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Juliet Anno 30 Numero 148 giugno-luglio 2010



Costellazione Ruhr

Stefania Meazza



Art magazine


Sommario
Giugno 2010, n. 148

* Copertina di Hermann Nitsch

* Gigantismo: metodologia o spettacolarizzazione, 4° puntata, di Matteo Bergamini,

* Carlini e Valle, intervista di Roberto Vidali

* Luca Massimo Barbero, intervista di Loris Schermi

* L’arte della sopravvivvenza, 3° puntata di Luciano Marucci

* Costellazione Ruhr di Stefania Meazza

* Art Ljubljana, 2° puntata, di Giulia Bortoluzzi

* Tony Cragg, di Stefania Meazza

* Focus Sicilia, 3° puntata, di Maria F. Bellio

* Ritratto da Milano (Maurizio Bortolotti), di Luca Carrà

* Ritratto da Trieste (Enzo Santese), di Fabio Rinaldi

* Ritratto da Torino (Giuseppe Pietroniro), di Simona Cupoli

* Rubrica di Angelo Bianco

* Notiziario Spray

ecc., ecc.


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John Armleder
“Untitled (Canaletto) FS” 2007
courtesy Galerie Anselm Dreher
foto Sabine Schirdewahn

Heimir Bgörgulfson
“Great places” 2005

Egill Sæbjörnson
“Lampi” 2007
courtesy Egill Sæbjörnson

Se si potesse disegnare una mappa delle installazioni luminose nella zona della Ruhr, distretto minerario e industriale della Germania nord-occidentale, si potrebbe proprio pensare a una costellazione, non fatta di stelle ma di lavori che usano la luce come medium e materiale, dal più piccolo al più spettacolare.
Numerose iniziative, avviate circa una decina di anni fa, in parallelo con i lavori dell’IBA Emscher Park, un insieme imponente di progetti di rivalutazione architettonica e ambientale della zona che va dal bacino del fiume Emscher a quello della più conosciuta Ruhr, hanno ridisegnato il panorama notturno della regione. Il percorso Hellweg – ein Lichtweg, inaugurato nel 2002, segna per esempio una prima proposta di itinerario lungo le installazioni luminose di artisti internazionali in alcune città della zona orientale della Ruhr, da Lünen a Lippstadt. Gli interventi, talvolta vere e proprie opere d’arte, altre volte forse un po’ più assimilabili a begli interventi di design urbano, dialogano apertamente con l’architettura delle città e creano una rete di corrispondenze tra questi centri urbani minori.
Abituati come siamo alle varie Fête des lumières e Luci d’artista, senza contare il deludente risultato di un’iniziativa come Led lo scorso dicembre a Milano, questo tipo di iniziativa non stupisce forse più nessuno. Ma diversamente dagli esempi nostrani e specialmente dall’ultimo esperimento milanese, nella Ruhr orientale la luce è diventata il tema intorno a cui sono sorte altre iniziative, facendone un polo interessante per quella che viene comunemente e riduttivamente chiamata “Light art”. Tra questi si possono contare l’apertura del Zentrum für internazionale Lichtkunst, un centro d’arte contemporanea specializzato proprio in questa forma d’arte, i cui lavori trovano spazio in un’ex stabilimento di produzione della birra Linden, nel centro della cittadina di Unna. Le installazioni di artisti nazionali e internazionali, con interventi site specific di – tra gli altri – James Turrell, Joseph Kosuth o Olafur Eliasson, si distribuiscono nei numerosi locali sotterranei della fabbrica di birra creando un’atmosfera unica e molto suggestiva, anche per chi non è abituato a frequentare i musei di arte contemporanea.

Cavalcando, quindi, l’onda di quello che è ormai da qualche decennio nell’air du temps e nel quadro più complesso delle manifestazioni per la capitale europea della cultura 2010, il curatore Matthias Wagner K ha ideato la Biennale für internationale Lichtkunst, che, come esprime il nome, è incentrata esclusivamente sulla Light Art. Come lo stesso curatore afferma, l’idea risale al 1998, ma è stata messa in pratica solo a molti anni di distanza e in un formato particolare che rappresenta la vera carica innovativa di questo formato di mostra.
I lavori dei sessanta artisti invitati saranno infatti ospitati negli appartamenti privati di altrettanti abitanti delle città di Bergkamen, Bönen, Fröndenberg, Hamm, Lünen e Unna, situate nell’area orientale della regione della Ruhr. Le camere da letto, soffitte, cantine, studi, camere per bambini, giardini e piscine private diventeranno, per la durata della Biennale, degli spazi espositivi tutt’altro che neutri e i loro proprietari saranno lieti di aprire le porte dei loro appartamenti per accogliere i lavori degli artisti e i visitatori della biennale. Per quanto inusuale, non si tratta di un’idea nuova: un formato di mostra di questo tipo è stato proposto per la prima volta nel 1986 dal curatore olandese Jan Hoet in occasione della mostra “Chambres d’Amis” allo SMAK di Gent. Non a caso il curatore olandese è il presidente onorario della Biennale Lichtkunst e Matthias Wagner H è il primo a riconoscere l’influenza che questo tipo di manifestazione ha avuto sulla concezione della Biennale, anche se con alcune fondamentali differenze.
Questo tipo di presentazione dei lavori apre la strada a una serie di interrogativi interessanti sulla percezione di un’opera d’arte in un dato contesto di mostrazione, sul rapporto tra un’opera d’arte e il pubblico e sul ruolo degli spazi espositivi neutri, tipo white cube. Naturalmente, come afferma lo stesso curatore, un’opera d’arte estratta dal suo classico contesto di presentazione, quale può essere un museo o una galleria, dai muri bianchi, con pavimenti e soffitti neutri e una perfetta luce zenitale, perde molta della sua “aura” e naturalmente la sua autonomia. L’opera d’arte, che nel white cube completa e “incornicia” letteralmente l’architettura della galleria, qui è estratta da questa classica struttura e diventa qualcos’altro, muta nella sua natura, pur rimanendo paradossalmente uguale a sé stesso. Lascia il “ghetto direttamente collegato con l’atemporalità” che è la galleria e si butta a capofitto nel mondo reale.

Il suo significato, una volta fuori dal white cube, è arricchito enormemente dal contesto che lo accoglie: come afferma ancora una volta Brian O’Doherty nel suo illuminante articolo, il contesto diventa contenuto. La sua presenza in un ambito quotidiano pone una serie di interrogativi che esulano dal puro piano estetico-artistico, per diventare veri e propri quesiti sociologici. Chi vive in questi spazi? Che attività svolgono queste persone? Di cosa si interessano?
E allo stesso tempo, un’altra serie di interrogativi: come dialoga un’opera d’arte con un ambiente che non è quello per cui è stata concepita e realizzata? Esistono lavori che non possono in alcun caso essere inseriti in questo tipo di quadro, vuoi per le dimensioni, vuoi per l’ “inabitabilità”?
Questi quesiti sono stati affrontati dal curatore Matthias Wagner K insieme agli artisti e poi agli abitanti delle case in vista dell’inaugurazione della Biennale, che si è tenuta il 28 marzo 2010.
Questa formula permette di concentrarsi non solo sui concetti e le problematiche inerenti all’arte contemporanea e all’estetica, ma anche e soprattutto su questioni di architettura, sociologia storica e urbanistica. Partiamo innanzitutto sul luogo in cui ci troviamo: la zona orientale della Ruhr è caratterizzata da centri urbani minori, eccetto la città di Dortmund, inseriti in un paesaggio a tratti naturale, con boschi e foreste e campi coltivati, e a tratti industriale, dove fino alla metà degli anni ‘80 le miniere e le acciaierie erano il punto di riferimento principale. Oggi quest’area è percorsa da un profondo cambiamento, prima di tutto economico, ma anche sociale e culturale. L’arte contemporanea partecipa a questo cambiamento riflettendo, per mezzo delle opere degli artisti, alle mutazioni storiche cui stiamo assistendo, qui come in altre zone del mondo e d’Europa simili a questa.

La varietà dei centri urbani è la vera caratteristica di questa zona: la città di Bergkamen, per esempio, è il risultato della fusione di sei comuni duranti gli anni ‘60. Il centro di questa città è stato costituito in maniera artificiale tra l’ex comune di Bergkamen e quello di Weddinghofen nel decennio seguente. Negli anni ‘80, poi, un’altra area è stata rivalutata e adibita a centro città, con la costruzione di nuovi edifici e la rivalutazione del verde pubblico, oltre che di una vasta piazza centrale, per la risistemazione della quale è stato indetto un concorso pubblico. Unna, invece, ha tutto l’aspetto di una cittadina di provincia dal tipico centro storico pedonale, caratterizzata, a livello architettonico, dalle tipiche case a graticcio. Diffusi su tutto il territorio della Ruhr, numerosi esempi di riconversione industriale come se ne auspicano anche alle nostre latitudini: un esempio su tutti è la ex-fonderia Breitenbach (a Unna), dove si trovano, tra gli altri, anche gli uffici della Biennale Lichtkunst, ristrutturata nel corso degli anni ‘90 e sede, oggi, di diversi enti, tra cui associazioni culturali, laboratori artigiani, organizzazioni umanitarie.
Come nelle vicine e più conosciute Duisburg, Essen, Gelsenkirchen e Bochum, anche qui, tra le tipologie abitative più ricorrenti, si trovano i quartieri dei minatori, con case mono o bifamiliari su due livelli, munite di un piccolo giardino con orto e spesso costruite intorno alle miniere o in prossimità delle fabbriche più grandi.
Da questa varietà di esperienze (città storica, nuovi insediamenti, antiche dimore rivalutate, ex-centri minerari) ne consegue una pluralità di tipologie di abitazioni: si va dalla casa di vacanze alle abitazioni dei minatori, al classico condominio cittadino, alle ville ottocentesche, agli appartamenti moderni, fino alle fattorie. Anche la tipologia dei loro abitanti è varia, sia in termini di età sia come posizione sociale o professione: accanto a pensionati, famiglie con bambini piccoli, architetti, commercianti, liberi professionisti, insegnanti, politici…

Questa varietà merita un’ulteriore osservazione sull’apparente “democraticità” di questa manifestazione: se finora siamo abituati a vedere solo un certo tipo di visitatori nei musei e ancora più nelle gallerie d’arte contemporanea, specialmente in Italia, questa pluralità di punti di vista, attese e background porta a una riflessione sul ruolo sociale dell’arte attuale: non solo strumento di rivalutazione, specchio per le allodole per istituzioni pubbliche o per finanziatori privati, opportunità di attirare turisti (non siamo né a Parigi, né a Londra e men che meno a New York), ma vero e proprio strumento per cambiare il volto di una regione. Mettendo l’arte contemporanea nelle case delle persone, ci dice il curatore Matthias Wagner K, si propone un modo diverso di relazionarsi all’arte, e si creano nuovi legami e comunanze tra gli abitanti e i visitatori della Biennale. Questo spiega anche il successo che questa iniziativa ha riscosso tra gli abitanti della regione, selezionati tramite un annuncio sui giornali locali.
La Light Art si presta poi particolarmente a questo tipo di approccio, essendo una forma d’arte che implica lo sguardo in maniera più coinvolgente di una pittura o di una scultura, e interessandosi, per mezzo dell’uso di sorgenti di energia, ai temi caldi del risparmio energetico e del cambiamento climatico. Inoltre, l’uso della luce mette l’artista a stretto contatto anche con l’innovazione tecnologica. In questo campo Matthias Wagner K può essere considerato uno specialista: sue sono infatti le mostre “Licht – die Magie des Bühnenraums” alla Städtische Galerie Remscheid (2005) o “Licht und Verführung” (2003) al Zentrum für internazionale Lichtkunst di Unna. Nella sua carriera di curatore indipendente, ha spesso lavorato con artisti come Michel Verjux, James Turrell, Gunda Förster o Mischa Kuball su questo tipo di installazioni.
Nella rosa dei nomi degli artisti è inoltre ravvisabile la volontà di unire nomi noti alla comunità internazionale dell’arte, come i già citati James Turrell o Olafur Eliasson o ancora François Morellet, Jenny Holzer, Sylvie Fleury, Tobias Rehberger, Lawrence Weiner o Christian Boltansky, a una generazione più giovane, che conta i nomi di Gunilla Klingberg, Daniel Pflumm, Diana Ramakaers, Haegue Yang, Anny & Siebel Öztürk. Tutti i lavori provengono da collezioni private o museali di interesse mondiale o dagli studi degli stessi artisti.

Naturalmente bisognerà aspettare la fine della manifestazione per fare un bilancio del successo di questo evento e probabilmente attendere la prossima edizione, che si svolgerà nel 2012 sotto la guida di un altro curatore, con un altro tema e in un’altra località del Land Nordrhein Westfalen, per decretarne l’effettivo successo, dal momento che il 2010 è già ricco di manifestazioni culturali e il pubblico si trova già numeroso in questa zona per i festeggiamenti della Capitale Europea della Cultura.
Tuttavia, iniziative come queste, che vanno dal locale collegandolo alla sfera nazionale e internazionale, sollevando interrogativi interdisciplinari e mettendo in pratica quella che merita forse di essere chiamata “arte pubblica”, per quanto pubblica non sia, contengono già nella loro concezione quella carica di innovazione e coraggio di cui oggi necessita l’arte contemporanea.

Brian O’Doherty, Context as Content, in Inside the White Cube, The Ideology of the Gallery Space, Expanded Edition, 2000