/turista anche negli ex tempi sacri dell'arte. È una situazione complicata che appare più segno di una tendenza diffusa che espressione della volontà di pochi e pertanto non è facile immaginare una controproposta di analoga efficacia. Certo è che una risposta, se pur in scala ridotta (o forse più precisamente grazie all'essere in scala ridotta) che nasce e si sviluppa con l'intenzione di produrre un'esperienza aperta a tutti coloro che si rendono disponibili (che consiste anche nello stare in un posto come nel percorso di Luca Vitone), con la ricerca di un confronto con l'identità (come avviene nel procedimento avviato dal lavoro di Stefano Arienti) con le modalità con cui avvengono le scelte rispetto a quanto offre la realtà (Liliana Moro) o con l'affermazione del desiderio di presenza e visibilità (l'autoritratto collettivo di Gennaro Castellano) è una risposta che sposta l'asse della questione in una direzione di segno differente.
Emerge una sorta di terza via che scarta da un lato il rischio di autoreferenzialità, dall'altro non cede al ricatto della proposta del divertimento collettivo a tutti i costi come unica possibilità di comunicare con il pubblico. Va aggiunto che in relazione anche a un'idea mutata di pubblico, non è un caso che tutti e quattro i lavori esprimano un'attenzione forte all'intimità, intesa come terreno dove prende forma l'identità dell'individuo. Il lavoro si costruisce, in relazione al desiderio e alla condizione del singolo: il singolo bambino che sceglie di arredare la sua casa nel lavoro di Liliana Moro, la somma dei singoli che vediamo rappresentati nell'autoritratto di gruppo di Gennaro Castellano, i nomi degli abitanti di Ciserano protagonisti del lavoro di Stefano Arienti, lo spazio predisposto oltre che per il gioco per la socializzazione nel lavoro di Luca Vitone. Lontani da ogni tentazione di "curare il territorio" con strumenti non propri, tali interventi non si sovrappongono né alle modalità dirette degli operatori sociali, non fanno ricorso a forme ideologiche né pedagogiche, ma lo scarto che anche su questo versante suggeriscono è il restare aderenti ciascuno al linguaggio di chi lo ha pensato, con una declinazione che prevede una forma di accoglienza dell'altro senza il quale non solo il lavoro non avrebbe senso ma non avrebbe potuto neanche essere mai nato.
Tali piani di lettura solo in sede di analisi possono essere provvisoriamente separati, in realtà sono decisamente interconnessi tra loro oltre che presenti e stratificati in ciascuno dei lavori ed è questo il segno complessivo del lavoro svolto a Ciserano e che dunque suggerisce naturalmente una possibilità alternativa reale in quanto vissuta sia alla modalità dominante di entrare in relazione con il pubblico esterno al mondo dell'arte - il pubblico attivamente coinvolto nel progetto con il quale gli artisti hanno condiviso il periodo dei laboratori e il pubblico generico di visitatori che viene a vedere i risultati e al quale si chiede di capire e rendersi disponibile a mettere a fuoco alcune domande. Saper comunicare emozioni e sedurre fortunatamente non vanno sempre di pari passo.
Vorrei concludere con un'ultima riflessione a proposito del ruolo che la dimensione del tempo, come accennavo in apertura, gioca in tutto il percorso svolto e che ha una rispondenza precisa anche nei quattro i lavori che di questo percorso sono testimonianza.
Il tempo è l'elemento da cui prende il via il lavoro di Gennaro Castellano, la voce narrante recita infatti un passaggio delle storia di Tom Sawyer dove il protagonista riesce, giocando sulla comunicazione, a coinvolgere gli amici a trascorrere parte del loro tempo libero con lui e a dargli una mano a portare a termine il lavoro. Trascorrere del tempo insieme con un obbiettivo comune, è proprio uno degli elementi centrali sia dello specifico lavoro di Gennaro Castellano - che ha preso forma di un autoritratto dei partecipanti stessi al laboratorio - ma è anche quello che più in generale è accaduto in questo contesto.
In altra forma lo stesso vale per il lavoro di Luca Vitone che con lo sguardo attento a cogliere gli elementi originari e aggiunti di Zingonia - tre le tappe del percorso vi sono le capanne senegalesi, le sedute/carte da gioco bergamasche ma anche un punto di vista capace di offrire uno sguardo complessivo sul territorio - costruisce di fatto dei luoghi dove stare. Il suo progetto si pone come segno delicato nel contesto urbano costituito da una serie di punti dove non accade nient'altro che quello che ha intenzione di far accadere chi ha scelto di starvi. Ancora in una forma differente tale aspetto entra in gioco nel lavoro di Stefano Arienti che prima raccoglie l'elenco dei nomi degli abitanti di Ciserano - elenco che per sua stessa natura rivela cambiamenti di abitudini nel tempo e appartenenza a diverse generazioni oltre che illuminare uno scorcio orizzontale sulla coabitazione di persone provenienti da diversi contesti geografici, poi mette in modo un meccanismo destinato a crescere nel tempo e a modificare l'assetto di partenza su tre livelli: i nomi sono destinati a scomparire e ad aumentare, la progressiva trasformazione del nome in cuscino trasforma l'installazione ingrandendone fisicamente la portata, il cuscino stesso e il tappeto suggeriscono una praticabilità del lavoro che prevede la possibilità che esso diventi anche un luogo dove trascorrere del tempo, stare.
Liliana Moro ha condotto il suo laboratorio in collaborazione con i bambini e li ha invitati a trasformare delle casette di cartone nelle loro case. Il procedimento proposto dall'artista si è volutamente concentrato sul far scegliere ai partecipanti tra un campionario di oggetti, l'attenzione era rivolta all'atto della scelta e al confronto tra i propri desideri e ciò che il mondo offre, in seconda battuta sul condizionamento che plasma dall'esterno i nostri desideri. La scommessa sulla quale si gioca questo lavoro è diretta contemporaneamente al presente e al futuro. Il titolo del lavoro, Ciascuno ha una casa è un'affermazione rivolta all'oggi che sottolinea un diritto materiale che evoca anche il diritto a possedere uno spazio dove poter vivere una dimensione intima, la scelta di coinvolgere i bambini è un segnale rivolto al futuro, un gesto e un'attenzione verso chi svilupperà ancora una volta nel tempo ciò che è stato seminato oggi...
Emanuela De Cecco