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Segno Anno 35 Numero 236 maggio-giugno 2011



La potenzialita’ della cultura

Luciano Marucci

Intervista a Pier Luigi Sacco



Attualità internazionali d'arte contemporanea


SOMMARIO N. 236

In copertina

Riccardo De Marchi

Opera in copertina:
Senza titolo, 2008
Plexiglass e buchi, cm.300 x 185 x 22 (dettaglio)
Foto Prima Studio, Udine; courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano

4/13 Anteprima Mostre&Musei
News gallerie e Istituzioni – news/worldart – news Italia-estero
a cura di Paolo Spadano e Lisa D’Emidio

14/31 Speciale Biennale di Venezia
ILLUMInazioni – ILLUMInations
Padiglioni nazionali e Mostre collaterali
Padiglione Italia: Il richiamo delle sirene di Francesca Pini
Negli Inferi del Padiglione Italia di Paolo Balmas e Lucia Spadano

32/67 Attività espositive / recensioni/interviste & documentazioni
Le mostre nei Musei, Istituzioni, Fondazioni e Gallerie
Eroi (Gabriella Serusi), Christian Boltanski (Ilaria Piccioni), Cartsen Holler (L.S.), Paolo Grassino(Antonello Tolve), Art in The Street (Patrick Steffen), Gli alfabeti possibili di Riccardo De Marchi (Chiara Mari), Giorgio Ciam (Jacopo Pavesi), Il Mercante di Sogni Show (Marina Pizzarelli), David Smith (Patrick Steffen), Beatrice Pediconi/Roberto De Paolis (Paola Ugolini), Gianni Dessì (Paolo Aita), Giorgio Botta (Stefano Taccone), Josè d’Apice (Rebecca Delmenico), BerlinOttanta, pittura irruente (Simona Caramia), Identità e libertà (Simona Caramia), 15 cubi per 15 artisti (P.M.), Arte Essenziale (Silvia Bottani), TraCarte IV (Maria Vinella), Andrei Molodkin (Alessandro Trabucco), Jacob Hashimoto (a cura di Ignazio Maria Colonna e Ziao Li), Luigi Mainolfi (Gabriella Serusi), Gianni Caravaggio / Tony Cragg (Gabriella Serusi), David Tremlett (Raffaella Barbato), Teo De Palma (Linda Gezzi), Thomas Lange (Matteo Galbiati), Manuela Bedeschi (Matteo Galbiati), Arte Italiana all’ascolto (L.S.), Happy New Ears! John Cage, 1963 (Anna Castelli Guidi), Rosaria Iazzetta (Stefano Taccone), Dacia Manto (Giorgio Viganò), Col segno… di poi /2000-2010 (Intervista a Fabio Sargentini a cura di Ilaria Piccioni), Alessandro Mendini (Valentina Ricciuti), Susan Norrie (M.Letizia Paiato).

68/87 Documentazione altre mostre
a cura di Paolo Spadano

88/97 Osservatorio critico
Forms of Collecting /Forme della Committenza – Faenza Festival dell’arte Contemporanea (di Federica Tolli), Interviste a Pier Luigi Sacco e Angela Vettese (a cura di Luciano Marucci);
Smile & Connecting People (di Gabriele Perretta);
Arte contemporanea e restauro (Maria Letizia Paiato);
Libri e cataloghi (a cura di Chiara Ceccucci, Ornella Fazzina, Lucia Spadano).
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n. 235 marzo-aprile 2011

Oliviero Toscani
Luciano Marucci
n. 234 gennaio-febbraio 2011

Hans Haacke
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n. 233 novembre-dicembre 2010


Secondo te con la crisi economica la committenza e le esposizioni tematiche programmate dai curatori favoriscono o condizionano la ricerca artistica?
- Le esposizioni tematiche sono uno dei canali principali attraverso cui si realizza la ricerca artistica e credo che la crisi non cambi lo stato delle cose. In un periodo di crisi come l’attuale diventa indispensabile avere la possibilità di lavorare sulla sperimentazione, sulla produzione di nuove idee, perché è da queste che muove una catena di conseguenze che può produrre anche valore e sviluppo economico. Siamo in una fase nella quale il manifatturiero tradizionale non è più la nostra vocazione principale. Non potremmo diventare il paese più capace di crescere sui mercati creativi nei quali, tra l’altro, siamo presenti in modo significativo e non ce ne accorgiamo. Da questo punto di vista vedo l’investimento legato alle mostre tematiche e, più in generale, alla ricerca nell’arte contemporanea, molto simile a quello che si fa nel campo della ricerca scientifica. Trovare nuove idee diventa una strada obbligata per uscire dalla crisi.

Oggi la cultura ha le risorse finanziarie sufficienti per far crescere la società?
- Diciamo che può trovarle, poiché da noi la cultura è stata sempre vista come un canale di assorbimento delle risorse. Non è così, se riusciamo a far comprendere come nella nostra società la cultura possa creare valore, occupazione. Saremmo anche nelle condizioni di attivare questo tipo di meccanismi. Ciò richiede non semplicemente trovare i soldi per la cultura fine a se stessa, ma sviluppare delle strategie di selezione della qualità, la capacità di produzione e, allo stesso tempo, di formazione di pubblici sempre più consapevoli di queste possibilità e sempre più capaci di partecipazione attiva. Quindi si tratta di una doppia sfida: da un lato quella di mantenersi ai massimi livelli di sperimentazione e di elaborazione creativa; dall’altro quella di rendere il processo di produzione e di circolazione dei contenuti sempre più incluso e partecipato.

C’è domanda di cultura viva?
- Più di quello che sembra. Le persone spesso si sentono sconfortate dal fatto che credono di essere tra le poche a desiderare opportunità culturali. Invece, molto spesso, vedendo che ci sono tanti altri a desiderarle, sono rincuorate e incoraggiate, però va anche detto che c’è una grande
componente della società italiana che, al contrario, pensa che la cultura non sia importante; non è interessata ad accedere a tali opportunità. È questo tipo di pubblico che dobbiamo recuperare, non tanto per un atteggiamento paternalistico, ma perché in questo momento non si può essere cittadini di una società della conoscenza se non si hanno gli strumenti per scegliere, per capire cosa la cultura può fare per noi e, a quel punto, decidere se ci interessa o no. Molto spesso chi decide che la cultura non gli interessa, non sa a cosa sta rinunciando.

Ma qual è la vera funzione della cultura?
- Quella di aiutarci a capire che cosa potrebbe essere della nostra vita e come il mondo sta funzionando intorno a noi; come ci condiziona e apre delle opportunità. Soltanto attraverso la cultura possiamo avere gli strumenti per crescere. Questo fattore spesso è trascurato perché la cultura è vista troppo in chiave di intrattenimento, quando è molto più che intrattenimento, è la capacità di vivere una vita come vorremmo, cioè consapevoli delle scelte che ci troviamo di fronte e delle conseguenze che queste comportano.

Si produce cultura in forme fruibili?
- Sì, ma se ne potrebbe produrre di più. Soprattutto tra le ultime generazioni c’è una maggiore capacità di accedere ai contenuti culturali perché oggettivamente ci sono sia opportunità sia strumenti molto più sofisticati. La fruizione non è mai un problema di banalizzazione e di divulgazione; è soprattutto mettere le persone in condizione di poter avere accesso a ciò che è veramente interessante. Michelangelo e Raffaello non si sono mai preoccupati di rendere la loro arte più fruibile e, contrariamente a quello che pensiamo, la loro non era affatto un’arte facile da leggere. In alcuni momenti della nostra storia abbiamo trovato la capacità di motivare le persone a fare un salto in avanti, ad andare incontro a quello che gli artisti proponevano. Oggi sembriamo aver perso questa energia che, invece, dobbiamo ritrovare.

La creatività riuscirà a salvare dalla politica culturale ed economica del nostro Paese?
- Se sapremo darle un posto, nel senso che la capacità ha bisogno di spazi per crescere, per svilupparsi e questi richiedono precise scelte di politica culturale e non solo. Se ciò non avviene – come purtroppo accade sotto i nostri occhi – può succedere che le persone portatrici di una creatività importante, originale, piene di energia, ma che magari non trovano spazi in un paese come il nostro, possono prendere altre strade. E dobbiamo evitare che ciò accada.

I progetti di Faenza vogliono dare un contributo in questa direzione?
- Sicuramente. Quello che noi vogliamo fare qui è arrivare gradualmente a costruire un modello di sviluppo in cui una città si scopre capace di diventare un centro di produzione culturale e di collegarsi alla scena internazionale non soltanto coinvolgendo gli artisti o un gruppo limitato di persone, ma quanto piuttosto estendendo il più possibile all’intero corpo sociale la sfida della creatività e del cambiamento. Sono percorsi lenti che richiedono tempo. Siamo all’inizio del processo e i risultati veri si potranno vedere solo tra qualche anno, se si riuscirà a continuare a lavorare con la stessa intensità e la stessa capacità costruttiva.

L’indipendenza dell’artista esiste? È veramente utile?
- È indispensabile, perché è chiaro che solo un artista realmente indipendente può davvero fare ricerca in un modo intellettualmente onesto e capace di generare innovazione culturale. L’indipendenza dell’artista in parte dipende da quanto egli stesso vuole esserlo. In primo luogo c’è una scelta deontologica precisa, poi è chiaro che ci sono dei condizionamenti esterni e questi possono essere rimossi quanto più una società si convince che l’arte è un valore sociale, ma anche un valore intrinseco, per cui torniamo al discorso di prima: gli artisti saranno più indipendenti quanto più la società crederà nel valore della cultura.

Quali sono i principali fattori che determinano le quotazioni dell’artista?
- Sono fattori molto complessi. Prima di tutto un artista deve essere capace di intercettare una serie di temi e di linguaggi che vengono particolarmente apprezzati e valorizzati dal sistema, però allo stesso tempo deve essere in grado di rinnovarsi rispetto a questi linguaggi per non essere assimilato alle esperienze che esistono già. Quindi, una combinazione intelligente di attualità e di trasgressione di essa. Inoltre – questo purtroppo è un dato che ha anche delle sue criticità – oggi spesso gli artisti che riescono a raggiungere rapidamente quotazioni importanti sono capaci di promuoversi molto bene, di essere presenti nei contesti che contano, di farsi vedere, di conquistare l’interesse e il credito degli opinion-makers, in primo luogo i grandi curatori e i grandi critici. Naturalmente devono avere un’energia che porta a fare un lavoro che trasmette una sensazione di contenuto, di potenza emozionale che resta uno degli aspetti più misteriosi e, ovviamente, più impalpabili dell’arte. Però la combinazione è molto complessa. In alcuni casi può funzionare e in altri no, per cui è difficile trovare una formula che spieghi il successo di un artista.

Chi determina il valore reale dell’opera?
- È frutto di una sedimentazione storica. Ci sono artisti che nel tempo riescono a mantenere viva la loro narrativa, che viene continuamente rievocata e riproposta dalle generazioni che seguono. In altre situazioni questo non avviene. Va anche detto che la storia spesso non è lineare. Ci sono degli artisti che magari temporaneamente si eclissano, non vengono più considerati, poi recuperano considerazione. Altri la mantengono inalterata o addirittura crescente nel tempo. Sono processi sociali ancora una volta molto complessi da cui deriva una verità piuttosto interessante, cioè nessun valore artistico è mai veramente definitivo. Insomma ci troviamo all’interno di un flusso nel quale qualunque verità è solo parziale.

Per raggiungere l’obiettivo che ciascuna edizione del Festival si prefigge, si tende a coinvolgere i personaggi più autorevoli, sul piano teorico e operativo di ambiti disciplinari diversi che interagiscono fra loro per definire la cultura del presente che guarda avanti?
- La nostra idea è cercare di avere sempre un quadro il più possibile vario di voci e di esperienze. Coinvolgiamo sicuramente persone molto autorevoli e note, però allo stesso tempo scommettiamo anche su figure giovani, magari poco affermate ma che, a nostro parere, possono dare dei contributi particolarmente interessanti. Come in tutte le cose, conta la diversità; riuscire a realizzare un mix che dia conto un po’ di tutte le voci che oggi esistono nel sistema dell’arte.

Specialmente gli stranieri invitati partecipano volentieri agli incontri?
- Direi proprio di sì. La risposta è di grande entusiasmo. Le persone vengono e si stupiscono di trovare un clima così amichevole, partecipativo, informale. Per noi è una grande soddisfazione. Ci dice che, al di là del valore culturale e del lavoro che stiamo facendo, il nostro è anche un modo di costruire intorno all’arte una piccola unità che speriamo si solidifichi sempre di più nel corso del tempo.

…Chiedono compensi sostenibili?
- Non c’è mai stato un problema di compensi. Tutti coloro che vengono qui hanno solo un rimborso spese. La gente partecipa al Festival perché convinta che sia un evento culturale rilevante. Se dovessimo offrire ai grandi personaggi compensi allineati ai prezzi di mercato, probabilmente non potremmo fare il Festival.

Le istituzioni locali sostengono con convinzione le vostre iniziative?
- Ancora una volta, senza il loro appoggio, non avremmo mai potuto fare questo Festival. Anzi, sono molto contento di poter riconoscere il contributo fondamentale che fin dall’inizio hanno dato l’Amministrazione di questa città e la Provincia. Ora comincia ad esserci anche un interessamento ampio della Regione. Vediamo come un segnale importante il progressivo allargarsi del bacino di sostegno. Significa che in Italia esistono delle amministrazioni convinte che con la cultura si può lavorare, anche senza ragionare sui grandi numeri o sulle mostre-evento.

…Hanno capito l’importanza delle tematiche che vengono affrontate?
- Crediamo di sì. L’Amministrazione comunale ha avuto modo di toccare con mano il processo di progressiva infiltrazione, nel senso buono, che la cultura sta avendo sul tessuto economico- sociale, e soprattutto culturale, di Faenza. Credo che sia un segnale importante per il futuro.

Il Festival riesce a contaminare l’industria della ceramica?
- Di fatto lo sta già facendo. Esiste una serie di processi in atto per cui arrivano artisti, commissionano, chiedono di sapere come il loro lavoro potrebbe trovare delle declinazioni interessanti attraverso la ceramica. In alcuni casi coinvolgono la produzione di Faenza quando sono invitati a realizzare particolari progetti. In futuro incrementeremo questa tendenza. Stiamo già lanciando l’iniziativa, partita con una prima puntata, dei weekend d’arte: portiamo qui artisti di fama internazionale e li mettiamo in relazione con i protagonisti della lavorazione ceramica perché verifichino se si possono creare degli opportuni sviluppi