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Urban Anno 11 Numero 95 marzo 2011



The art insider

Giovanna Maselli

23 anni, un appartamento /galleria, una rete di amicizie formidabile e un gran fiuto per i talenti emergenti. Si chiama Alex Gartenfeld la nostra guida all’arte della Grande Mela





SOMMARIO URBAN 95

9 | EDITORIALE

11 | ICON

12 | INTERURBANA
al telefono con Joana Gloria Curvo

15 | CULT
di Federico Poletti

22 | KIKO
di Roberto Croci
foto Lina Scheynius

26 | I RAGAZZI A UN PASSO
DALLE NUVOLE
di Federico Della Bella
foto Irina Werning

33 | LIBRI
di Marta Topis

35 | JELLY LIFESTYLE
di Sasha Carnevali

38 | MUSICA
di Paolo Madeddu

40 | ANNA CALVI
di Paolo Madeddu
foto Mattia Zoppellaro

43 | NIGHTLIFE
di Lorenzo Tiezzi

44 | THE ART INSIDER
di Giovanna Maselli
foto Samantha Casolari

46 | GREEN FOOD
di Mirta Oregna
foto Simon Leong


50 | LIKE A ROLLING STONE
foto Saverio Cardia
styling Ivan Bontchev

61 | DETAILS
di Ivan Bontchev
foto Giorgio Codazzi

67 | FUORI

74 | ULTIMA FERMATA
di Franco Bolelli
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Alex Gartenfeld
Foto di Samantha Casolari

Alex Gartenfeld
Foto di Samantha Casolari

Felpa oversize, skinny jeans e anfibi neri con la para, Alex Gartenfeld non sembra minimamente preoccuparsi di voler apparire più grande. “A volte ho dei problemi a prendermi io stesso sul serio, davvero” risponde con un mezzo sorriso alla domanda se la sua giovane età abbia mai rappresentato un problema nella sua carriera “accelerata”.
A soli 23 anni, il ragazzo ha infatti un curriculum da fare invidia a molti, e non solo ai suoi coetanei. Se oggi il suo biglietto da visita recita online editor per Interview e Art in America, allo stesso tempo Alex è anche curatore indipendente di mostre d’arte. Contemporanea, ovviamente, e con una speciale attenzione verso artisti giovani ed emergenti della scena newyorkese.

“Stefan Kalmár di Artists Space e Beatrix Ruf della Künsthalle Zurich hanno entrambi dei programmi che influenzano molto la visione che ho dell’arte in un contesto istituzionale”.
Da qui l’interesse per i centri fortemente sperimentativi lontani dai circuiti prettamente commerciali, come 179 Canal, lo spazio aperto nel 2009 dall’artista Margaret Lee all’omonimo indirizzo, o come Real Fine Arts, nel cuore di Williamsburg.
“Questo è un momento molto interessante per osservare come i canali classici (dell’arte) si stiano rimodellando in seguito alla recessione” spiega Gartenfeld. “Le gallerie hanno cambiato i propri registri e spazi; le no-profit sono una nuova materia d’urgenza per New York; l’editoria è in crisi e alla continua ricerca di nuovi canali per confezionare e distribuire il proprio contenuto. E tutte queste dinamiche influenzano i giovani artisti”.

La precaria situazione economica, con i tagli ai fondi e agli investimenti del settore, ha scatenato negli ultimi anni una tendenza contraddistinta dalla costante ricerca di veicoli alternativi per la fruizione dell’arte. E Gartenfeld ne è stato spettatore e protagonista, attivo sia come cronista di quello che avveniva sia come promotore di talenti. Del resto si può dire che lui se non ‘vive per l’arte’ sicuramente ‘nell’arte ci vive’, visto che dal 2009, fresco di laurea della prestigiosa Columbia University, ha vissuto in due appartamenti a Manhattan adibiti entrambi fin da subito a home gallery. Quella attuale, attiva dall’estate scorsa e conosciuta al pubblico come West Street Gallery, è nel West Village, ma a un passo da Chelsea, ed è stata concepita come una piattaforma per artisti che non sono ancora rappresentati in via tradizionale.
“Matt Moravec (socio del progetto, e anche lui poco più che ventenne) e io, visitiamo vari studi di artisti ogni settimana” racconta, e “questi incontri sono una risorsa importantissima”.
Il fiuto ce l’hanno, pare: Ryan Sullivan, per esempio, uno dei primi artisti supportati da Gartenfeld, ora è uno dei talenti più quotati, con una lunga waiting list.

“La dimensione dell’appartamento è totalmente differente rispetto a quella della tipica white-cube gallery” dice, “e uno dei più grandi piaceri è incontrare e fare incontrare artisti, curatori, scrittori e collezionisti in un ambiente non convenzionale”.
Alex non sembra avere troppi problemi nel farlo, vista la rete di collaborazioni e contatti che nel giro di pochi anni è riuscito a crearsi. A partire dai suoi amici, di cui molti sono di fatto artisti, spesso e volentieri sulla cresta dell’onda. Come Aurel Schmidt, l’artista-socialite fenomeno del panorama del downtown, con cui viene puntualmente ritratto in giro per le feste; oppure i giovani talenti-icona della fotografia come Tim Barber e Ryan McGinley. Non a caso, quando lo scorso ottobre è stato scelto insieme a Haley Mellin come curatore della mostra inaugurale del Museum of Contemporary Art nel New Jersey, tutto il mondo dell’arte che conta ha attraversato il ponte senza troppi problemi. Cosa non di poco conto in quel di New York, soprattutto se il ponte in questione porta addirittura in un altro stato.
Ma quello che piacevolmente sorprende di Alex Gartenfeld è che, nonostante tutto, sembra rimanere con i piedi per terra. Ben lungi dal “tirarsela”, per così dire. Forse grazie anche all’esempio di illustri figure-mentore per lui come il curatore d’oltremanica Sir Norman Rosenthal: “Ha avuto una grande influenza su di me perché è un curatore e un comunicatore incredibile, nonché amico delle arti e ha probabilmente fatto più di tutte le persone della sua generazione per aiutare e supportare sia gli artisti emergenti che i giovani professionisti dell’arte. Durante la nostra amicizia ho imparato quanto uno debba essere generoso e pratico, sia nell’arte che nella vita”.
Frutto di questa stima è la mostra curata da Gartenfeld e in collaborazione con la Zabludowicz Collection, che fa base a Londra ed è nota nell’ambiente per il supporto a talenti emergenti. Il progetto, chiamato Proposal for a floor, ha inaugurato in occasione dell’Armory Show in uno spazio completamente vuoto, all’ultimo piano di uno dei grattacieli più famosi di Times Square, e prosegue fino al 15 aprile.

Così, alla luce di questi risultati, quando Gartenfeld ti dice per l’ennesima volta che ha ancora tanto da imparare, inevitabilmente gli credi, sì, ma con un po’ di riserbo. E inevitabilmente non puoi smettere di chiederti dove sarà arrivato tra pochi anni.