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Meta Art Magazine (2009-2010) Anno 1 Numero 3 ottobre 2010



Margot Quan Knight

Luigi Fassi





SOMMARIO META ART MAGAZINE N. 3

EDITORIALE
di Tatiana Ansaldi
MAGAZINE
by Tatiana Ansaldi
01

MULTIVERSO
di Paolo Bonaccorsi
MULTIVERSE
by Paolo Bonaccorsi
04

GAM.
Una finestra aperta sul mondo dell’arte
GAM.
An open window on the world of art
06

UN’ALFA ROMEO DA
SOGNO FIRMATA BERTONE
A DREAM ALFA ROMEO
BY BERTONE
14

RED RONNIE
di Tatiana Ansaldi
RED RONNIE
by Tatiana Ansaldi
26

GALLERIA
Lia Rumma
GALLERY
Lia Rumma
34

GIORGIONE
A PALAZZO GRIMALDI
GIORGIONE
AT PALAZZO GRIMALDI
36

MUSEO REGIONALE TOSCANO
PER L’ARTE CONTEMPORANEA
TUSCANY REGIONAL MUSEUM FOR
CONTEMPORARY ART
40

ELOGIO AL NEGATIVO
EULOGY OF THE NEGATIVE
44

NUOVO PAESAGGIO ITALIANO
NUOVO PAESAGGIO ITALIANO
48

PIANO B: progettiamo l’alternativa
PLAN B: designing an alternative
53

MARGOT QUAN KNIGTH
MARGOT QUAN KNIGTH
58

RAFFAELLO RESTAURANT
RAFFAELLO RESTAURANT
66
2
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n. 2 dicembre 2009


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GAS Picthfork Dance

Est enim tempus?
Esiste il tempo? Questa domanda posta da Agostino nell’11° libro delle Confessioni segna una spaccatura radicale nella storia del pensiero occidentale. La modernità inizia qui, nel IV secolo dopo Cristo, nell’ansiosa riflessione del vescovo di Ippona, che manifesta un tormento doloroso nell’incapacità di afferrare razionalmente la natura enigmatica del tempo e del suo scorrere vorticoso. “Dissipato nella successione di tempi che non conosco” e “smembrato dal tumulto delle vicende”, ad Agostino la scansione tradizionale di passato-presente-futuro appare un’illusione inconsistente, data la fugacità del presente e l’impossibilità di ridurlo ad un’entità solida ed estesa. È una angoscia completamente moderna, quella che Heidegger, acuto lettore di Agostino, focalizzerà ulteriormente 15 secoli dopo, parlando della Geworfenheit, la gettatezza, caratteristica fondante dell’essere, che si riconosce limitato e collocato nell’abisso della temporalità. Nelle Confessioni, tuttavia, la serrata analisi di Agostino sulla natura del tempo giunge a un’intuizione decisiva: In te, anime meus, tempora metior. È in te, spirito mio, che misuro il tempo.
Il tempo non ha uno statuto autonomo, che invano si cercherebbe con un’analisi razionale, ma è la nostra interiorità a generare il tempo. Esso non è altro che un’estensione della nostra coscienza, una spazio interno al nostro animo. Siamo noi infatti, argomenta Agostino, a misurare l’impressione che le cose producono nel nostro animo al loro passaggio, e ad articolare tramite la percezione presente e la memoria, l’estensione di passato presente e futuro. La coscienza trova così una continuità, una durata all’interno delle nostre impressioni, distendendosi in maniera armonica e naturale tra memoria (il passato), attenzione-visione (il presente) e attesa (il futuro).

Entrambi i recenti lavori di Margot Quan Knight, Portrait of a Woman 1947-2007 e Window, riverberano tale intuizione agostiniana del tempo come prodotto della nostra coscienza e delle nostre intuizioni. L’interrogazione iniziale che ha mosso l’artista nella produzione di queste opere è infatti generata dal mistero della soggettiva esperienza del tempo, con le sue distorsioni e imprevedibilità, come quando alcuni minuti, all’apprensione personale, possono sembrare lunghissimi e, viceversa, nel flusso dei ricordi, mesi e anni apparire contratti in pochi istanti fugaci. In Portrait of a Woman, l’artista ha montato in rapidissima successione una molteplicità di singoli scatti fotografici che ritraggono in primo piano il volto della madre, dai lontani anni della sua prima infanzia sino ai giorni odierni. È un fulmineo racconto visivo, costruito in presa diretta mediante una fenomenologia della vita quotidiana, tra momenti di svago, scene private e dettagli comuni alla vita di tutti. La continuità della narrazione è data dal dipanarsi del tempo e delle stagioni della vita, rese manifeste nel rapido mutamento che coinvolge il volto della donna. Alcuni decenni colmi di eventi e di evoluzioni si amalgamano nel video in meno di due minuti. Se l’artista segnala così la propria meraviglia nel constatare la fugacità di una vita e del suo decorso, ancora in svolgimento, Portrait of a Woman è anche una prima, immediata meditazione sul problema del tempo, dover si intuisce lo sforzo di individuare all’interno di esso un possibile filo di continuità.

Window è un’opera tecnicamente più complessa, una video installazione costruita mediante un’immagine fotografica sfuocata (blurry) del volto di Margot Quan Knight, su cui l’artista proietta un montaggio video con i lineamenti della nonna, della mamma e di lei stessa. Lo scarto tra i due elementi eterogenei, la foto e il video, non è immediatamente percepibile, ma anzi organizzato in modo tale che la prima immagine fotografica, statica e imprecisa, riceva dettagli e completamenti dagli elementi che su essa si proiettano, lasciando susseguire fluidamente il passaggio tra i volti di tre generazioni femminili, in un tentativo quasi fisiognomico di ricostruire una privatissima genealogia famigliare, rintracciando il proprio volto, presente e futuro, in quello di chi cronologicamente precede. La sensazione della continuità, colta ancora in nuce in Portrait of a Woman, trova qui consapevolezza concettuale ed emozionale, in piena prossimità all’intuizione agostiniana della coscienza come sede del tempo, ma anche alle riflessioni novecentesche di Henry Bergson, sensibilmente debitrici di quelle del vescovo d’Ippona. Nelle parole del filosofo francese l’immagine statica e singolarmente definita del ricordo è da svalutarsi in quanto prodotto dell’analisi raziocinante, a cui sfugge la realtà piena e fluente della memoria. Solo la durata, con la sua mobilità, è fonte rivelatrice della dinamiche temporali.

“La durata interiore è la vita continua d’una memoria che prolunga il passato nel presente”, argomenta Bergson, e ciò è perfettamente calzante nell’opera di Margot Quan Knight, che rifugge l’astrattezza chiusa di una singola immagine o di un singolo ritratto, privilegiando invece una comunione tra elementi eterogenei (i volti delle tre donne), per condensare l’autentica continuità dell’esperienza di una famiglia. La trama del tempo è qui restituita nella sua naturale fluidità, dove ricordi passati, percezioni presenti e attese future trovano la sintesi di un accordo armonicamente completo. Ciascuno dei tre tempi trae infatti ragguagli, illuminazioni e approfondimenti dall’altro, in una stratificazione necessaria quanto potenzialmente inesauribile.
Tanto Portrait of a Woman quanto Window si avvalgono dell’immagine del volto per affrontare il tema del tempo. Questa scelta ha un valore simbolico forte, che rammenta una ricchissima tradizione nella storia del pensiero occidentale, dalle indagini fisiognomiche dei pensatori romantici, che ricercavano nel volto le tracce somatiche della somiglianza e famigliarità umana con il divino (a Tua immagine e somiglianza…), sino alle riflessioni di filosofia morale di Emmanuel Lévinas, che ha richiamato l’importanza del volto come primo luogo di incontro nella reciprocità della conoscenza umana. L’incontro con il volto dell’altro è per il pensatore francese il segno di un’alterità che ci è prossima, che svela e rende possibile ogni forma di comunitarietà e condivisione.
Così la centralità del volto nella ricerca di Quan Knight è segno del tentativo di allontanare il senso di inquietudine, generato dall’impossibilità di controllare razionalmente il tempo, ritrovando una sintonia anzitutto con i gesti e le storie private della propria famiglia. Tale intimità si innalza poi a respiro universale nell’uso metaforico che ne fa l’artista, rendendola oggetto di un’immedesimazione possibile a chiunque, mediante l’immediata evidenza e riconoscibilità delle immagini.

In molti aspetti il lavoro di Quan Knight sembra indagare con insistenza proprio le dinamiche del disagio e dell’implosione, i fili sottili che reggono il bilico di un difficile equilibrio. Tale tema è già stato affrontato dall’artista nella serie The Hunt (2004), un’indagine fotografica sulla vita di coppia, volta a riconsiderare in chiave contemporanea la decadenza della mitologia americana dei Pionieri e l’impossibilità odierna di quella cultura tradizionale, fatta di certezze stabili e valori sicuri. Un impianto simile, ma dotato di un’evidenza più diretta e sintetica, è anche il tema di una nuova videoinstallazione, Support (2007), che mostra l’impossibile ciclo vitale a cui sono costretti un uomo e una donna, uniti da un singolo tubo medico che ne unifica i respiri. L’evidente insostenibilità fisica della situazione, causata dal rapido esaurirsi dell’ossigeno, è tuttavia portata avanti in un loop infinito dall’artista, che esacerba fino al parossismo l’immagine metaforica di due vite organizzate in simbiosi, incapaci di divergere e guadagnare la stabilità dell’autonomia. L’indipendenza e l’accettazione della propria inevitabile solitudine appaiono così nell’opera di Quan Knight esperienze estreme, ideali regolativi aperti all’interrogazione filosofica e consegnati al mistero della singolarità individuale. C’è un’immagine recente particolarmente efficace, UnDress (2007), dove si vede Margot Quan Knight in abito da sposa, il giorno delle sue nozze. Il vestito bianco, ondeggiante solenne nell’aria a rivestire il corpo della giovane donna, è colto un attimo prima di adagiarsi al suolo, ormai dismesso dall’artista, al termine della giornata di cerimonie e festeggiamenti. Non c’è più tempo, un altro giorno è prossimo all’oblio del passato, ma basta un attimo, un esercizio di concentrazione e quel vestito rimarrà in aria per sempre, testimonianza di una perfetta conciliazione con il tempo e il segreto della memoria.