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Juliet Anno 23 Numero 122 aprile 2005



P. P. P. Franco Menicagli

in collaborazione con Patrizia Landi

Intervista a cura di Angelo Bianco



Art magazine
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In questo numero Page Proprieties Project dedica il suo spazio/pagina all'artista Franco Menicagli. La sua ricerca attraversa in maniera originale e trasversale varie discipline artistiche: dall'installazione alla performance, dalla fotografia al video, dall'oggetto "scultoreo" all'immagine virtuale. Vive e lavora a Firenze. L'intervista è il risultato di diverse conversazioni ed è stata realizzata in collaborazione con Patrizia Landi.


Come ha iniziato la sua attività artistica
"La mia attività artistica è iniziata... non mi ricordo! Ho sempre lavorato, ho sempre disegnato, ho sempre fatto delle cose".

Da cosa nasce il suo lavoro artistico?
"Il mio lavoro nasce inizialmente dal design e dall'utilizzo di materiali poveri. In seguito a questo si è aggiunto l'interesse per le nuove tecnologie, il video e i sistemi interattivi. Credo che il maggiore progresso intellettuale dell'uomo, da tutti comunemente riconosciuto, è la tecnologia e che il maggior sviluppo di questa nuova realtà trova la sua massima espressione nell'industria militare. L'ingegneria genetica e la frontiera più avanzata della ricerca scientifica. Per quanto riguarda le tematiche, la mia è un'osservazione non senza critiche e ironia sulle varie espressioni e lo sviluppo dell'essere umano".

Uno dei suoi strumenti di lavoro è lo scotch-nastro... questa pratica mi ricorda molto il lavoro di un altro artista, Thomas Hirshhorn. Quali sono a suo avviso le differenze fra lo scotch nastro di Hirshhorn e quello di Menicagli?
"Lo scotch-nastro di Thomas Hirshhorn funge, a mio avviso, come elemento unificante di elementi eterogenei, di oggetti di affezione scelti dall'artista per un determinato discorso... lo scotch-nastro nel mio lavoro è più uno strumento che ripara o costruisce... proprio come una materia scultorea (anche se molto precaria) e che si contrappone al bronzo o la metallo saldato... anche da questa precarietà insita nel materiale spesso scaturisce la forma".

Molti suoi lavori a primo acchito possono sembrare strutture-base per un futuro lavoro scultoreo e non pezzi finiti.
"Per questo c'è una spiegazione proprio di tecnica artistica: praticamente i miei lavori si fermano a uno stadio intermedio di un processo... il processo di lavorazione della cartapesta che può essere di due tipi o papier mâchè o a strati di carta incollati uno sull'altro e che richiede la costruzione di uno scheletro molto spesso fatto con cartone e scotch-nastro... il risultato di questi lavori è che si fermano a uno stadio intermedio di incompiutezza e precarietà".

Come artista lei lavora anche con il video; come vede la produzione della video-arte?
"La video-arte credo sia un concetto strano, un concetto di mercato oserei dire, atto a giustificare la produzione video nell'arte, perché a mio avviso esiste l'immagine fissa (tridimensionale, bidimensionale, ecc.) e l'immagine in movimento (il video, il cinema). Il video si può utilizzare in tanti modi, si può utilizzare per raccontare, per creare un'immagine. Penso a tanti cortometraggi, a tanto cinema delle origini che se presentato in galleria diventa video-arte".

Ha prodotto anche un cartone animato. Lo considera un cartone artistico?
"Appunto non lo considero! Nel senso che è un lavoro in collaborazione con altre persone. Non so dire se presentato in una galleria è video-arte, e se presentato da un festival diviene un cortometraggio. Dipende dal punto di vista, ma io non costruirei queste categorie".

A proposito di collaborazioni, lei ha avuto molte esperienze di collaborazioni con gruppi di progetto. Che cosa ne pensa del lavoro in èquipe?
"Lavorare in gruppo può risultare molto faticoso perché comunque si devono mediare le proprie posizioni, però allo stesso tempo è molto stimolante perché ogni attore dà il suo contributo, nascono delle idee nuove, cose inaspettate, delle proposte che da solo non avresti mai portato avanti".

Ha operato spesso anche in centri sociali; si ritiene per questo un artista militante?
"Uno lavora nei centri sociali perché sono/erano uno dei pochi luoghi dove è/era possibile fare ricerca. Questo lo penso soprattutto per la realtà italiana: qui i centri sono stati, a metà degli anni Ottanta inizio Novanta, l'unico posto dove poter lavorare sia per lo spazio a disposizione sia perché le istituzioni erano completamente ferme. Nell'aria poi vi era un po' di stanchezza per queste grandi mostre, concorsi pilotati, raccomandazioni... Invece il centro sociale ha visto nascere spontaneamente tutta una serie di realtà legate alle arti visive e soprattutto alla musica, alla sperimentazione, al teatro, molto al teatro. Per cui c'era un'energia piuttosto libera. Poi questo momento positivo è passato come tutte le cose. A me personalmente ha dato molta energia: penso a gruppi teatrali come i Kinkaleri, per esempio, nati nei centri sociali, in campo musicale ad esempi come i 99 Posse o gruppi internazionali come i Fugazi o i Nomeansno che si esibiscono solo nel circuito dei centri sociali. Poi l'auto-produzione di cortometraggi, di lavori anche di alta tecnologia, tutti auto-prodotti e auto-finanziati, che successivamente si sono stati anche inserti in un circuito di mercato".

Quale è il suo rapporto con la città di Firenze?
"Firenze, città dove attualmente vivo, in quanto luogo di interesse storico-culturale, soffre di un'eccessiva attenzione retorica verso l'arte del passato. Questo penalizza lo sviluppo e l'affermazione di progetti artistici di ricerca, che non sempre trovano il luogo e il pubblico che si meritano".

Quale è il suo rapporto con i centri di produzione artistica presenti nella sua città?
"I miei rapporti sono stati inizialmente con i centri sociali, poi con il circuito GAI che mi sembra negli ultimi anni portare avanti un buon lavoro. In seguito con eventi e Festival in spazi pubblici. Quello che sembra mancare di più in questa città è un circuito di gallerie private che concentrino la loro attività sulle nuove proposte e i nuovi linguaggi".

A Firenze da qualche mese ha aperto QUARTER - Centro Produzione Arte, un nuovo spazio per l'arte contemporanea diretto da Sergio Risaliti. Come vede questa nuova iniziativa per la città?
"Come spazio fisico possiamo dire che è terribile, nel senso che quel luogo doveva essere in origine un auditorium quindi come nuova struttura pecca di tutti gli adattamenti alla nuova funzione, però vi è lo spazio principale che si presta bene a un'unica e mega installazione. Per quanto riguarda invece tutta la querelle dell'inaugurazione e dell'irruzione da parte di una ventina di persone che hanno protestato contro il progetto, credo non sia stata una sorpresa... anzi. Quarter occupa l'aerea in cui alcuni anni fa vi era il C.P.A. (Centro Popolare Autogestito) che durante gli anni aveva stabilito con il quartiere un solido rapporto grazie anche alla creazione e autogestione di un piccolo asilo, di corsi di ballo liscio per anziani, di laboratori per giovani artisti, si era risistemato uno spazio a verde (che oggi non esiste più), tutte attività che si andavano ad affiancare alla programmazione di concerti anche molto importanti. Oggi questo nuovo centro per l'arte contemporanea non ha niente a che fare con i gruppi del centro sociale, anche se credo che Quarter voglia conservare questa vocazione "social-cittadina" tramite la produzione, la formazione e la didattica... mi auguro che non siano solo programmi che rimangono sulla carta".

Un'altra realtà toscana a pochi chilometri da Firenze è il Museo Pecci di Prato. Come vede la nuova direzione di Daniel Soutif?
"Dalla sua nomina vi sono state mostre importanti come quelle di Wim Delvoye, Bertrand Lavier, Lo Savio, e si appena inaugurata quella dedicata a Robert Morris, direi che in fondo prevale questo taglio francese. Ha cominciato a funzionare bene anche la Project Room con la presentazione di progetti di Massimo Bartolini e Stefania Galegati, però sono subentrati immediatamente problemi finanziari e quindi l'attenzione si è concentrata solo sui grandi nomi. Direi comunque un panorama rinnovato e dotato di nuova linfa vitale. Poi, a differenza delle direzioni precedenti, il nuovo staff del Pecci, compreso il suo direttore, lo vedi alle inaugurazioni delle gallerie private, a vedere cosa producono i creativie i giovani che lavorano sul territorio. Quindi, al di là dei problemi finanziari dovuti anche ad una condizione congenita a un museo di provincia che non può certo avere flussi oceanici di visitatori, la gestione è migliorata. E stato fatto anche un restyling di alcune parti dell'edificio progettato da Italo Gamberini, è stato ridisegnato il bookshop e la Project Room, è stato dedicato un nuovo spazio alla rotazione dei pezzi della collezione permanente del museo".