Arte contemporanea Anno 10 Numero 38 dicembre 2015 - gennaio 2016
Quindi l’immagine di Sonego diviene un’indagine di ricerca di qualche suo problema, ma anche di un problema di altri problemi, di invenzione, di annotazione, di emozione.
«Una strada diversa da molti, diversa dai più, che non è “in”, ma anzi se ne discosta, come succede per chi non sta a orecchiare, che non sta a informarsi, ma che ha già un percorso chiaro e autonomo.» Questo è quanto scriveva, nel 1987, il lungimirante amico di Nelio Sonego, Mario Nigro. Vedeva bene l’artista toscano, poiché difficilmente è possibile racchiudere l’opera di Sonego in un movimento artistico o limitarlo in una corrente pittorica relativa a questi ultimi decenni. Come dice il nostro autore: «è lo spazio della tela che ho davanti che mi attira con la visione a imprimere i segni». Ciò induce a pensare che non sia possibile una interpretazione della pittura di Sonego a prescindere dall’univoco rapporto tra l’artista e la superficie. Dalla sua dichiarazione si intuisce che è proprio la superficie a chiamare alla pittura, alla creatività, all’espressività. Ogni operazione diventa così un dialogo che si nutre dell’immediato rapporto tra fare e guardare al proprio lavoro. Un guardare al passato con la consapevolezza che «facendo del ricordo una percezione più debole si misconosce l’essenziale differenza che separa il passato dal presente, si rinuncia a comprendere i fenomeni del riconoscimento e, più in generale, il meccanismo dell’inconscio.» (H. Bergson, Materia e Memoria).
Le opere dell’artista veneto vanno dunque lette nel loro ri-presentarsi come in un’apparente immutabilità; una forma espressiva dunque sempre in evoluzione, che esprime nuove potenzialità ed esplicita nuove individualità; una pittura tesa al superamento delle singole esperienze tracciando un personale percorso chiaro e autonomo, con il quale l’autore ha delineato una personale interpretazione del segno e del colore.
Sonego è un’individualità artistica e nel contempo solo nel suo fare. Esplora le potenzialità di pochi elementi del linguaggio dell’astrazione, ma lo fa con la consapevolezza che l’opera, una volta completata, deve misurarsi con lo spettatore e con tutte quelle forme espressive che hanno guidato buona parte della ricerca nell’arte contemporanea. Ci sembra quindi che in questa ri-proposta tematica si possa individuare un certo razionalismo che limita una gestualità (e non si dimentichi che fu allievo di Vedova all’Accademia di Belle Arti di Venezia) che si è anche mantenuta lontana da un’idea di immediatezza, di improvvisazione formale o di epifanica materializzazione dell’atto pittorico.
Potremmo individuare l’origine del suo viaggio pittorico nell’opera Strutturale del 1979 (in Viaggio lineare, 1991, a cura di C. Cerritelli e dello scrivente). Si tratta di un’opera essenziale nella sua forma: tre linee diagonali tracciate su tela con stecca e matita, contrapposte a un’altra con pendenza contraria. Nelle opere di quegli anni troviamo triangoli segnati con un lapis, nero o colorato, o più semplicemente superfici divise da lievi e appena accennati tratti diagonali, che vanno a definire delle figure rigorose e minimali. Questo è il “disegno” (rubando ancora dalle parole di Nigro) che guida la sua ininterrotta ricerca sull’essenzialità dei linguaggi. E ne chiarisce il senso Enzo di Grazia presentandolo alla Galleria San Carlo Napoli negli anni ottanta: “In questa direzione, analizzare una figura geometrica significa inevitabilmente proporre la pittura come campo d’azione della pittura, la mente umana come campo di riferimento per la ricerca formale, l’arte come creazione di pure forme, slegate da qualunque rapporto con l’esterno.”
Benché si faccia riferimento alla geometria, la sua pittura non può essere identificata con un’idea di geometria. Per altro lo dice lui stesso: “Non sono geometrie definite e per questo le ho denominate prima triangoarcoli e poi angoarcoli.” Neologismi, come Orizzontaleverticale, che l’artista usa per prendere le distanze da una ricerca artistica priva della singolarità creativa che caratterizza il suo lavoro.
Queste esperienze dunque già delineavano – sebbene nell’incertezza che può avere ogni progettazione artistica di un giovane poco più che ventenne – quale sarebbe stato il suo percorso. Una pittura per certi versi sostanziale, fatta di pochi elementi linguistici come il segno, il colore e la superficie. Questo scarno fare pittura ci suggerisce di evitare ogni considerazione sulla limitazione dei linguaggi dell’arte, e, a seguito di questo, sarebbe ancor di più inesatto pensare che le sue opere cedano a una superficiale idea di “poverismo”. È, in sintesi, una continua sperimentazione delle potenzialità del segno, della linea e della superficie (pur non essendo per nulla comparabile con le esperienze della Pittura pittura degli anni settanta). È dunque in questa logica che vanno lette le sue opere; infatti, se messe in relazione alla continuità espressiva, queste mettono in scena un persistente dialogo tra elementi del fare pittura con il loro estrinsecarsi in tematiche su forme (i triangoli colorati) o su linee perimetrali dei rettangoli (Orizzontaleverticale) o di triangoli (angoarcoli).
Rettangoli (che dunque chiameremo così solo perché hanno linee perpendicolari) perimetrati dal solo segno precedono o seguono altre figure simili, caratterizzate però da cromatismi che non si lasciano influenzare da teorie compositive, né intendono riferirsi a logiche interpretative del monocromo. È al colore, nel suo essere luce mutevole, che Sonego guarda. Il colore non è solo un segno, né l’espressione di una gestualità. Con il colore l’artista crea un equilibrio formale tra segno e forma.
Per comprendere l’evoluzione è importante ricordare il ciclo degli Angoarcoli. Figure, generalmente proposte quattro a quattro, aventi forme similari ai triangoli tracciati sulla superficie di carta o tela (alcune anche su superfici grossolanamente dipinte con evidenti pennellate di bianco). Questo periodo rappresenta una sostanziale riflessione sul segno. Un segno lungo quanto la quantità del colore contenuta dal pennello. Un segno irripetibile nel suo divenire, carico di materia tanto da creare delle opportune gocciolature e sufficiente a completare il gesto. Questo periodo può essere considerato il suo più significativo confronto con un’idea di pittura. Un confronto che produrrà un’importante riflessione sulla brevità del segno. La pittura a pennello ha senza dubbio rappresentato un limite per l’artista; eppure è stato un esperimento preceduto dall’uso dei pastelli o dei gessetti che permettevano un segno continuo ed ininterrotto, e seguito, più tardi, dall’impiego delle bombolette spray. Poi i neon, con i quali ha intenzionalmente cancellato l’azione gestuale, per lasciare il campo alla sola linea luminosa (Bruce Nauman docet).
Ma anche questo suo guardare alle innovazioni espressive, o all’annullamento dell’atto pittorico, non è dato dal venir meno delle singole possibilità dei segni, ma dell’efficacia e della variegata forza comunicativa del suo sistema espressivo. E se questo tende a esaurirsi o a perdere effetto, nel contempo si fa presupposto per una nuova riflessione sui segni, sull’azione pittorica, o semplicemente sui colori. Ancora una volta Sonego non si lascia affascinare da esperienze estranee al suo fare arte, né guarda altrove. Ritorna con spirito innovativo e riflessivo alla sua pittura.
Nell’evoluzione della produzione artistica di Sonego si avverte la maturazione dell’uomo e dell’artista, la stessa maturazione che ha sviluppato e delineato, nel tempo e nell’esercizio pittorico, la specificità del suo fare. Ancora una volta vediamo l’artista rielaborare quel “disegno” che aveva in testa poco più che ventenne. Ma è nella mutevolezza del tempo e nel guardare al passato con la consapevolezza che le esperienze maturano, che le nuove produzioni non possono essere l’effetto di una ripetizione del fare, né tanto meno arroganti validazioni della propria pittura come una certezza immutabile, ma comprendere che la pittura segue lo stesso percorso dell’evoluzione del pensiero e della continuità espressiva del fare arte. Il gesto pittorico di Sonego consolida la sua autonomia ed entra così nella sfera del sensibile, alternando in questo modo il ricordo delle esperienze passate con la sensibilità dal fare presente. Ogni nuova composizione si profila dunque come la continuazione di un pensiero che, come tale, prefigura l’opera completata, che si presenta sempre come “presente”, sebbene abbia un passato, poiché Sonego realizza le sue opere con un solo atto, continuo e non interrotto, privo di ripensamenti o di correzioni. Un’elaborazione dunque che va escludendo fantasiose espressività, che non si fa allettare dalle mode pittoriche, né tanto meno da contaminazioni linguistiche.
L’artista guarda dunque alle possibilità della pittura per questo sarebbe dunque riduttivo e inconsistente pensare che possa approfondire una pittura diversa da quella che ha elaborato in questi lunghi anni. Sotto questo piano di lettura si comprende anche l’arguta osservazione di Mario Nigro, nell’individuare in Sonego la volontà di cimentarsi con l’evoluzione della sua pittura in relazione alla maturazione del suo atto pittorico.