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Juliet Anno 20 Numero 110 dicembre 2002



Joseph Kosuth

A cura di Elena Carlini



Art magazine
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Joseph Kosuth, Doppio passaggio, Luci d'artista, Torino 2001

Joseph Kosuth, Tubi al neon, 1968, Museo Castello di Rivoli (To)

Joseph Kosuth, Installazione presso la Fondazione A. Ratti Como, 1995

Bolzano, coerente centro di operazioni artistiche, ha avviato in settembre una serie d'iniziative che hanno portato il pubblico in luoghi speciali della città e del territorio montano. Cominciando da Guida, ultima tappa di una mostra sequenziale che ha coinvolto vari artisti e musei; proseguendo con l'inaugurazione di Archivio di Nuova Scrittura, ossia concettuale, poesia visiva e concreta; per poi incontrare TransArt, una serie maestosa di concerti di sperimentazione artistico-musicale contemporanea; tante manifestazioni sotto la forza propulsiva di Museion. Proprio grazie alla tenacia di questo centro d'arte contemporanea è stato possibile inserire nella minuscola realtà urbana di Parcines, sui ripidi pendii coperti di vigne a mille metri di quota, un'opera di Joseph Kosuth che si inserisce tra le case e le chiese come una calma voce di saggezza. L'ultimo episodio di Guida si articolava in due luoghi e con due artisti: Joseph Kosuth a Parcines presso il Museo Mitterhofer delle Macchine da Scrivere, una delle più vaste collezioni storiche del mondo con oltre mille esemplari e Hamish Fulton a Castel Juval, l'arroccata fortezza di Reinhold Messner a picco sulla vallata a nord di Merano. Alla fine della giornata si parla con Fulton e Kosuth nella rocca a cielo aperto di Juval; in questa pagine viene presentata la parte interlocutoria con Kosuth, successivamente verrà proposta quella con Fulton.

Il linguaggio e le immagini fotografiche coesistono nel tuo lavoro artistico in una dimensione essenzialmente 'non oggettuale' dove concetti, definizioni, rimandi e implicazioni critiche si intrecciano; le fotografie non sono proposte dunque per la loro caratteristica esplicitamente visiva.
- Vorrei precisare che le fotografie non sono più o meno 'visive' del resto del mio lavoro artistico poiché utilizziamo la visione anche per leggere; l'atto della lettura è 'visivo'. Non confondiamo 'visivo' con 'formalistico'.

Eppure hai scelto una delle più interessanti macchine per scrivere del museo Mitterhofer, un modello molto complesso; hai prestato attenzione all'aspetto visivo o scultoreo di quest'oggetto?
- No. Se parliamo a livello puramente formale, ci sono molte altre macchine per scrivere ben più interessanti nel museo di Parcines ma io ho scelto espressamente quest'oggetto perché era quello che usava Friedrich Nietzsche che fu il primo filosofo ad utilizzare la macchina per scrivere. Vi è una memoria o storia della nostra vita intellettuale che pare non essere mai relazionata a ciò che avviene a livello d'evoluzione tecnologica; il pensiero che Henry James fosse il primo romanziere a usare la macchina per scrivere e che Nietzsche il primo filosofo, posiziona la loro attività culturale in una luce che trovo interessante. Si crea una sorta di ancoraggio nella banalità della vita quotidiana che è una delle modalità per demistificare la fase istituzionale di quella produzione di significati. Quando vi sono migliaia di macchine per scrivere devi solo selezionarne una. La macchina per enigmi era un altro apparecchio che m'interessava molto perché pregno di riferimenti e antecedente il computer ma mi piaceva l'idea della percezione che si poteva avere del creatore di significati - Nietzsche - osservando la macchina per scrivere che egli era solito usare.

Dopo il tuo intervento a Parcines è stato interessante ascoltare Hamish Fulton parlare del lavoro nato durante la camminata di 24 ore in montagna assieme a Reinhold Messner e realizzato a Castel Juval. Entrambe le vostre opere coinvolgono il linguaggio e il concetto di memoria ma mentre Fulton, per delineare la sua arte, ha quasi la necessità di appropriarsi della realtà fisica operando direttamente su essa, il tuo approccio è totalmente rimosso da azioni personali o da una memoria individuale. La tua citazione da Nietzsche, posizionata a fianco all'immagine della macchina da scrivere, si riferisce a un mondo in cui gli avvenimenti e la realtà non hanno un valore intrinseco, bensì sono gli uomini ad attribuire valore alle cose, attraverso una costruzione mentale. Negli anni Settanta hai creato un'opera, Practice, che era una serie di poster con delle indicazione nelle quali si richiedeva al pubblico di intervenire personalmente sulla carta, delineando così una prassi ritmica che trasformava l'opera d'arte.
-Innanzi tutto non ritengo tu sia accurata nell'affermare che il mio approccio "è totalmente rimosso da azioni personali o da una memoria individuale". L'arte, come produzione di significato, costituisce di per sé "un'azione personale". Non compiere l'errore di confondere tale 'azione personale' con il fare di te il soggetto del tuo lavoro. Questa è un'attrazione verso le origini moderniste dell'arte dove la tradizione messianica cristiano-giudaica vedeva l'artista come un sostituto di Cristo o uno sciamano. Precisamente questo è il motivo per cui le donne hanno avuto delle difficoltà a operare creativamente nel mondo dell'arte prima dell'epoca del concettuale e della pratica post-moderna: le donne infatti non coincidevano con quel tipo di matrice. Un'artista espressionista femmina è una contraddizione in termini e ne trovi poche, persino nel neo-espressionismo della Transavanguardia. Ad ogni modo io non potrei operare artisticamente senza 'memoria individuale' ma essa non è il soggetto del lavoro artistico. Ritengo che Hamish sia essenzialmente un espressionista nel pensare che ci si debba occupare della sua esperienza - poiché lui è l'unico a vivere l'evento della camminata nella foresta - e il fatto che ciò ritorni come un linguaggio artistico è essenzialmente un ulteriore punto d'inizio per un'arte formalista non molto diversa dall'Espressionismo o da altri programmi culturali modernisti. In un certo senso questo tipo di lavoro utilizza l'arte per istituzionalizzare quella che è un'esperienza personale; vi è una sorta di presunzione nel ritenere che ci si debba interessare alla sua esperienza personale. Ciò che costituì un vero cambiamento nella seconda metà del XX secolo fu il desiderio di abbandonare il programma modernista e rendersi conto che la pratica artistica riguardava essenzialmente la produzione di significati, essendo l'arte sempre 'personale' non era dunque necessario divenire il soggetto del proprio lavoro artistico, il che era possibile attraverso svariate modalità. Dopo il modernismo le tematiche fondamentali non furono di tipo formale. Non stabilimmo priorità e non cademmo nel trabocchetto dell'idea tradizionale d'arte che offre dei significati a priori i quali rendono ardua la sua utilizzazione da parte del singolo artista poiché ostacolano l'operare artistico nella sua attualità. In questo modo si viene a creare l'eliminazione del legame con la realtà che la nuova arte deve avere e una conseguente diminuita autenticità. La forma del parlare e il parlare esclusivamente della tradizione nella storia, non riflettono il lavoro che l'individuo sta compiendo; questa è la grande contraddizione delle osservazioni di Hamish. La verità è che l'esperienza fisica alla quale lui rimandava è solo un punto di riferimento; è un po' come confondere l'esperienza reale con ciò che si è visto in televisione. Si diviene così acritici nei confronti di questa sorta di 'pelle di realtà' presentata dai media che la si confonde con la realtà stessa. Ritengo che vi fosse una problematica fondamentale riguardo l'arte di quel periodo, quando ci rendemmo conto che i mezzi che adoperavamo per il fare artistico erano divenuti opachi e che erano solamente delle rappresentazioni di una forma di autorità. Quell'autorità avrebbe eclissato ogni opportunità di operare significativamente come individuo, vivente in uno specifico momento e interessato a incidere politicamente e culturalmente dimostrando la propria responsabilità. Rispetto Hamish per il suo lavoro, tuttavia egli è al di fuori di ciò che io considero un programma attuale di responsabilità, nell'operare artistico contemporaneo.
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A cura di Elena Carlini