Branchie Anno 1 Numero 0 dicembre 2010
La sveglia strilla trasformando i sogni in orribili visioni ululanti; il 2 ha già fatto qualche giro, alle otto meno un quarto sarà zeppo da fare schifo.
I trans ieri notte l'hanno pagata col culo la tassa agli sbirri, una chiamata al cellulare e di corsa a imbucarsi in via Gorizia.
Li ho sentiti dalla finestra, ho sentito anche il cicalare della radio mobile. In strada il sonno non mi da tregua; un'ora di ping pong alla Bissuola non basta a controvertirne otto in laguna. I moldavi puzzano di vino e cipolla, solo le loro nuvolette di vapore sono a norma con gli standard culinari della regione.
Il marciapiede dove il palo zincato dell'actv sta a segnare la fermata, è stato tagliato per ricavarne dei posteggi a tempo limitato, guardo i suv che quasi mi calpestano i piedi e penso che il loro peso farà affondare questa città. Il 2 è puntuale, salgo senza strisciare e mi rannicchio tra la ruota e un sedile; Carlo esce da via Pogdogora, anche 'sta notte ha origliato coppie clandestine scopare nella pensione dove fa il portiere.
Lo guardo dall'alto del bus e lui capisce al volo: alle sette in Bissuola racchetta e lattina. Qualche studentessa s'appoggia alla schiena d'un vicino e apre il libro che poco prima aveva sul comodino, un operaio cerca di sbirciare quel che resta scoperto delle tette d'una commessa; guardo tutti come se fossero dei fantasmi e provo a dormire.
La fermata in via Stazione ammassa nell'abitacolo nigeriani compromessi e turisti compromettenti, le americane ridono pensando a qualcosa che ha che fare con l'amore.
Alla rampa rinuncio definitivamente a sonnecchiare e provo a ricordare il da farsi; qualcuno scende in via della Libertà incamminandosi verso via delle Industrie, penso ai loro mestieri e mi convinco che ci siano ancora operai.
La laguna ci acceca con un sole giallo riflesso, il ponte del petrolchimico sembra un grosso lunapark, mi pare di sentire i gridolini delle ragazzine sulle montagne russe, ma è solo una ragazza che legge, ridendo di qualcosa scritto su L'Immagine - Tempo di Deleuze.
I leoni del ponte della Libertà mi fanno pensare al barcaiolo di Marcon, che canta Faccetta nera: Venezia è un isola legata al guinzaglio.
A piazzale Roma finalmente dormo, ma il trillo del cellulare mi sveglia: è il capo, vuole che passi al parcheggio, ha scordato una mutandina nel portaoggetti e la moglie non deve sapere.