L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Juliet Anno Numero 91 febbraio 99



Colloquio con Jean-Cristophe Amman

a cura di Maurizio Bortolotti



Art magazine
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Adrian Paci
Maria Vinella
n. 173 giugno-luglio 2015

Case chiuse, corpi aperti
Roberto Borghi
n. 172 aprile-maggio 2015

Yang Xinguang e la materia
Sara Bortoletto
n. 171 febbraio-marzo 2015

Eugenio Re Rebaudengo
Giulia Bortoluzzi
n. 170 dicembre-gennaio 2015

Biennale Architecture
Gabriele Pitacco Marco Gnesda
n. 169 ottobre-novembre 2014

Biennale Marrakech
Emanuele Magri
n. 168 giugno-luglio 2014


Il discorso di Jean-Cristophe Ammann si incardina bene nel tessuto storico del dibattito culturale a partire dalla metà degli anni Settanta fino a oggi. Egli mostra come l'esperienza collettiva della fine dei "grandi racconti" o delle convinzioni collettive che coincide con questo periodo abbia fatto da supporto al nascere di una nuova sensibilità artistica incardinata sulla riscoperta dell'importanza del Sé, che ha fatto sì che si sgretolasse anche ogni idea collettiva di storia dell'arte. Innanzitutto la nozione di avanguardia, centrata sull'idea di uno stile comune in grado di incarnare il nuovo. Mentre il recupero di una dimensione del presente strettamente identificata con quella di riscoperta del Sé come dimensione creativa profonda ed estesa, senza uno sviluppo temporale lineare, si unisce al recupero della pittura come forma espressiva. Tuttavia, come mostra anche nella scelta degli esempi, Ammann sembra intendere la pittura non come una dimensione illustrativa, ma come il risultato di un momento storico di grande tensione nel quale la dimensione creativa della riscoperta dell'individualità quale condizione dell'affettività che lascia affiorare le radici di un Sé spersonalizzato, trova nella pittura l'espressione di una dimensione simbolica adeguata. In questo senso, egli adotta una nozione estesa di pittura, che può coinvolgere anche videoartisti quali Bill Viola. Il collegamento fondamentale rimane tuttavia quello con il processo creativo, la forza del lavoro degli artisti dipende dalla loro capacità di innescare tale processo a cui il supporto dell'immagine pittorica offre solo lo schermo ideale su cui la spinta di tale processo si traduce nella forza simbolica delle immagini. Jean-Cristophe Ammann è stato uno dei principali protagonisti del dibattito artistico in Europa, soprattutto tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Nel 1972 ha curato una sezione della Documenta 5 diretta da Harald Szeemann. Nel 1978 è diventato direttore del museo di Lucerna. In seguito è stato direttore della Kunsthalle di Basilea e attualmente dirige il Museum für Moderne Kunst di Francoforte. È autore di numerosi saggi e pubblicazioni sull'arte contemporanea ed ha curato numerose esposizioni.

Sono diventato direttore del Kunstmuseum di Lucerna nel 1978, ma solo all'inizio degli anni Ottanta ho compreso che verso la metà del decennio precedente un certo modo di fare la storia dell'arte, della musica e del teatro era giunto alla fine. Questo significava che una certa storia, quella dell'avanguardia artistica che ha fortemente dominato il secolo, era giunta alla fine. E con essa era finita anche l'influenza americana.
Dal punto di vista teorico mi potrei rifare alle idee di Leo Nefiodow, uno studioso di economia ucciso da Stalin nel 1938, autore del libro Der Sechste Kondriateff nel quale teorizza l'esistenza di sei cicli economici o Kondriateff. In particolare, voglio rifarmi al quinto che ha inizio nel 1975. L'autore ha sviluppato questo tipo di cicli a lungo termine partendo dal 1800, ognuno della durata di 45-50 anni, collegandoli a una rivoluzione come per esempio la macchina a vapore all'inizio dell'Ottocento, il petrolio e, a partire da metà degli anni Settanta, la rivoluzione della tecnologia delle comunicazioni. Tuttavia, la cosa importante è che quando un ciclo di Kondriateff comincia, significa che i suoi effetti si diffondono ovunque. Perciò, quando ho visitato Francesco Clemente nel 1976 a Roma, poiché Alighiero Boetti mi aveva parlato di lui, sono rimasto colpito da ciò che aveva fatto. Ho sentito che qualcosa era cambiato; potevo comprendere che questo rappresentava già la fine delle avanguardie storiche. Questo fatto è diventato un fenomeno crescente, poiché le grandi città hanno perso il loro carattere di luoghi di produzione. Infatti, se si va oggi a New York o a Parigi non c'è più gran produzione; anche se sono belle città e hanno musei importanti gli artisti non vivono più là. Tutto quel tipo di situazione è venuto man a mano scomparendo e oggi si possono trovare buoni artisti ovunque. Così, sempre secondo Leo Nefiodow, nel prossimo ciclo di Kondriateff (il sesto, quello del 2000) gli esseri umani per la prima volta non saranno più controllati dalle ideologie. Mentre prima c'erano la politica e la Chiesa. Forse, si potrebbe dire che oggi la stessa funzione è svolta dall'economia, ma essa non ha veramente la stessa struttura del nazismo, del fascismo o dello stalinismo. Così, per la prima volta abbiamo un essere umano nel migliore dei modi veramente responsabile di sé stesso. Un altro fenomeno crescente che possiamo osservare è l'esplosione della creatività. Questo fatto è incredibile, ma non significa che oggi abbiamo milioni di artisti quanto piuttosto che tale creatività è penetrata nella struttura stessa della società, dell'economia e naturalmente della cultura. Di conseguenza la cultura sarà uno dei fenomeni più importanti del prossimo secolo. Un altro fenomeno importante riguarda le donne. Per la prima volta le donne hanno avuto una posizione che non avevano prima nella nostra società. Infatti, fino ad oggi abbiamo avuto una storia e una cultura esclusivamente maschili; mentre ora assistiamo a un fenomeno di rivalutazione del femminile. Comunque, questo fatto non è contro l'uomo; il femminismo è infatti ormai finito e rimangono solo interessi in questo senso per Freud, Lacan, etc nelle università americane. Perciò, sono molto ottimista e penso che la società cambierà in qualcosa di veramente interessante. Effettivamente, si può dire che la creatività è collegata alla struttura psichica del maschio o della femmina. Ma la sessualità del maschio e della femmina sono diverse; i maschi possiedono una struttura molto semplice, mentre quella delle femmine è più complicata. Voglio dire, è complicata la differente dimensione del tempo che esse percepiscono. Anche questo fa parte di una rivoluzione. E il momento splendido dell'arte è simile a quello cui sta puntando la scienza; la quale prova oggi a raggiungere il punto zero dell'universo, ciò che è accaduto nel momento del big bang. Le scienze dell'essere umano stanno cioè provando a ritornare al punto zero dell'Universo. Esse vanno avanti, ma di fatto stanno risalendo all'origine. Penso che in arte vi sarà un fenomeno analogo poiché non sappiamo realmente che cosa sia il Sé. Credo che in passato molte persone meravigliose come Lao-tzu, autore del Tao Teh Ching, ed altri importanti pensatori abbiano cercato di fare scoperte sul Sé. Ed è in questa direzione che abbiamo costruito un nuovo periodo della pittura. Infatti, la pittura ha dei tempi lenti e credo, per esempio, che un artista come Bill Viola sia fortemente connesso con questa ricerca perché non sta escludendo qualcosa come la pittura dal suo lavoro. Chiunque fa pittura oggi ha, infatti, delle ragioni specifiche. E questo avviene perché siamo in una situazione di incredibile tensione, di completo cambiamento della società. Qualcosa sembra essersi rotto. Tuttavia, prendendo in considerazione la costante antropologica rappresentata dall'essere umano è sempre accaduto che quando qualcosa sembrava essersi rotto, di fatto stava solo cambiando. Così, nel nostro concetto occidentale di tempo e di spazio abbiamo, in senso antropologico, una fine: l'Apocalisse. Invece, il concetto giapponese di tempo e di spazio non ha origine né fine. Noi siamo solo ora: nel presente; non siamo nel passato, poiché il passato è importante per la tradizione. Credo, infatti, che oggi abbiamo il sentimento che la tradizione si sia spezzata e non ci siano più radici. Le radici sono in noi stessi. Questa costituisce la più grande e meravigliosa sfida del futuro: il fatto che ognuno debba trovare qualcosa delle proprie radici e del proprio Sé. Perciò penso che la frase di Beuys "ogni uomo è un artista" sia molto vera. In questo credo che il pensiero di Beuys sarà riscoperto; forse non così l'opera realizzata dopo gli anni Sessanta poiché essa è difficile, penso invece ai migliaia e migliaia di disegni che l'artista ha fatto dopo la guerra fino al 1960. Tuttavia, è necessario fare attenzione. Ciò che penso è infatti che la pittura sia qualcosa di lento, per questo credo che un video artista come Bill Viola sia in un certo senso un pittore. Il pittore ricerca lo spazio su cui sta lavorando, poiché tu non puoi essere veloce nella ricerca del Sé; questo è impossibile: l'arte è lenta. In questo senso, l'artista sta oggi compiendo una ricerca sul Sé, più che su lui stesso come persona. Infatti, fuori dalla situazione del presente la coscienza e il pensiero del presente sono perduti; oppure diventano sentimentali. Pensare il presente includendo sé stessi diventa la cosa più difficile. Noi oggi parliamo dell'arte contemporanea ma ne facciamo un uso pessimistico. Se si leggono pensatori come per esempio Paul Virilio, in un certo senso sono ancora legati a qualche passato perciò non sono in grado di pensare al presente. Ma se si pensa al presente si è in grado di pensare anche ai prossimi passi, questo è importante. Per questo i futurologi sbagliano. I cicli di Kondriateff, invece, non sono futurologia perché non sono delle estrapolazioni lineari.
Vorrei fare un altro esempio. Il direttore di un'importante banca di questa città, Francoforte, mi ha detto che l'80% del nostro prodotto finanziario non esisteva dieci anni fa. Si riesce a immaginare questo. Vivo in una città che è molto importante per le banche che vi operano e in queste banche il presente sta continuamente cambiando. Infatti, esse stanno lavorando oggi l'80% di un prodotto che non esisteva dieci anni fa. Per questo prima ho parlato di Francesco Clemente, che sono andato a trovare nel 1976, due anni dopo ho conosciuto il lavoro di Enzo Cucchi e Nicola De Maria; ma la stessa situazione si poteva osservare anche in Germania e in Svizzera. Si poteva vedere che essa era come una nuova avanguardia poiché ovunque qualcosa di emotivo e intimo cominciava a dominare. Così, il primo passo per comprendere qualcosa di questo è stato l'allontanamento dall'arte concettuale, è stato il primo passo per rivitalizzare qualche cosa di fortemente connesso all'arte. Credo infatti che sia possibile mostrare come questi artisti hanno trovato la strada della loro vita solo attraverso la pittura. Invece le avanguardie erano sempre collegate in qualche modo agli stili; i quali escludevano più di quanto non includessero. Infatti le avanguardie sono sempre dirette: ogni dieci anni arriva qualcuno e inventa un nuovo stile. Quindi, l'energia era indirizzata in senso vettoriale. Mentre dopo il 1975, quando è giunta alla fine questo tipo di spinta vettoriale, l'energia è cambiata disponendosi in modo circolare. Ma non secondo una configurazione a spirale, poiché la spirale costituisce un movimento di allontanamento dal centro. Ha assunto invece un andamento circolare nello spazio e nel tempo. Questo credo sia il modo per comprendere come ha lavorato Bruce Nauman. Ed è anche la ragione per la quale Nauman è così importante; proprio perché il suo lavoro non è vettoriale ma circolare. La natura del cerchio è infatti omeopatica, include più di quanto non escluda. Penso, per esempio, alle donne pesanti che Lucien Freud ha dipinto, che sono sensazionali proprio per come le ha dipinte poiché questo tipo di donna non esiste. Esse sono come l'uomo della Cabala, cioè le 72 lettere di dio attraverso le quali egli ha creato il Golem. Non è un caso che questo artista sia ebreo. Si tratta di un modo per ricreare qualcosa che non esisteva prima. In effetti, ho visto questi dipinti diverse volte e penso che siano incredibili. Naturalmente si tratta di un artista abbastanza vecchio, ma possiamo fare riferimento anche a dipinti di artisti più giovani, come Cecilia Edefalk o Miriam Cahn, che si trovano esposti qui al Museum für Moderne Kunst di Francoforte. Ad esempio, c'è stata una mostra di Miriam Cahn all'Accademia di Berlino nell'autunno 1998, negli stessi giorni in cui si è inaugurata la Biennale. Io non ho visto la mostra, ma un mio collaboratore mi ha detto che era la cosa più interessante da vedere. Altri artisti sono Elizabeth Peyton o Johannes Hüppi, che vive tra Düsseldorf e New York. Infatti, si può osservare il modo in cui Elizabeth Peyton sta facendo la pittura collegata a immagini esistenti dei mass media. Ha fatto, per esempio, una serie di opere su "The biggest splash" di David Hockney. Così, sto costruendo una collezione qui al museo. Sto provando a scoprire in quale modo possa tracciare un profilo, come il bello dell'arte possa trovare la sua ragione poiché la bellezza è qualcosa di meraviglioso. È come per i matematici: essi scoprono la formula e poi trovano il modo di provarla: sull'universo, sugli atomi o sulle particelle subatomiche. Tuttavia, essi hanno avuto un'intuizione prima di fare l'esperimento: questa è la bellezza. Nell'ambito dell'arte una formula della bellezza è costituita dalla "date painting" di On Kawara; poiché ogni giorno è un buon giorno. La "data" è infatti la formula dell'armonia, l'armonizzazione delle contraddizioni di ordine e disordine. Così come un neonato il quale, come l'animale, piange e cercare il seno della madre; allo stesso modo mediante il fare si può trovare la formula della bellezza. Credo che già Hegel abbia parlato di questo unendo insieme forma e contenuto. È necessario perciò portare le cose alla coscienza attraverso il fare. Tuttavia, negli anni Sessanta, c'era ancora un'importante influenza dell'America sull'Europa. Anche se, all'inizio di quegli stessi anni, per la prima volta dal tempo della guerra alcuni artisti come Yves Klein e Piero Manzoni hanno dato risposte europee diverse dalla Pop art e dalla Minimal art, penso che in un certo senso l'avanguardia abbia prodotto un artista in tre fasi. Nella prima tutto si è rivelato, come nell'opera di Jasper Johns. Nella seconda fase, durata vent'anni, si è provato a comprendere ciò che era accaduto nella prima. E alla fine degli anni Sessanta vi è stato un unico sguardo sui più giovani. Questo può avvenire anche nella vita di un artista. Per esempio, Henri Matisse era già vecchio quando incontrò una donna russa di soli 23 anni che fu per lui importante. Infatti, l'opera importante di Matisse è venuta prima della Prima guerra mondiale, fino al 1916. Dopo la guerra egli è invece diventato un artista normale. Ma alla fine della sua vita ha saputo reinventare sé stesso grazie all'incontro con quella giovane donna.
Tuttavia, penso che oggi l'artista abbia più chances nell'economia della creazione e possa muoversi in diverse aree, non più spinto dalla linearità della cronologia. Si può dunque pensare che oggi la pittura sia finita e non abbia più alcuna ragione di essere. Vi sono, infatti, alcuni critici e filosofi che lo sostengono; tuttavia essi non lo chiedono agli artisti. Certo, vi sono anche alcuni artisti che dicono che la pittura non è del tutto vera, ma ce ne sono altri che ne hanno una comprensione completamente diversa. Questa è la ragione per cui nel 1985-86 ho cominciato una discussione, divenuta in seguito un libro, a cui hanno partecipato Enzo Cucchi, Anselm Kiefer, Jannis Kounellis e Joseph Beuys. Volevo scoprire che cosa fosse realmente accaduto poiché non ero più in grado di pensare chiaramente, così ho chiesto agli artisti di aiutarmi a capire. La questione si poneva nei termini di che cosa può fare un artista oggi. Cucchi era allora il più giovane. Mentre Kounellis si poneva ancora su posizioni ideologiche e vedeva che quando Beuys fosse morto avrebbe potuto diventare il dopo-Beuys. Di Kiefer posso ricordare che ho visto la sua mostra al Palacio de Velazquez a Madrid dove egli ha reinventato se stesso un'altra volta in un modo molto forte. Questo incontro è stato centrato perciò sulle tensioni tra gli artisti e su ciò che è importante oggi per loro; credo che il libro che ne è venuto fuori ci dica qualcosa sulla fine di un'epoca. Infatti, Kounellis non ha mai avuto la possibilità di essere il dopo Beuys, poiché tutto correva troppo velocemente. Mentre di Kiefer si potrebbe dire che nonostante sia nato intorno al 1945 avrebbe potuto anche nascere nel 1955 o nel 1965. Così i disegni di Cucchi, che sono ancora incredibilmente densi e di grande intensità. In effetti, del suo lavoro precedente ho visto solo delle fotografie ma forse esse non hanno la stessa intensità dei disegni. Egli riesce a vedere qualcosa che secondo me è importante e che forse si trova anche nelle donne artiste oggi; le quali sono i veri artisti radicali poiché rappresentano il punto di contatto più vicino all'intimità attraverso la natura. Esse hanno cioè una relazione forte con il nostro corpo. Perciò, mostre come Manifesta in Lussemburgo o la Biennale a Berlino, sono tutte un po' di tendenza e i loro curatori stanno facendo veramente come l'avanguardia, che escludeva anziché includere. Ma l'arte oggi è più potente di quanto non rilevi il panorama attuale. Mentre i curatori hanno prodotto una situazione di tendenza che è troppo effimera. Se io dovessi fare oggi una mostra sulle nuove situazioni nel mondo dell'arte, credo che metterei insieme artisti completamente diversi. Forse apparirebbe al primo sguardo una situazione più conservatrice, ma lo sarebbe solo al primo sguardo. Infatti, l'impiego del trend nell'arte è diventato una necessità economica, mentre nell'avanguardia era piuttosto una necessità mentale. Oggi, abbiamo bisogno di un trend perché dobbiamo creare un sistema economico, ma questo non coincide con la situazione dell'arte. Per esempio, un artista come Udo Koch, che ha solo 35 anni, credo che abbia un lavoro fantastico. Ma il suo pensiero è legato a un'idea di cosmologia, vale a dire non è concettuale. E questo la gente non lo capisce, così come non lo capiscono i curatori. Ci sono poi artisti come Pippilotti Rist, che è una grande e meravigliosa donna e la sua opera mi piace molto. Ma in generale non sono interessato al trend attuale, il mio interesse è piuttosto indirizzato verso altri luoghi. Le gallerie sono importanti solo in quanto danno la possibilità all'artista di vivere; anche se non hanno più il potere di cui disponevano galleristi come Leo Castelli, Konrad Fisher o Alfred Schmela, negli anni Sessanta o Settanta. Credo che la cosa importante oggi sia avere dei galleristi competenti. Penso, infatti, che la competenza sia una cosa realmente importante. Ma si tratta di un fenomeno nuovo. Poiché la conoscenza si può ottenere ovunque, ma l'esperienza è qualcosa che riguarda solo il singolo individuo. Perciò, si può ottenere la conoscenza attraverso il computer o attraverso internet, ma poi cosa ne facciamo di quella conoscenza? In campo sociale o politico, nell'economia, è certamente molto utile: penso che internet sia un'invenzione fantastica. Per questo dico che la conoscenza va bene, ma l'esperienza è qualcosa che bisogna farsi da sé. Poiché, mentre la conoscenza va e viene, l'esperienza che si compie in sé stessi è sostanziale. Per esempio, se qualcuno ha un figlio significa che investe per i prossimi dieci, vent'anni. Ma se ci sta veramente a pensare forse non si deciderebbe mai a farlo. Questo è il fatto: il mondo cambia in continuazione. Tuttavia, noi stiamo facendo qualcosa che in termini di spazio e tempo è normale.
Allo stesso modo, l'esperienza tocca anche il critico. Sarebbe bello infatti leggere più scritti su ciò che si sente quando si scrive dell'opera di un artista; su quale sia la relazione con essa. Questa è la cosa più importante. È chiaro che bisogna farlo con la competenza di sapere quello che nell'arte sta avvenendo, solo allora posso ben dire ciò che mi accade. Infatti, leggere una critica d'arte significa leggere qualcosa sull'opera dell'uomo. E per fare ciò l'esperienza conta più della teoria. Poiché ogni artista è un caso a sé; così si può fare una teoria su una situazione di tendenza, ma non sull'arte. Quel che conta è l'esperienza diretta, questo è normale per Jan Hoet, Harald Szeemann, o anche per Pierluigi Tazzi, poiché essi lavorano sempre con l'artista. Però ci sono anche critici d'arte che non conoscono gli artisti e che cosa possono fare? Almeno noi sappiamo qualcosa in più di quanto essi sanno. Per esempio, se un periodico d'arte incarica qualcuno di scrivere un articolo su una mostra egli va a vederla; ma poi, se sente magari la necessità di fare una conversazione con l'artista, forse non ha l'opportunità di chiamarlo perché ciò gli occuperebbe un pomeriggio e il compenso che la rivista può pagare non è molto alto. Questa è una questione legata al funzionamento del sistema economico. In fondo, noi siamo fortunati perché non siamo critici d'arte in quel modo: non dobbiamo scrivere per tempo. Dobbiamo, invece, realizzare una collezione o una mostra. Dunque, dobbiamo lavorare per sviluppare il concetto dell'artista; dobbiamo, cioè, scrivere su ciò che egli ha in mente. Mentre un critico d'arte di quel tipo, nella maggior parte dei casi si pone al di fuori del mondo dell'artista.