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Lettera internazionale Anno 30 Numero 118 marzo 2014



Mnemonia

Giuseppe O. Longo



Rivista trimestrale europea


SOMMARIO N. 118
Corpo umano, corpo urbano


In copertina: Jaume Plensa, El Alma del Ebro, 2008, Saragozza, Spagna

Un uragano di formiche, Franco Arminio
#nevrosi #corpo #paesaggio #bulimia urbanistica

Le donne e la strada, Rita El Khayat
#violenza #bidonville #Terzo mondo #architettura della miseria

Paura del contatto, Richard Sennett
#sensi #città #consapevolezza corporea #circolazione

I cinque sensi della città, Thierry Paquot
#seduzione #donna #Parigi #dolcezza di proporzioni

Architettura e umanesimo. Intervista a Oscar Niemeyer, Eduardo Subirats
#curve #sensualità #cemento armato #barocco #razionalismo

Corpi vissuti, Pier Aldo Rovatti
#spazio vissuto #Trieste #architettura narrativa #abitare collettivo

Politiche dell’ospitalità, Rachid Boutayeb
#ospitalità dialogica #Lévinas #responsabilità condivisa

Mnemonia, Giuseppe O. Longo
#memoria collettiva del mondo #pattume memorioso #storia sempre
cancellata

Grazia, opera d’arte e spazio pubblico, Marcel Hénaff
#Greci #spazio comune inappropriabile #modernità #città-rete #digitalità-tattilità

Perché il museo?, Boris Groys
#perdita dell’aura #teatralizzazione del museo #comunità transitorie #autoriflessione

Re-immaginare la città, Peter Marcuse
#lavoro e libertà #consumo ostentativo #movimenti Occupy #beni comuni

Smart City, Smart Data. L’uso dei dati alla ricerca di una città sostenibile, Davide Bennato
#reti tecnologiche #open data #città diffusa #social sensing #organismo digitale

Matera, la sfida della memoria. Architettura della fusione, Pietro Laureano
#resilienza #società autopoietica #sostenibilità #Europa #inclusione

Gli artisti di questo numero: Jaume Plensa, Ernest Pignon-Ernest, Giacomo Costa, a cura di Aldo Iori

I libri
Recensioni a cura di Silvana Calabrese, Dario Gentili, Alberto Scarponi

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Giacomo Costa, Plant 2, 2010

Jaume Plensa, Paula, 2013, Bourdeaux

Ernest Pignon-Ernest, Rimbaud, 1978-79, Parigi

La nostra azienda, Mnemonia, è specializzata nella costruzione e nel collaudo di memorie artificiali, di memorie protetiche e di memorie miste. Il nome Mnemonia, significativo anche se vecchiotto, è stato mantenuto in memoria, appunto, del fondatore, di cui si è perso peraltro ogni ricordo, perfino il nome. E la perdita non è stata casuale.
Sì, perché Mnemonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina tutti, dal presidente all’amministratore delegato, dai dirigenti ai quadri agli impiegati di concetto alle segretarie agli uscieri, tutti, insomma, si mettono al lavoro su tavoli sgombri, accendono computer privi di ogni documento, consultano agende immacolate, estraggono da schedari colmi di dossier vuoti le pratiche da sbrigare, anzi da costruire, in giornata.
La radio (ogni ufficio ne ha una, integrata in un sistema interno di Business Radio) trasmette notizie che sono, letteralmente, inedite. I fattorini portano a ciascuno un numero variabile di quotidiani, secondo il grado e la posizione, e la prima mezzora di lavoro è dedicata alla (ri)costruzione del mondo virtuale dell’infosfera.

I ricordi informatici del giorno precedente sono stati scaricati la sera prima, a tarda ora, nei cestini dei computer, mentre i supporti dei ricordi, giornali, riviste, fascicoli, registri e quant’altro sono finiti nei secchi delle immondizie, di qui nei bottini della spazzatura, e poi nei lucidi sacchi di plastica.
Annodati e legati con cura dagli addetti alla pulizia, i sacchi sono stati ammucchiati prima nei corridoi di Mnemonia e poi davanti alla sede, sui marciapiedi della città, pronti per l’asporto e lo smaltimento.
Nei sacchi si trova un po’ di tutto: i documenti cartacei, certo, anche quelli più solidi, come libri, manuali, enciclopedie, dizionari, ma anche altri oggetti che portano in sé e su di sé qualche tenue strato di memoria, qualche pellicola per quanto sottile di ricordo: penne stilografiche, matite, bottigliette d’acqua minerale, quadri, calendari e orologi (soprattutto calendari e orologi!), fotografie di bambini, mogli o zie, buste scompagnate, risme di carta riciclata, fotocopie di atti, minute di incontri, contratti.
Questo materiale è affidato alle cure degli spazzini comunali, con cui Mnemonia ha consolidato un accordo che viene rinnovato ogni giorno alle 11,30. Quindi, dei rifiuti solidi Mnemonia non si preoccupa: la loro sorte, di fatto, dipende dall’amministrazione comunale.

Il problema, semmai, riguarda i ricordi psicoelettronici nella loro essenzialità immateriale, o meglio nella loro virtualità incarnata nei neuroni del personale tutto e nello sciame di bit che affolla i circuiti dei computer, percorrendoli con risonanze e riverberazioni periodiche, a volte sovraccaricandoli di battimenti: dove vanno a finire questi ricordi sottili, questi aloni mnemici, queste fantasime numinose, questi afflati spirituali?
L’ipotesi più accreditata, che viene rinnovata ogni giorno e ogni giorno perfezionata e insieme confutata, è che queste tracce mnestiche siano accumulate, indistruttibili e refrattarie allo scorrere del tempo e alla degradazione entropica, in un luogo altro per eccellenza: la Memoria Collettiva del Mondo, che ha col Mondo un legame volatile e dubitoso quanto tenace.
Alcuni hanno dato di questa smisurata Memoria descrizioni immaginifiche, del tutto metaforiche, ma certo suggestive. Per esempio, c’è chi la descrive come una pianura sconfinata che accoglie la spazzatura mnestica di Mnemonia accumulandola simmetricamente intorno a un luogo poco più che puntiforme che corrisponde alla nostra azienda.
Più Mnemonia fabbrica nuovi ricordi, più i rifiuti migliorano la loro tenue e volatile sostanza, resistono al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e a combustioni, se queste metafore sono consentite.
Si è formato così, negli anni, una sorta di contrafforte, di acrocoro che cinge Mnemonia da ogni lato, imprigionandola in mura e bastioni sempre più alti e muniti. Le tracce del nostro passato aziendale si accumulano e si saldano in una sorta di corazza i cui strati sono le spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altro ieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.

Ma chi volesse percorrere a volo d’uccello il vasto pianoro su cui sorge (la metafora di) Mnemonia, immaginando di vederlo invaso a poco a poco dal nostro pattume memorioso, dovrebbe ricredersi: su quello sterminato immondezzaio premono, al di là del crinale estremo, altri immondezzai generati da altre aziende mnemoniche, di cui il nostro viaggiatore volante, e magari noi stessi, non sospettavamo l’esistenza e l’attività.
Anche queste aziende generano continuamente quantità enormi di ricordi rifiutati, rigettati, scartati, respingendoli lontano da sé fino a che la loro montagna di spazzatura incontra le montagne generate dalle aziende finitime. Forse tutto il mondo, in questa metafora ardita ma non infondata, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro un’azienda in eruzione ininterrotta.
I confini tra le aziende concorrenti sono allora bastioni infetti di ricordi sgradevoli, in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano e si mescolano come correnti marine antagoniste.

Al crescere dell’altezza di queste montagne di ricordi, aumenta il pericolo delle frane, che, nel nostro mondo, cioè nella Mnemonia vera, percepiremmo come un disperato anelito psichico, un tentativo doloroso dei ricordi rimossi di farsi strada dentro la mente e il cuore dei nostri impiegati e dirigenti.
Basta che un registro, una pagina di protocollo, una vecchia lettera, un sollecito, un calendario di tanti anni fa, un documento excel, un file word rotoli per la ripida china verso Mnemonia, o meglio verso la sua immagine metaforica, perché una valanga di tracce sommerga l’azienda, trascinandola in un passato al quale si era sforzata di sfuggire, un passato di ricordi inquinati da quelli delle aziende vicine e concorrenti, un liquame di rigurgiti, di impressioni, di storie lontane, di fotografie sfocate, di suoni registrati e perduti nell’immensità dello spazio, di programmi di videoscrittura, di tenuta contabile, di corrispondenza commerciale.
La massa premente delle altrui memorie aziendali minaccia di annullare i rifiuti mnestici di Mnemonia. Benché Mnemonia li consideri spazzatura e desideri sbarazzarsene ogni giorno, se questi ricordi soccombessero all’invasione dell’altrui spazzatura, per la nostra azienda sarebbe uno scacco difficile da digerire.
Nessuno ne saprebbe nulla, certo, ma nelle profondità della nostra storia sempre cancellata si anniderebbe una ferita all’orgoglio che potrebbe un giorno, suppurando, affiorare in perturbazioni, sommovimenti e instabilità che comprometterebbero l’equilibrio del nostro delicato lavoro, che, se ricordo bene, ha a che fare proprio con la memoria.



Giuseppe O. Longo è professore emerito di Teoria dell’informazione. Le sue ricerche hanno riguardato in particolare la teoria delle reti, dei codici algebrici e la codifica di sorgente. Ha pubblicato numerosi articoli specialistici su riviste italiane e internazionali ed è l’autore di un manuale di Teoria dell’informazione (Boringhieri, 1980). Tra i suoi scritti: Il simbionte: prove di umanità futura (Meltemi, 2003); Homo Technologicus (Meltemi, 2001); Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura (Laterza, 1998). All’attività scientifica affianca l’attività narrativa e drammaturgica, pubblicando su riviste letterarie. Ha inoltre pubblicato tre romanzi e numerose raccolte di racconti e di opere teatrali.