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Urban Anno 10 Numero 81 dicembre 2009 - gennaio 2010



La stoffa di Umit Benan

Federico Poletti





Urban 81


11 Editoriale

13 icon
di Massimo De Carlo

15 interurbana
al telefono con Emanuele Carcano
di Maurizio Marsico

17 portfolio
The art of bike

23 cult
di Federico Poletti

28 la stoffa di umit benan
di Federico Poletti · foto Cesare Cicardini bozzetti Umit Benan

32 caro diario
di Ciro Cacciola · foto Ben Watts

37 arte
a cura di Floriana Cavallo

38 io e mr. fox
di Roberto Croci

43 design
di Olivia Porta

44 easy elegance
foto Saverio Cardia · styling Ivan Bontchev

52 Origami in Love
foto Giorgio Codazzi · styling & artwork Ivan Bontchev

54 cat girl
foto Fabio Leidi · styling Veronique Ross

62 niger style
di Maria Luisa Frisa / Federico Della Bella foto Nicola Lo Calzo

66 musica
di Paolo Madeddu

68 michael l’inquieto
di Valeria Crippa

71 nightlife
di Lorenzo Tiezzi

73 fuori

82 Ultima Fermata
di Efraim Medina Reyes


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Foto: Cesare Cicardini

Foto: Cesare Cicardini

Barba folta, sguardo fiero, braccio destro tatuato e un approccio alla moda molto personale, che gli ha valso il premio Who is on next? Uomo 2009 e il progetto New Performer all’attuale edizione di Pitti Uomo. Classe 1980, turco d’origine, sta iniziando a capire che vivere a Milano non è poi così terribile


Pantaloni dalle proporzioni esagerate che si fermano alla caviglia, camicie oversize stropicciate, grande attenzione alla qualità dei materiali che si accendono in toni cromatici caldi. Lo stile di Umit Benan, un po’ come la sua personalità, appare giocato su un sapiente mix di contrasti, tra ciò che appare provocatoriamente fuori dai limiti e una sostanza costruita in modo quasi sartoriale con dettagli deluxe. Un gusto per l’ironia, per una moda apparentemente casual ma in fondo sempre impeccabile. A tutto questo si aggiunge un forte interesse per le arti visive, che lo avvicinano all’estetica del suo collega newyorchese Adam Kimmel, sempre in bilico tra il formale e il workwear, che sceglie come modelli per i suoi look veri e propri artisti più o meno noti. Umit, che durante il suo soggiorno a New York ha conosciuto Adam, sviluppa però una poetica narrativa e una visione estetica diversa, un mix più classico, tra formale e sportswear adatto alle più diverse occasioni. Per capirlo basta varcare la soglia del suo studio milanese nel cuore di Brera. Volumi di fotografia disseminati per le stanze, pareti coperte dai “mood board”, i pannelli in cui il designer raccoglie diverse immagini, input creativi, i disegni e le foto delle persone che sta scegliendo per la sua prossima performance. E poi la musica rock, che si diffonde in tutta la casa-atelier.

Quindi la musica è parte della tua dimensione creativa o forse sbaglio?
Essendo cresciuto in città e culture diverse, ascolto i generi musicali più disparati: dalla musica turca a quella hip hop, fino alla musica latina, che amo molto perché mi ricorda i tempi del college. Di recente sto ascoltando anche molto rock. Mi piace scoprire vecchie band. Ultimamente sono preso molto dai Dire Straits e Bryan Ferry. Amo andare indietro nel tempo e mischiare tanti stili musicali in modo casuale nel mio iPod. Quando disegno però preferisco ascoltare musica per piano e soul. Mi rilassano moltissimo. Dopo le 11 di sera, quando le persone si addormentano, io inizio a disegnare fino a tarda notte perché non ci sono più distrazioni. Durante il giorno sono preso da mille cose: nella mia piccola azienda seguo in pratica un po’ tutto, dalla produzione dei capi alle pr. Solo quando si fa tardi riesco a concentrarmi sul disegno.

Come sviluppi le tue collezioni?
Il punto di partenza è la creazione di personaggi per raccontare una storia. Raccolgo tantissime informazioni: chi sono, cosa fanno, cosa bevono e dove vanno. Scrivo tutti i dettagli che raccolgo per dare forma e concretezza ai miei personaggi. Prima di una collezione visito una città, fotografando le persone che trovo interessanti in giro per le strade. Dalle foto che ho scattato, cerco di immaginare e capire che tipo di vita hanno queste persone. Giusto o sbagliato che sia, quello che immagino diventa quello che sono. Scelgo le persone al di là delle apparenze, cercando di cogliere le loro esperienze ed energie vitali. Da qui sviluppo capi che dall’esterno possono apparire casual e un po’ ruvidi, ma che nascondono un’anima preziosa e per certi versi sartoriale.

Hai libri di fotografia contemporanea sparsi dappertutto: in che modo nel tuo lavoro sono presenti i riferimenti all’arte e alla fotografia?
Sono letteralmente ossessionato dalla fotografia, che ho studiato alle scuole superiori. Per molto tempo – insieme alla moda – è stata la mia seconda vocazione. Era il bivio in cui mi dibattevo: moda o fotografia? La moda diventa molto più interessante quando si contamina con l’arte. La fotografia mi permette di condensare le mie creazioni in immagini artistiche, campagne in cui al centro sono sempre persone interessanti ma semplici.

Hai vissuto e lavorato in tante città diverse: Londra, Istanbul, New York. Quale senti essere la più vicina al tuo mondo interiore e creativo?
Tra tutte preferisco New York, l’unica in cui le persone non fanno caso alle apparenze e non giudicano. Ognuno può esprimersi liberamente. Quando ti svegli lì sei esattamente come vorresti essere. Amo molto anche Istanbul, anche se non potrei viverci a tempo pieno per via del lavoro. La bellezza e la cultura sono senza pari. Ci vado spesso ed è un posto che mi trasmette una grande energia.

E Milano? In diverse occasioni per la tua barba leonina sei stato scambiato per un senzatetto o un malvivente, ti hanno persino negato l’ingresso nel tuo stesso condominio. Da queste tue esperienze è nata la riflessione tra apparenza e realtà. Come la stai vivendo ora?
Adesso va un po’ meglio, anche grazie al fatto di aver vinto Who is on next? Uomo che mi ha fatto sentire meno straniero. A Milano è molto dura essere accettati: le persone guardano l’apparenza. Ora sento di essere più inserito nella città e guardo alle cose in modo diverso e con energie nuove.

Un’anteprima del progetto che stai preparando per Pitti?
Quella che mi ha offerto Pitti è una grande opportunità, un’arena in cui si concentra l’attenzione di tutto il mondo della moda. È un progetto che mi permette di esprimere quasi completamente la mia creatività, ma molto difficile nella realizzazione. Se utilizzassi modelli professionisti, avrei già risolto la metà dei miei problemi. Al contrario continuo a cercare i miei personaggi nelle strade. È come girare un film che dura 15 minuti, ma tutto deve essere molto ben organizzato. Se in passato ho presentato personaggi di epoche diverse, gli anni ’60, ’70 e ’80, ora farò vedere come siano cresciuti e ne mostrerò il loro attuale stile di vita. Il risultato sarà una performance corale composta da 15 protagonisti. Prima ho immaginato i personaggi e poi ho iniziato a disegnare i loro abiti in base alle loro personalità. I capi riflettono la loro attitudine in un momento preciso della loro vita: outfit dal carattere rilassato e decontratto. Sarà una vera sorpresa.