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Urban Anno 7 Numero 61 settembre 2007



Il marmo impossibile

Francesca Bonazzoli

Leggero fino a galleggiare, rotondo e morbido come un enorme pneumatico in grado di rotolare da Torino a Milano. È l’inganno della materia di Fabio Viale. Scultore dalla vita romanzesca e dalla mente visionaria





7 editoriale

8 dreams

12 women

14 Tape Performance
di Maurizio Baruffaldi / foto: Giovanni Hänninen

19 Talenti dietro l’angolo
di Lapo Cantucci

20 Con gli occhi del gps
di Maurizio Baruffaldi / illustrazione: Gianpaolo Pagni

23 Taylor made surf
di Andrea Baffigo / foto: Lorenzo the Freshguy/GraziaNeri

26 Il marmo impossibile
di Francesca Bonazzoli / foto: Cesare Cicardini

31 Il cortile di ty’sh
di Ciro Cacciola / foto: Alberto Bernasconi

35 MODA Over the wall
foto: Emilio Tini

45 Animal Shop
di Maria Broch


GUIDA

50 Film Autunno alle porte? Film doc e vino rosso
53 Libri Destinazione parigi
54 Musica Vita da rockstar? Fa fico e non invecchia
57 Teatro La danza senza tema
59 Arte Gemelli che graffiano
61 Nightlife Elettronica di tarda estate? C’è nextech
62 Food Milano Isola vs corso Como: concorrenza leale
64 Food Roma nuovo ‘gusto? Pesce, ortaggi e fantasia
66 Food Torino Per un tavolo in via Provana bis di novità
67 Food Veneto Dolce o salato? Al convivio si mischia
68 Food Bologna Al Voltone la parola d'ordine è melting pot
69 Food Napoli Evaluna: non solo cibo per la mente
71 Unurban Prima e dopo, deserto

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foto: Cesare Cicardini

foto: Cesare Cicardini

foto: Cesare Cicardini

Giorgio Vasari, l’artista che nel 1550 pubblicò Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, era un antipatico adulatore dei potenti, ma anche un uomo fortunato. Gli artisti di cui scrisse ebbero vite affascinanti: infanzie con episodi profetici, decessi per avvelenamenti, follie, fughe, accoltellamenti e ogni genere di avventure. Come niente, ne venne fuori un romanzone alla Dumas di mille pagine, un best seller ancora nel XXI secolo.

Oggi, invece, il mestiere del cronista d’arte è assai meno avvincente. Certo ogni tanto si incontrano ancora personaggi da cui si può trarre qualche pagina epica, come per Franko B., Marina Abramovic o Christian Boltanski, ma quando si passa ai giovani il panorama si appiattisce sui soliti curricula da bravi ragazzi, primi della classe con le consuete gallerie fighette alle spalle, le mostre al P.S.1, le Biennali “alternative” sostenute dal business di case d’asta, musei e soliti critici “giusti”. Basta andare alla Fondazione Ratti di Como, che ogni estate organizza un corso super elitario per giovani artisti di tutto il mondo tenuto da un super visiting professor, per farsi un’idea di che cosa siano diventati gli artisti oggi: monaci. Ne più, ne meno. Si aggirano in stanze pulite e ordinate, senza nemmeno un pezzo di carta in giro, serissimi, ognuno attaccato al suo lap top. La loro sembra più una pratica religiosa che un esercizio di creatività; un raduno di qualche setta new age più severa di un collegio svizzero con le maestre che tirano su gli allievi a minestrine e penitenze. Nemmeno Vasari ne caverebbe una paginetta interessante! Dunque imbattersi in un artista come Fabio Viale, nella periferia di Torino sopravvissuta intatta ai fasti olimpici e a quelli del nuovo corso Fiat, ci ha fatto lo stesso effetto di passare da un mondo esangue e anoressico a uno vero, di carne e sangue.

Le storie da raccontare cominciano subito, appena entri nel suo studio polveroso e ci trovi dentro il Cristo morto della Pietà di Michelangelo, proprio quello che sta a Roma in San Pietro, protetto da un vetro blindato antiproiettile. Solo che nell’opera di Viale è diventato un atto vandalico, asportato come un souvenir dal corpo della Vergine dove ha lasciato un gran buco, come mostrano le foto. Tutto finto, naturalmente, tranne quella magnifica statua di Cristo, che è incredibilmente vera e perfetta. Scolpita con le sue mani. Fabio Viale, infatti, nato nella provincia di Cuneo 31 anni fa, ha fatto niente meno che il falsario, nel senso che scolpiva statue rivendute da un antiquario napoletano come antiche. Roba da far crepare d’invidia Vasari. Tutto cominciò al liceo artistico: vedendo che modellava la creta con facilità, il professore gli mise davanti un sasso di marmo. Il giovane Viale lo spaccò e all’interno scoprì una meravigliosa materia bianca, come di cristallo. E che cosa ne trasse? Una mano che accarezzava l’intimità di una donna. Altro che pecorelle del giovane Giotto! Altro che gli aneddoti di esemplare moralità degli enfant prodige di Vasari! Poi viene l’anno passato a fare il muratore, sognando Milano perché “a Cuneo non c’era niente, nemmeno il cinema. Una situazione agghiacciante che ti fa accumulare una gran voglia di andar via”. Invece l’approdo è all’Accademia Albertina di Torino, dove fra gli insegnanti non ce n’é nemmeno uno che possa essere un vero maestro. Chi gli insegna il mestiere sono un marmista di Carrara e uno di Torino, di quelli che lavorano anche per i cimiteri. Con loro impara a fare restauri e i falsi. Poi entra in gioco un antiquario gay di Torino (e qui la materia passa da Vasari direttamente a Fruttero & Lucentini) che rimane affascinato dal giovane muratore scultore e lo mette in contatto col falsario napoletano. Ma quando il vecchio gay muore per Fabio Viale si apre un nuovo capitolo e conosce il super gallerista newyorchese Sperone. Questi intuisce immediatamente il genio e ora è come se dietro Vanchiglietta al posto del Po scorresse l’Hudson.
“Finalmente non ho più problemi economici. Per dieci anni ho vissuto con lo stress di non avere mai un becco di un quattrino: ogni volta che cominciavo un lavoro, rimanevo a secco perché acquistare un blocco di marmo costa anche diecimila euro, ma ora posso fare tutte le sculture che voglio”.
E ciò che Fabio Viale vuole sono aeroplanini sottili come quelli di carta; incredibili pneumatici che hanno la stessa consistenza gommosa di quelli veri; meravigliosi palloncini aerospaziali; inaudite barche galleggianti con cui navigare i fiumi. Tutto di marmo. Che per Viale è un materiale semplice e tenero come il burro, da forzare fino alla sue massime potenzialità. Ma fare un oggetto non basta. La scultura in sé non conta se non ha una quarta dimensione, ovvero una vita potenziale, una storia. E allora è necessario sfruttare tutte le possibilità delle immagini, utilizzando anche fotografia, film, happening e quant’altro. Come per Ahgalla, il primo progetto che ha dato a Viale visibilità, nel 2002: una barca scavata in un unico blocco di cinque tonnellate di marmo bianco di Carrara. Lunga 250 metri, pesa 253 chili e trasporta fino a tre passeggeri. È stata varata nelle acque del porto di Marina di Carrara, del Po, del Tevere, dei Navigli, di Trieste, Venezia e, prossimamente, nelle acque dell’Hudson a New York.
“È stato il mio primo grande lavoro e l’ho realizzato senza un soldo. Mi era venuta questa idea di far galleggiare un blocco di marmo e sono andato a Carrara, alle cave. Ho semplicemente detto: mi date un blocco di marmo? E non so perché, ma me l’hanno dato. Senza quel lavoro avrei continuato a fare sculturine. Nella vita succedono cose così forti che se le progetti non accadono”.
E invece è successo che Fabio Viale sia riuscito a contagiare con il suo entusiasmo un vecchio proprietario di cave, lo ha emozionato raccontandogli del sogno di riportare all’origine quel materiale, il marmo, fatto di conchiglie che milioni di anni fa si sono depositate in fondo al mare prima di diventare montagne. Ma il colpo di genio è stata l’idea di mettere un motore a quella barca.
“Quando sei a bordo percepisci la pietra sotto i piedi ed è una sensazione strana: è solida e quindi ti mantiene a galla, ma nello stesso tempo la senti scorrere nell’acqua e pensi che non dovrebbe galleggiare. E poi le vibrazioni del motore, che sembrano spaccare la pietra da un momento all’altro. È un piacere/dispiacere, l’euforia della paura del naufragio. In fondo si parla ancora del Titanic perché è affondato!”.
È così che un motore ha trasformato una scultura in una storia e in un’emozione. Come è successo anche con Opera rotas, fedele copia di uno pneumatico utilizzato nelle cave, alto 180 X 70 di spessore, rotolato da Torino a Milano. Giornali e televisioni ne hanno parlato, come per il varo della barca, perché dietro si intravedeva un’impresa titanica e non importa se, forse, la ruota ha viaggiato via camion: tutti i media hanno riportato la notizia che è stata fatta rotolare a mano dall’artista.

Anche quella del palloncino aerospaziale è un’altra magnifica storia: alla galleria Gas di Torino era esposta la corda di 100mila metri che agganciava il palloncino all’astronauta, all’altro capo del filo. C’erano i video con i telegiornali che avevano riportato la notizia di questo esperimento dell’Agenzia Aerospaziale, gli articoli di giornale, le foto, e persino la tuta dell’astronauta. Tutto falso. Tranne il palloncino di marmo che, con la sua tonnellata e mezzo di peso, è riuscito a rendere verosimile questa storia. Altro che semplici sculture: la domanda che Viale ci fa con i suoi marmi riguarda la realtà.

Che cos’è esattamente?
Quella che vediamo o quella che tocchiamo?
Il marmo freddo o la morbida gomma di uno pneumatico?
È più reale quella virtuale che ci viene raccontata dai media o quella di cui facciamo diretta esperienza?
Una storia è verità o finzione?
E cosa è ciò che rende possibile la magia dell’arte?

Vasari direbbe che è la biografia di un artista.