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Urban Anno 7 Numero 62 ottobre 2007



Il diluvio LaChapelle

Francesca Bonazzoli





7 editoriale

9 dreams

11 women

13 London Busker di Daniela de Rosa / foto: Beatrice Tartarone

16 Il Diluvio LaChapelle di Francesca Bonazzoli / foto: David LaChapelle

20 Sotto i Wayfarer di Maurizio Marsico / foto: Cesare Cicardini

24 Prato all'Inglese di Ciro Cacciola / foto: Alberto Bernasconi

28 Napoli Pride di Ciro Cacciola / foto: Cesare Cicardini

30 MODA Tra le righe foto: Marta Piazza

39 Halloween Shop di Maria Broch GUIDA

50 Film Quando a mentire sono i propri occhi

53 Libri La redazione? E'ai caraibi

54 Musica La ribalta ancora di due vecchie volpi

57 Teatro Sul palco la storia 59 Arte Surprising London

61 Nightlife Al Brancaleone si suona l'electro doc

62 Food Milano Uno show per occhi e palato? La piastra

64 Food Roma Nuova fusion? Sushi & cucina napoletana

66 Food Torino Ozio a tavola? Se lo chef creativo

67 Food Veneto La regola: nel piatto mai piu di tre gusti

68 Food Bologna In tavola l'Africa che ci sta di fronte

69 Food Napoli Sorbillo 3: la pizza di origine divina

71 Unurban Se non nevica mai
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foto: David LaChapelle

foto: David LaChapelle

foto: David LaChapelle

Dai seni al silicone di Pamela Anderson ai corpi dolenti del Diluvio universale.
Tutto è iniziato con David LaChapelle in piedi da solo dentro la Cappella Sistina


Che botta! Trecentocinquanta foto di David LaChapelle, una dietro l’altra nell’intero piano terra del Palazzo Reale di Milano, con le loro cromie acide che passano dal fucsia al giallo limone, dal rosa all’azzurro come nel più caramelloso dei luna park disegnati nei libri per bambini, ti lasciano stordito come Uma Thurman nel film di Tarantino dopo aver provato ogni sorta di droga. Altro che Candie in the eye, zucchero per gli occhi, come recita il titolo del documentario dedicato al fotografo americano da Hilka Sinning. L’antologica di LaChapelle (fino al 6 gennaio, a cura di Gianni Mercurio e Fred Torres) è piuttosto “a blast”, una botta, un colpo che ti stordisce per i colori, il lusso, il sesso, la spettacolarità, l’eccesso, la trasgressione.
A Hollywood, nel mondo ritratto tante volte da LaChapelle, lo chiamano il “Fellini della fotografia” per le sue esagerazioni, la sua fascinazione per il mondo dello spettacolo e dell’eccesso e per il suo modo di trasformare il reale in surreale, che alcuni giudicano kitsch, ma che funziona da lente di ingrandimento e svela molte più cose di quante se ne possano vedere sotto la luce naturale del sole.
Lui dice che delle persone che vengono alle sue sedute fotografiche non gli interessa molto cogliere l’anima, quanto piuttosto come sono vestiti o come portano i capelli: “Dentro siamo tutti uguali, tutti affermiamo di essere puri e buoni, ma quello che conta è ciò che buttiamo fuori: non sono interessato alle persone, ma a quello che fanno e proiettano nel mondo”.
E questo, per quanto paradossale possa sembrare, è il segreto che lo rende capace di sollevare la maschera sull’anima dei suoi modelli: mettendo in evidenza i meccanismi dell’autorappresentazione dei personaggi famosi, esasperando i mezzi e gli espedienti della loro immagine pubblica, LaChapelle riesce a svelare l’assurdità e il carattere effimero, di facciata, della loro essenza umana.
Così, prima o poi, doveva succedergli quello che gli è successo: stancarsi del glamour e, come chi abbia fatto indigestione, cambiare dieta, passare dall’effimero all’eterno. Dai seni al silicone di Pamela Anderson ai “risvegliati” che emergono da un’acqua purificatrice; dalla nullità esistenziale di Paris Hilton alla potenza sterminatrice dell’acqua che travolge i templi del consumismo in un Diluvio universale ispirato, anzi quasi ricalcato, da quello dipinto da Michelangelo nel soffitto della Cappella Sistina, in Vaticano.
Sembra un paradosso: il fotografo della leggerezza umana che si confronta con il pittore della terribilità divina. Eppure, quando il contatto c’è stato, un anno fa, ha scatenato il corto circuito.
Le cose sono andate così: da tempo LaChapelle rifletteva sulla paura di un’Apocalisse che si percepisce nel nostro tempo, sul timore di un diluvio del futuro che travolgerà il nostro mondo globalizzato. E così, essendo un fan di Michelangelo, “il più grande artista pop perché tutti riconoscono le sue opere”, dice, “ho chiesto di rivedere la Cappella Sistina, da solo, senza turisti. Un’esperienza che toglie il fiato”.
Il privilegio gli viene concesso e lì avviene una specie di conversione definitiva, cominciata già con il film Rize. Le immagini cambiano. I corpi, per esempio: nel Diluvio che LaChapelle ripropone sul modello di quello michelangiolesco, non sono più statuari, tonici, contraffatti dal silicone e chirurgicamente modificati in nome della bellezza perfetta, ma c’è spazio per donne grasse, con i seni cadenti, altre deformate dalla gravidanza, uomini vecchi con la pelle grinzosa sulla pancia, insomma un’umanità reale e dolente che cerca di scampare al flagello tendendosi braccia e mani l’uno verso l’altra. Si aiutano e si chiedono aiuto, così diversi dai Narcisi autoreferenziali del mondo della moda e dello spettacolo fotografati fino a ora.

Ho smesso con le foto di moda. È stato divertente nei miei 20 e 30 anni ma ora la moda non contiene più le mie idee che sono troppo grandi per una stanza di scarpe e vestiti. Il feeling se ne è andato e non sento più la passione. Del resto non sono mai stato veramente parte di quel mondo: ho sempre tentato di mettere delle storie e dei concetti nelle mie foto, mentre la moda è ossessionata dalla citazione, ti chiede di imitare gli anni ’60 o ’70, mentre io voglio seguire le mie idee, esprimere i miei sentimenti e le mie passioni. Insomma ho sempre voluto essere me stesso e non scherzo quando dico che non ero amato dal fashion system”.

A sentirlo parlare, così serio, vengono i brividi: David e Michelangelo hanno attraversato un’esperienza simile! Un periodo giovanile trascorso a inseguire la bellezza, a vagheggiare la perfezione umana nei nudi maschili illudendosi di catturarne l’essenza divina attraverso l’immortalità dell’arte. Poi il periodo di crisi, che in Michelangelo fu suscitato dalla predicazione del Savonarola e dalla frequentazione di amici, come Vittoria Colonna, che volevano anche a Roma una riforma religiosa simile a quella attuata nel Nord Europa, che portasse a una Chiesa meno corrotta, mondana e venale.
Anche David, stanco della moda e delle bellezze dello spettacolo, mette in scena e fotografa un suo Diluvio dove i simboli del piacere e del consumismo crollano a terra: il tempio casinò di Las Vegas, la città del peccato; il Burger King, simbolo di un cibo fasullo; Gucci simbolo della vanità, tutti edifici travolti dall’acqua.
In tarda età Michelangelo rinnegò la bellezza e tutta la vita spesa a riprodurla in statue e dipinti; rinnegò l’arte e si dedicò a comporre sonetti contorti e involuti come il suo nuovo dolente stato d’animo. A 43 anni David si mette a fotografare la serie Museum: musei con i quadri dei grandi artisti del passato lambiti da una misteriosa inondazione che insidia anche la purezza del marmo di statue neoclassiche, immagini che richiamano alla mente i sonetti del genio cinquecentesco toscano quando, riconosciuta la vanità dell’arte, pregava Dio di fargli avere in odio i beni del mondo e quelle sue bellezze che tanto coltivava, così da poter conquistare la salvezza prima di morire.
Per fortuna David mostra di non saperne niente.
Quando gli spieghiamo la vertiginosa analogia delle sue foto con i sentimenti del genio fiorentino si limita a dire: “Michelangelo si faceva sempre domande ed ecco perché la sua arte è rimasta ancora oggi. Chi ha creato una bellezza così profonda deve essersi fatto delle domande. Io comunque pensavo all’arte che oggi è diventata un investimento economico, mentre il suo valore è solo negli occhi di chi guarda e non nel prezzo. Tutto quello che possediamo in questa vita è preso in prestito a termine: quando arriverà il diluvio i tuoi quadri, i tuoi diamanti, i tuoi soldi non varranno più niente”.
A questo punto è scontato il richiamo a Michelangelo anche per la serie Awakened, i risvegliati, che sembra ispirata anch’essa alla Sistina, questa volta alla grande parete del Giudizio Universale. Nella parte in basso, dannati e beati risalgono verso l’alto liberandosi da un involucro immateriale di morte come i risvegliati di LaChapelle risalgono dalla vasca d’acqua dove sono stati immersi.
Allora la domanda finale è: potrà David LaChapelle aspirare a un nome eterno nella storia dell’arte, come quello di Michelangelo?